Ricordate? Pochi giorni fa era diventato l’argomento più gettonato sui social: il bisticcio J-Ax / Fedez versus Marra / Gué Pequeno per una roba di (non) sguardi ad una sfilata milanese di Moschino, durante la Fashion Week Uomo. Ne hanno parlato un po’ tutti – oh, perfino il Secolo XIX. E, insomma, c’è chi ne ha parlato in modo sensato e dando il giusto peso alla cosa (non tantissimi), chi invece si è lanciato in una serie di invettive.
Quali invettive? Quali considerazioni amare? Beh, ci sono prima di tutti quelli che per partito preso ce l’hanno coi rapper italiani che litigano, trovandola una cosa stupida e ridicola, dimostrando in questo modo di avere una conoscenza abbastanza relativa della storia dell’hip hop (infarcita di dissing), delle sue radici ideali. Non solo il mondo rappuso è da sempre appunto pieno di dissing (per dire, ne parla pure un High Snobiety, mica solo le testate di settore); il punto è che è filologicamente corretto che questi dissing ci siano, oh sì, in una arte/cultura che a) si basa molto sulla competizione b) nasce in contesti che non erano proprio il foyer della Scala c) proprio sulla crudezza di questi contesti basa parte della sua forza emotiva ed anche artistica. Quindi ecco, non stiamo qua a fare le verginelle e i puritani: l’hip hop ve lo pigliate così – un cortile chiassoso dove ci sta, ci sta eccome che la gente ci sta che si metta a baruffare. E anzi, cara grazia che non si arriva alle pistolettate (e su quello speriamo che non ci torni più, dopo la terrificante ed ambigua faida tra East Coast e West Coast negli anni ’90, culminata da morti tragiche ed eccellenti).
Tuttavia quest’ultima “baruffella Moschina” non ha solo smosso e stomacato quelli che non vedono l’ora e non perdono l’occasione di sottolineare quanto sia ridicolo il rap game italico nel suo insieme. In realtà c’è stata una grande eco, maggiore rispetto al solito, anche tra chi invece vede con discreta simpatia l’hip hop di casa nostra o addirittura ne è un vero appassionato. Per dire: ci siamo fatti in tanti delle risate (agrodolci) sui dissing tra Vacca e Fibra, ma lì erano due mc che litigano, si tirano colpi bassi in rima, stop; stavolta invece è stato qualcosa di più. Molta più risonanza, molto più trasversale. Bisogna capire come mai.
Colpa di Moschino? Per molti sì. Per molti è triste che ora le faide nel rap di casa nostra abbiano come teatro non la strada (o almeno un palco, una jam, qualcosa insomma di “autentico”) ma una sfilata durante la Fashion Week Uomo a Milano. In realtà boh, che i rapper flirtino col sistema-moda è ormai una storia vecchia; anzi, a dire il vero è più il sistema-moda che tenta di flirtare con l’hip hop, invidiandone in un giochetto emotivo sado-maso la crassa e grossolana sfrontatezza, provando il brivido insomma di portare in casa il “bel selvaggio”, una specie di souvenir del proprio safari nei bassifondi e nello zarrismo (meccanismo che un’altra galassia, quella dell’arte contemporanea, aveva innescato soprattutto negli anni ’80). Da vero gioioso cafone qual è proprio per DNA, l’hip hop invece di scandalizzarsene e di sentirsi sfruttato ci si è tuffato mani e piedi: “Aoh mi danno i soldi (tanti), c’è la gnocca (parecchia), ci sono anche vari “benefit accessori” – perché diavolo dovrei rifiutare?”, va un po’ così. Ed ha senso. Ne ha. Certo, ha anche senso far notare che il rapper che tenta di rendersi organico al sistema-moda ha sempre un che di sottilmente posticcio, un che di “pesce senza bicicletta” (parafrasando uno slogan femminista) o di ananas sulla pizza, e il prezzo per farsi inglobare dal sistema-moda con tutti i suoi lussi e la sua mondanità è quello di perdere un po’ di credibilità fra i duri&puri. Può essere un prezzo accettabilissimo da pagare.
Il problema infatti è pretendere di andare da Moschino ma al tempo stesso rivendicare di essere ancora “quelli della strada”: ancora legati all’hip hop originario, alle jam, bla bla bla. No, non lo sei, caro amico che vai da Moschino. Sei – probabilmente per tua fortuna – a un livello diverso, più adulto, più maturo, meno puro. Più pop. Hai compiuto la parabola che in molti, moltissimi vogliono compiere: una parabola che ti permette prima di tutto un ritorno economico per cui puoi dedicarti alla tua musica e/o alla vita da persona famosa senza doverti preoccupare troppo dell’estratto conto a fine mese. Una parabola per cui invece di prendere 300 euro per suonare ad una jam con un impianto di merda, dormendo poi su un divano lercio a casa di qualcuno, ti danno 5.000 euro per fare una comparsata di quindici minuti in una discoteca di provincia oppure 15.000 (o 150.000) per fare un concerto vero e proprio, con una produzione seria alle spalle fatta da grandi professionisti. Tra l’altro contrariamente a quello che molti credono non è facilissimo arrivare al grande livello del pop di cui sopra: ci vuole disciplina, impegno, capacità di mandare giù molti rospi, ci vogliono anche delle qualità reali di base perché il pop è sì paraculo ma non è scemo, quando ti porta al successo ti vuole anestetizzato rispetto alle crudezze underground che magari ti porti dietro come origine, certo, ma comunque se ti sceglie e ti porta in alto è perché o sei uno showman nato o alla base hai delle qualità reali forti in quello che fai.
Le ha (aveva?) pure Fedez, le ha (aveva?) pure J-Ax, le qualità. Sì, ricordatevi di questa cosa ascoltando quella roba orribile che è l’appena uscito “Comunisti col Rolex”, un album di una bruttezza rara ed abbastanza imbarazzante (…ah, quanti ricordi quando negli anni ’90 si infamavano Dj Flash, Miki Mix e il rap insulso intriso di pop banalone: “Comunisti col Rolex” però dal punto di vista musicale entro al 100% in quel filone lì, e Miki Mix almeno poi è diventato Caparezza). Ricordatevelo: prima Ax e poi Fedez sono stati degli mc di notevole capacità, e arrivano da una palestra hip hop vera. Non sono creature in vitro di una casa discografica che ha visto che il rap funziona e ha preso due persone a caso dalla faccia bellina tentando di trasformarle in rapper. No.
(continua sotto, se nel frattempo la pacchianeria del video non vi ha steso)
E qua arriviamo al punto. La scaramuccia Ax/Fedez versus Marra/Gué ha avuto così eco, molta più del passato, non per il fatto del litigio in sé (anche se la punchline di Marra “Io se guardo in basso è perché mi arrivi al cazzo” è da applausi), non per Moschino, ma perché in qualche modo tutti inconsciamente ci stiamo rendendo conto che il gioco ci sta sfuggendo di mano. In questa fase storica, in Italia non è tanto e non è solo il pop che tenta di inglobare l’hip hop, è più l’hip hop che vuole ardentemente farsi accettare dal pop mettendosi fiduciosamente a novanta senza porre troppe condizioni. ‘Sti qua litigano fra di loro, ma dovrebbero capire tutti quanti che stanno andando in una direzione sbagliata, stanno dilapidando quel patrimonio di credibilità e specificità che prima di tutto loro stessi possiedono, ma secondo di tutto possiede anche quel determinato genere musicale. Non è il fatto di andare alla sfilata di Moschino, è come ci vai; non è il fatto di litigare, è il fatto di non capire che se metti in piazza un litigio avvenuto per un gioco di sguardi ad una sfilata di moda la figura del fesso, in realtà, ce la fai tu. Vale per chi ha iniziato il bisticcio, vale per chi l’ha continuato. Anche perché se tu avessi una credibilità adamantina, un carisma monumentale, in realtà potresti pure fare una tantum l’isterica a colpi di Instagram Stories ai margini di una sfilata, sì, sarebbe pure una cosa divertente e te la faremmo passare; ma in questa precisa fase storica il rap game in Italia sta per collassare di nuovo (le cose vanno a cicli, non è la prima volta, non sarà l’ultima). Non sai se sono meno credibili Ax e Fedez che fanno i duri che non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno ma poi sfornano dischi che sono mezzo gradino sopra a “Vu vu vi mi piaci tu” (ascoltare per credere, e noi maledizione abbiamo ascoltato) oppure Marra e Gué che fanno i duri che custodiscono l’autenticità ma in realtà vogliono (lecitamente!) godersi lo status di celebrità perfettamente inglobate nel sistema e invitate d’onore alla Fashion Week Uomo.
Dietro di loro cosa avanza? L’ondata trap di cui tanto si parla e tanti numeri fa come views su YouTube? Per un Ghali che forse ce la farà, perché è furbo, ha le idee chiare ed una eleganza naturale nello stare sul palco, ci sono quasi tutti gli altri che sono solo una versione rimodernata in salsa hip hop dell’emo adolescenziale: testi intrisi di spleen da un lato e di realismo “passivo” dall’altro (nel descrivere la realtà non la reinventano, se ne fanno reinventare) o al massimo con un sense of humour tra il volontario e l’involontario (Dark Polo Gang). Non sono fenomeni consistenti. Non lo sono dal punto di vista musicale, perché oggettivamente il loro flow è una sottocategoria mutuata da un modello – quello americano – che è già una sottocategoria dozzinale in sé; non lo sono secondo noi nemmeno dal punto di vista sociale, perché se è vero che i ragazzi li guardano, li ascoltano, li adorano, li imitano è anche vero che negli anni passati hanno fatto lo stesso coi Take That, i Tokio Hotel e gli East 17, e cosa è rimasto? E’ rimasto giusto un Robbie Williams bolso che pare lo zio di se stesso. Di un Tedua o di un Izi, per dire, non rimarrà manco questo. Ora possono anche essere una credibile voce generazionale (numeri alla mano in buona parte lo sono), ma è una voce generazionale senza spessore, ritagliata sul qui&ora, col suo misto di paturnie teenageriali e, appunto, una riproposizione calligrafica e prona della contemporaneità: dura nell’immediato, ‘sto gioco, ma vi sfidiamo a riascoltare “Orange County California” (l’album di Tedua appena licenziato dalla Universal) fra due anni.
Per completare il quadro dell’hip hop di casa nostra, c’è invece chi non avanza e basta – e non lo diciamo come critica e per sminuire, visto che ci sono realtà strepitose (Kaos One, Colle Der Fomento, Noyz Narcos, ma anche Paura, Musteeno, Egreen, per finire ad altri nomi minori ma integerrimi e cazzuti, o il filone socialmente impegnato che va dagli storici Assalti Frontali a un Kento), è che semplicemente sono persone ed artisti che stanno bene nel loro, hanno trovato la loro dimensione, sono come l’Udinese o la Sampdoria, qualche campionato viene bene, qualche anno finisci in Europa League, altri invece ai margini della zona retrocessione, ma sempre a metà classifica stanno. Oppure ci sono emergenti ed ex emergenti di cui bisogna ancora capire bene il valore e la capacità di entrare nell’immaginario collettivo (lo devono capire loro per primi): pensiamo a Rancore, Millelemmi, lowlow, Rkomi, En?gma, tanto per fare un po’ di nomi.
Insomma, situazione interlocutoria e non del tutto rosea come prospettive sul medio-breve periodo. In maniera quasi subconscia, lo si avverte. E’ per questo motivo che Fedez/Ax e Marra/Gué che baruffano racimolano tanta attenzione, ma proprio tanta tanta. Perché è come guardare un incidente stradale: ti affascina. I due si tirano isteriche borsettate via Twitter dall’alto dei rispettivi troni di popolarità, solo che la piattaforma su cui stanno, quella dell’hip hop italiano e della sua credibilità, ha bisogno di manutenzione e di nuova linfa, sta iniziando a perdere i calcinacci e rischia di crollare tipo un cavalcavia sulla Milano-Lecco – loro però non lo sanno, non se ne stanno accorgendo, o non se ne curano (o ti rispondono con cose tipo “Abbiamo già venduto 100.000 biglietti per il tour!”, che però suona prima di tutto come una sinistra rassicurazione a se stessi che tutto va bene e non c’è nulla di cui preoccuparsi). Restano alla finestra Fibra e Salmo. Il primo ancora scottato dall’enorme successo che ha avuto, deve ancora riprendersi e capire come (ri)posizionarsi per non perdere né la salute mentale né però al tempo stesso il successo popolare; il secondo perché, ci piace pensarla così, sta studiando attentamente la faccenda: per capire come non essere fra dieci anni lui quello che è diventato J-Ax oggi, ovvero uno che fa brutto aggirandosi per la redazione del Fatto Quotidiano, suscitando risatine, pur dicendo delle cose manco sbagliate, anzi.
Oh: poi tanto, come sempre, arriverà qualcosa/qualcuno di assolutamente imprevisto a far ripartire la ruota. Nel frattempo, però, chi ha un invito per la prossima sfilata di Philipp Plein? E per Givenchy, come stiamo messi?