Guillaume Coutu Dumont mi sta profondamente simpatico. Non per via dei suoi live sempre divertenti e ricchi di spunti interessanti, non per l’occhialetto da finto intellettuale appena uscito da una festa di confraternita (o da Greek, fate voi) e nemmeno per quella foto in cui “domava” una mucca (di un improbabile verde, se non sbaglio). Nel mondo della musica, almeno per come lo intendo io, quando si parla di simpatia per qualcuno spesso e volentieri si fa riferimento alle affinità che ciascuno di noi ha con il personaggio, con l’artista a tutto tondo ed è per questo motivo che, probabilmente, sarebbe di gran lunga più appropriato parlare di stima e di rispetto. Beh, chiamatelo come volete, fatto sta che le mie antenne prestano particolare attenzione quando hanno di fronte un lavoro che porta la firma dell’artista di Montreal.
In un momento in cui l’asticella delle “aspettative musicali” si è drasticamente e drammaticamente abbassata, tutto si può dire tranne che le musica di Guillaume non si presti alle più svariate riflessioni, e il nuovissimo “Twice Around The Sun”, long play che vedrà la luce il mese prossimo su Circus Company – ancora una volta, dopo “Breaking The Fourth Wall” del 2010 e una manciata di altri controversi EP -, non è da meno. Come fa ad uscire su Cocoon e Oslo un artista capace di comporre pezzi come “Last Call (When Space Is The Bass)”, “Twice Around The Sun” e “Ten Thousand Feet”, dove l’anima più pura del Guillaume musicita volta le spalle al dancefloor (o almeno al tipo di dancefloor cui la musica targata Cocoon e Oslo fa riferimento)? Musica con la “M” maiuscola, musica capace di godere, sempre e comunque, della propria identità. Vera ed indipendente, l’identità di Guillaume.
Perciò non aspettatevi un album di musica house, perché “Twice Around The Sun” lo è solo in parte. Si tratta, infatti, di una raccolta “completa” che prende vita e forma da quanto della musica di Guillaume & The Coutu Dumonts abbiamo imparato ad amare nel tempo. Elementi acustici, come la batteria e gli strumenti a fiato, si amalgamano sapientemente, come nelle migliori ricette, a synth mai banali e bassline tortuose, creando un flusso sonoro appagante e coinvolgente ma sempre privo di punti di riferimento ben precisi – fa eccezione solamente l’impianto “percussivo”, da sempre marchio di fabbrica sia della sua musica che delle sue performance live.
Non si tratta di un album statico come il precendete “Breaking The Fourth Wall”. Qui, infatti, nonostante “Time Outta Joint”, “Constellation”, “Discotic Space Capsule” e “Solar Flare” non rappresentino un’istantanea in grado di sintetizzare l’intera raccolta (come detto, c’è troppa carne al fuoco), potrete tranquillamente dire di aver trovato “pane per le vostre dancing shoes”. Sì, perché con Guillaume si balla. E parecchio pure.