Quando la musica non diventa soltanto marketing, quando non vi è dietro solo la voglia di far successo o di essere nominati e cliccati, quando questa è spontanea, sincera, così vera da risultare trasparente e naturale, quando diventa l’unico fine e l’unico modo per incanalare ciò che la vita e gli eventi ti portano ad affrontare, allora in quel momento acquisisce una forza invisibile ma tangibile, perché quello che senti non è più un insieme di note, ma tutto quello che sta dietro e dentro le note stesse, come leggere un libro, ascoltare una storia.
Di musica così ce n’è tanta (per fortuna!) e noi oggi ci sentiamo di mettere in questa magnifica categoria “Mysterium”, ottavo album del duo ambient – post rock statunitense Hammock formato da Marc Byrd e Andrew Thompson.
Dedicato a Clark Kern, figlio della sorella di Byrd, morto nel 2016, “Mysterium” diventa simbolo del dolore che ha portato il duo a cambiare la strada inizialmente intrapresa nella realizzazione dell’album, nato per essere erede elettronico dei suoni di “Kenotic” (splendido lavoro uscito ormai oltre un decennio fa), ma poi diventato un requiem, una risposta alla sofferenza.
“Quando succede qualcosa di simile, a volte il silenzio è la risposta migliore, perché non sai cosa dire quando qualcuno sta vivendo quel dolore. C’è tempo in cui puoi giocare nell’oscurità e puoi glorificarla e romanticizzarla, e poi c’è tempo in cui essa è presente ed è reale”
Ed è nel silenzio che questo album si sgroviglia e si fa forza, come una voce che però si prende il tempo necessario e respira, tace, diventando riverenza nei silenzi e negli spazi che prendono forme tra le note e nella copertina dell’album firmata Pete Schulte.
(La cover di “Mysterium”; continua sotto)
“Mysterium” fonde la musica classica, ambientale e corale moderna, tutto in undici tracce che vedono non solo la firma dei due statunitensi ma anche di altri musicisti tra cui Francesco Donadello, Peter Katis, l’orchestratore di Amburgo Roman Vinuesa e in particolare tutto il Budapest Art Choir le cui voci son presenti, anche se a tratti appena percepibili, in tutto l’album, contribuendo a dare ad esso una forte connotazione emotiva ed elegiaca.
Inoltre, la forte unità tematica presente in “Mysterium”, visibile fin da subito nei titoli degli undici brani che lo compongono e percepibile nell’ascolto dell’album stesso, fa si che esso possa essere sentito con continuità, portando l’ascoltatore in un’atmosfera etera, che si va man mano creando grazie alle voci corali presenti soprattutto in pezzi come “Things of Beauty Burn” e “Numinous”, al suono degli archi e delle chitarre che possiamo sentire in “Remember Our Bewildered Son”, nonché al pianoforte con cui ha inizio “When The Body Breaks”.
Punti fondamentali, questi, attorno a cui si va costruendo tutto l’album, rendendolo un viaggio per chi lo ascolta fatto soprattutto di emozioni, caratteristica a cui a volte un musicista non da importanza, ma che fa si che “Mysterium” sia vero e genuino sotto tutti i punti di vista. Partendo da Now and not yet, brano di apertura, in cui gli archi e le voci iniziano a prendere forma, continuando poi con “I Would Give My Breath Away” in cui per la prima volta la voce di Thompson si fa spazio e forza, fino all’ultima traccia rappresentata da “This Is Not Enough (Epilogue)” in cui questi suoni si mischiano insieme ai tamburi di Ken Lewis formando un pezzo che lentamente ti riporta al mondo da cui per più di cinquanta minuti sei stato portato via.
Brian Eno dice che l’ambiente è un’atmosfera, una tinteggiatura: se dovessimo scegliere quale tinta è adatta a ”Mysterium” allora con molta probabilità diremmo blu, come quello di un cielo che pieno di una lunga notte nera si schiarisce e cerca il giorno.