“Girare con eleganza infinita, come un valzer in un film di Stanley Kubrick,
grrrrr e saltare e saltare oltre le ombre; vuole il nero e la morte e il drone,
luccicare, tremolare, colorare, candeggiare, cantare e invitarvi da Aja all’Africa;
rotolerà come Cumbia, sarà maniaca come Singeli e fluttuerà come droni dalle ceneri.”
Il manifesto programmatico, la dichiarazione di intenti, che Heart of Noise lancia dal proprio sito e dai propri comunicati dice già molto – se non tutto – su cosa aspettarsi dal festival austriaco, giunto alla sua ottava edizione.
Un festival eclettico e non convenzionale che, dalla bellissima Innsbruck, attraversa, esplora e analizza un immaginario ponte di suoni e influenze poco mainstream che uniscono idealmente l’Africa, il Sud America e il Vecchio Continente. Una tre-giorni-e-qualcosa (dal 7-10 giugno) in cui il nero è sì una struttura architettonica portante, ma è lanciata verso una scala cromatica di tantissimi colori.
Si passa dal bianco candido e colori tenui della musica ambient di Phil Niblock e Philip Jeck al jazz indefinito di Ben Vince fino ai colori fluo in scarpe Adidas di Gazelle Twin, per poi transitare nei colori decisi, caldi e neri, nerissimi di Jay Mitta e Bamba Pana (nome in cartellone anche al prossimo Viva Festival, tra l’altro), fino alle tinte più oscure di Maria W. Horn
Tutto questo in mezzo ad un ensamble di parecchi altri nomi che qualcuno facilmente definirebbe “di avanguardia“, ma che noi ci sentiamo di etichettare come “di studio e di analisi“, forte soprattutto di qualche carico pesante come Cristoph De Babalon, Dengue Dengue Dengue, Gabber Eleganza, Arja Ireland e Andrea Belfi.
Quella di Heart Of Noise non è la solita scelta casualistica e “arlecchinata” a comporre la tipica line-up semplice, che garantisce incassi e copertura. Quella di questo festival è invece un’idea precisa che si tuffa nella contemporaneità di forme artistiche musicali, spesso lontane, proiettate nell’accessibilità di un pubblico da festival: dove festival non è per forza solo sudore, birre e svacco.
Non mancheranno nemmeno quelli, a conferma della poliedricità multiforme della rassegna austriaca, garantita in primis dalla presenza dei ragazzi di Nyege Nyege Tapes. Anzi prendiamo proprio quest’ultimo nome, il più vicino come interesse ad un eventuale pubblico di clubber: Nyege Nyege Tapes è una di quelle label un po’ sulla bocca di tutti i bene informati, musica elettronica fusa nei ritmi dalla Tanzania che viaggia a 180 bpm. Qualcosa di folle e senza senso ma capace di scatenare balli sfrenati e movimenti inconsulti. Musica da ballo – credeteci! – ma finalmente in una versione totalmente futuristica, suoni che balleremo magari tra dieci anni, in arrivo dieci anni prima, mentre la techno, stancamente gira e rigira su se stessa continuando a volgere disinteressata lo sguardo dall’altra parte.
Noi ci saremo, e ci saremo con spirito di esplorazione e curiosità: perché se come i ragazzi del festival dicono “Il mondo è in pezzi ma calpestandolo si crea del nuovo bene”, l’unica vera arma di reazione di massa a questo decadentismo si chiama cultura ed è necessario anzi obbligatorio averne fame, sete e desiderio.
Qui abbiamo selezionato qualche traccia dagli artisti in cartellone, giusto così per permettervi di farvi un’idea (e di invogliarvi a fare un salto fino al Tirolo e verso una città che, di suo, è decisamente bella).