Herva è uno dei produttori più promettenti che la scena italiana abbia mai avuto l’onore di coltivare e crescere negli ultimi dieci anni, questo è un dato di fatto pressoché incontrovertibile. Questo perché, nonostante i suoi ventitré anni e una discografia non troppo profonda, la sua musica risulta terribilmente affascinante anche a chi non ha propriamente nelle corde il suo suono. Due album e una manciata di EP per alcune delle label più prestigiose della scena europea, collaborazioni spiazzanti (su tutte quella con Marco D’Aquino che ha dato vita al progetto Life’s Track) e la stima di alcuni colleghi più esperti e lungimiranti, infatti, parlano per lui in modo chiaro: il giovane fiorentino è uno dei diamanti più preziosi del nostro movimento. Ma gli basterà avere le idee chiare e dedicare anima e cuore alla musica per riuscire a emergere come il suo talento imporrebbe? Nell’intervista che ci ha concesso potete trovare alcune delle ragioni per cui noi, oltre ad augurarglielo, ci crediamo davvero.
Partiamo dalle domande scomode, così da toglierci il pensiero: uno come te all’estero se lo litigherebbero, gli verrebbero offerte date e opportunità che invece, ahinoi, qui in Italia sono spesso negate ai talenti come il tuo. Questa cosa quanto ti fa incazzare?
Se devo essere sincero un po’ sì, un po’ mi fa incazzare. La cosa che più mi dispiace è vedere tanti artisti esteri proposti in Italia senza un briciolo di senso, quando poi qui c’è tantissima gente bravissima che gira poco, suona ancor meno e ha poche opportunità. Sì, fa rabbia. Per questo, e ve lo dico sinceramente, non so quando ma conto di spostarmi all’estero; a malincuore, è chiaro, perché sarebbe bello lavorare e contribuire alla nostra scena se solo te ne dessero modo senza dover sacrificare altro, diciamo.
Praticamente mi stai dicendo che per un giovane è difficilissimo farlo diventare un lavoro vero e proprio…
No, non si parla di un lavoro vero e proprio ma di una passione che si autosostiene. Pensate ai progetti Herva e Life’s Track insieme a Marco D’Aquino: sia per quanto riguarda il tempo che le nostre finanze, noi investiamo praticamente tutto ciò che abbiamo. Basta prendere l’aspetto legato ai dj set, che richiede la ricerca continua e l’acquisto di nuovi dischi…se non hai modo di pararti le spalle, anche in modo minimo, andandoli a suonare allora è tutto più difficile. Chi fa musica e al tempo stesso per vivere è “costretto” a lavorare a tempo pieno è, per forza di cose, un artista frenato.
Certo, se passi gran parte del tuo tempo a lavorare o, come nel tuo caso a studiare, hai ben poco da dedicare alla produzione di materiale nuovo.
Ce la fai, perché se vuoi ce la fai, ma la macchina lavora a ritmi ridotti. Immagina che la tua giornata inizia alle sei di sera e va avanti fino alle dieci, massimo undici…oltre no, perché comunque hai un impegno importante la mattina seguente e allora ti rendi conto che devi riuscire a concentrare tutto in uno spazio ridotto, lasciando comunque pochissimo tempo a tutto il resto.
Hype esagerato per nomi ormai artisticamente “scarichi”, esterofilia e dj pr: cosa pensa Herva della scena italiana?
Penso che questo scenario caratterizzi gran parte del nostro movimento, ma che al tempo stesso ci siano delle realtà, magari molto più piccole, che valgono la pena essere vissute.
Stai parlando di club o party che ancora puntano sulla qualità, prima ancora che il nome?
Certo, è pieno! Anche se poi da cliente non sono uno che ama andare a ballare, più che altro esco per andare ad ascoltare qualche artista che mi incuriosisce. Diciamo che mi muovo quanto più possibile, senza sacrificare la produzione musicale che resta al centro della mia vita.
Prima abbiamo visto diversi aspetti negativi del clubbing italiano. Tu però dovresti aver toccato con mano qualcosa di estremamente positivo, come la crew Bosconi. Ce ne parli?
La famiglia Bosconi mi ha dato tantissimo, non ne avete idea!
Per esempio?
Lo stare insieme prima di tutto, ascoltare e riascoltare insieme i dischi. Vivere la musica a contatto con altre persone arricchisce sempre, specie quando si parla di figure positive come loro: Fabio, Martino, Rufus ed Ennio hanno dato tantissimo sia a me che a Marco in questi anni. Con loro te la vivi bene, per farla semplice.
Per non parlare che hanno puntato su di te e su Life’s Track per primi…
Sono stati fondamentali in passato e ancora continuano a spingerci. Vogliamo parlare del coraggio che ha avuto Fabio a puntare su di noi quando è uscito il nostro primo EP su Bosconi? Avevamo a malapena diciotto anni e puntare su di noi, nonostante non avessimo nemmeno un disco fuori, quando “bucare” una release vuol dire andare in grossa perdita beh…capite da voi!
“Meanwhile In Madland”, il tuo primo album su Bosconi, è stato un lavoro apprezzatissimo, questo è innegabile, ma non ti ha veramente cambiato la vita. Cosa ti aspetti adesso da “Instant Broadcast”?
In realtà nulla, niente di particolare. Spero di riuscire a portare il live Life’s Track e il mio dj set in giro di più, ma non è nemmeno così vero!
Beh dai, magari col cambio di suono – che c’è stato, è innegabile – puoi finire a collaborare con altri artisti e mettere in moto un meccanismo diverso rispetto a quanto accaduto fin ora.
Potrà suonare strano, ma ora come ora non ho grosso interesse a mettere in piedi nuove collaborazioni. Che poi dipende e ogni occasione va valutata attentamente, per carità, ma per ora no, direi di no. Tornando alle aspettative: io sono una persona che resta con i piedi ben saldi a terra nonostante “Instant Broadcast” sia uscito su una piattaforma bellissima come Delsin. È un sogno, questo sì, ma al di là della soddisfazione personale non so che aspettarmi visto che nemmeno dopo il primo EP per loro (“What I Feel EP”, 2013) la situazione è cambiata più di tanto.
Però non puoi negare che un conto è un EP, un conto è un album. “Instant Broadcast” è un vero e proprio investimento su di te, non trovi?
Questo sì, ma non voglio illudermi. Preferisco restare concentrato sulla musica e sul farne di nuova, sempre alla ricerca di qualcosa che mi piace davvero. È ancora tutta passione per me, poi vediamo che succede.
Quale valore pensi di aver aggiunto alla tua seconda raccolta? A noi sono sembrate due raccolte diverse tra loro; questo perché sei finito su di una piattaforma, la Delsin Records, molto distante da quella che è a tutti gli effetti la tua base?
La verità è che a essere cambiato in questi tre anni sono io perché, pensandoci bene, faccio sempre ciò che mi piace senza limiti o restrizioni. Sentivo il bisogno di cambiare e rinnovarmi dopo esser stato a lungo su un certo tipo di sonorità. Solo in questo modo, a mio modo di vedere, un artista riesce a divertirsi quando produce. Poi dovete sapere che alcune cose contenute in “Instant Broadcast” non sono troppo recenti, anzi…
Ascoltati uno dopo l’altro si ha quasi l’impressione che il primo rappresenti una fotografia esatta del tuo background, “filtrata” attraverso la tua visione della musica oggi, mentre il tuo secondo lavoro sia una proiezione a lungo termine del tuo modo di intendere il clubbing. Ci siamo andati tanto lontani? Qual è la chiave di lettura dei due album?
Questo preferisco lasciarlo dire a voi, quello che mi preme sottolineare è che in “Instant Broadcast” ho inserito quel tipo di suono che a me piacerebbe sentire e ballare in un club. Sì, penso davvero che mi divertirei a ballare dischi così.
E pensare che qualcuno avrebbe pure apostrofato “Meanwhile In Madland” come ingenuo, mentre i più cattivi parlavano addirittura di culo del principiante. C’è anche un po’ di spirito di rivalsa nella nuova raccolta o ti è bastata la spontaneità della tua musica?
Se devo essere del tutto sincero non sono troppo interessato a questo tipo di giudizi. Io penso a fare sempre il mio: vado in studio, cerco di tirare fuori idee interessanti, mi diverto e quello che esce è quello che è, punto. Non ho mai pensato di fare qualcosa per dimostrare di saper fare, chi se ne frega! So perfettamente che è tutto relativo e che se il mio album fosse uscito in un altro momento magari la sua percezione sarebbe potuta essere radicalmente diversa. Ci sta tutto e mi sta bene, ecco, e proprio per questo me ne interesso il giusto.
Ma come sei finito nell’orbita di Delsin?
Tutto è nato quando li ho contattati su SoundCloud per inviargli del materiale. Ho avuto la fortuna di trovare il loro referente online e di poterci parlare immediatamente…si può dire che il primo EP è nato così: culo e tempismo!
A ben vedere, la tua musica è figa ma non è “trendy”. Come ci riesci?
Non lo so, non ne ho idea…non ci penso davvero a queste cose!
Noi un’idea ce la siamo fatta: la tua musica è spontanea e non ha modelli.
Sì, si può dire che è tutto qui. È come quando hai una passione grande, come quella per lo sport, avete presente? Hai del tempo libero e fai quello che ti senti e ti va di fare, punto e basta. Per me è così: la musica mi prende da sempre e io ho scelto di dedicarmici anche senza avere la tecnica e la preparazione giuste, quelle vengo col tempo, solo per il gusto e il piacere di stare bene.
Quindi i tuoi lavori non sono fighi perché hai ascoltato i Pink Floyd, i Daft Punk o Aphex Twin…
Ma sì, certo, ma comunque penso di aver avuto una crescita “distaccata” da quelli che sono considerati i “grandi modelli” della musica. Pur ammettendo che le influenze ci sono state e sempre ci saranno, anche nelle semplici chiacchierate con le persone che conosci e con cui ti confronti sulla musica.
Quindi se ti chiedessimo cinque album che dovremmo ascoltare per essere come te, vuoi dirci che tu non ce li avresti?
Appunto, no! Anche se non posso non citare “Studio Tan” di Frank Zappa, che mi ha davvero cambiato la vita.
Ma lo sai che inizialmente avevamo pensato di intervistarti per la rubrica Giant Steps, salvo poi renderci conto che, anche se giovanissimo, sei ben al di là degli “standard” dei tuoi coetanei? Tu, in realtà, come ti senti?
Ormai sono tanti anni che faccio musica, quasi unidici, e penso di potermi ritenere abbastanza soddisfatto della mia crescita, anche se sono un nome abbastanza nuovo all’interno della scena. Nonostante negli ultimi tre anni siano uscite diverse cose di cui vado fiero, penso di avere ancora tanto da imparare e tanto ancora da fare prima di ritenermi davvero completamente soddisfatto.
Un mio amico promoter del Goa di Roma mi ha riferito che tu, uno o due anni fa, gli avresti confidato che tutto ciò che guadagni lo investi in nuova strumentazione e in dischi, come se in realtà si stesse trattando di una passione che alimenta se stessa. Quando pensi di far diventare tutto questo davvero il tuo lavoro? Intravedi uno step successivo a questa fase?
Onestamente non ne ho la più pallida idea. Ora che faccio l’università questa dimensione mi sta bene e sarà così fin tanto che riuscirò a tenere duro. In futuro, poi, si vedrà: potrà capitare che il tempo si farà via via di meno ma chiuderò davvero con la musica solo se questa diventerà un peso e smetterà di essere così importante all’interno della mia quotidianità.
In realtà tu hai inteso la domanda in un’accezione negativa, l’opposto di come l’abbiamo pensata noi…
Lo so, ma finché i promoter italiani continueranno a vederla in certo modo, privando molti giovani come me dell’opportunità di suonare e crescere, mi è quasi impossibile intendere quella domanda in chiave positiva. Paradossalmente sono molto più fiducioso per l’estero, da cui stanno arrivando diverse richieste dopo l’uscita dell’album.
Cambiamo radicalmente tema: nell’intervista che tempo fa ci hai concesso insieme a Marco D’Aquino ci hai detto che, se non avessi fatto musica, avresti provato col pugilato. Cos’è questa storia?
In realtà mi alleno tutt’ora, ma non ho mai pensato di combattere anche se ai tempi di quell’intervista ci davo dentro con impegno.
Pugilato, ma soprattutto la musica: sei un giovane tutto sommato atipico. Come ti vedevano e ti vedono i tuoi coetanei?
Io non mi sono mai sentito lo “strano” del gruppo, grazie al cielo molti dei miei amici più stretti vivono la musica intensamente.
Ultima curiosità, prima di chiudere: perché i ninja sarebbero un “branco di froci” (ascoltate “Useless Stop Motion”)? Da dove hai tagliato il campione?
Non posso dirvi da dove viene il campione, sarebbe bello che qualcuno lo indovinasse. Comunque ci tengo a precisare che adoro i ninja, spaccano!