Dopo quattro giorni passati in un festival del genere (se di festival si può parlare) dove qualsiasi aspetto preso in considerazione si è rilevato impeccabile, è quasi un’impresa riordinare le idee senza un pizzico di malinconia; quella sensazione che sicuramente ha accompagnato più o meno ognuno di noi quando eravamo ancora dei bambini, dove nel lasciare il posto di vacanza si ripensava continuamente a quei giorni passati nel pieno del divertimento totale. Beh, l’Hideout ha avuto su di me e su i miei compagni di viaggio, proprio questa energia, dopo aver partecipato a numerosi festival in giro per l’Europa o dopo aver vissuto scene musicali diverse, da tempo non tornavo a casa con una aria così soddisfatta di aver passato veri momenti di festa totale; devo ammettere che questi giorni trascorsi nella calda Croazia mi hanno entusiasmato fino al tal punto di superare le ardue previsioni coltivate per mesi.
Dopo un viaggio notturno in auto Roma – Novalja durato 9 ore filate, senza neanche un imprevisto arriviamo a destinazione; il paesaggio che si presenta ai nostri occhi è di quelli surreali, il contrasto tra mare (e che mare!!!) e le colline deserte croate è qualcosa di veramente unico. Tempo di arrivare nel centro di Novalja ritirare le chiavi dell’appartamento, scaricare i nostri bagagli e via diretti verso Zrce Beach, location del festival che dista a circa 3 km dal centro, per renderci finalmente conto di cosa ci aspetterà nei giorni successivi. Con un caldo afoso bestiale e sotto ad un sole cocente vaghiamo sulla spiaggia semi deserta alla scoperta dei quattro locali che ospiteranno tutto quel “ben di Dio” di artisti. Capiamo subito che il Papaya Club ci regalerà molteplici gioie grazie alla sua piscina dove si svolgeranno i numerosi pool party e al suo bellissimo “main stage” che ricorda vagamente il dancefloor del Cavo Paradiso di Mykonos, ma sopratutto a quel bunging jumping di 42 mt. sullo sfondo che renderà la situazione tutta molto più estrema. Con la stanchezza che sta prendendo il sopravvento diamo una veloce occhiata agli altri tre locali (Aquarius 1, Aquarius 2 e Kalypso) e dopo aver soddisfatto la nostra immensa curiosità, ce ne torniamo diretti in appartamento a dormire finalmente qualche ora, prima che arrivi la prima notte con il pre-party del festival nel quale si esibiranno Heidi e Michael Mayer al Papaya.
Il risveglio non è dei migliori, la stanchezza del viaggio non è recuperata del tutto e il clima equatoriale non ci aiuta di certo; cerchiamo di acquisire energie con una ricca cena e senza esitazioni ci dirigiamo verso Zrce Beach. Una volta registrati i nostri nomi nell’info point dedicato alla stampa e con la successiva consegna dei bracciali e del programma dei party ci avviamo verso il Papaya. Di notte la spiaggia prende vita, a differenza del mattino, acquisisce una visione indubbiamente più trasgressiva anche grazie ai giochi di luce che fuoriescono dai vari club. Sicuramente più popolata, inizialmente non troviamo quell’affluenza che ci aspettavamo, ma le nostre affrettate visioni vengono subito smentite una volta all’ingresso del locale. Ad aspettarci c’è una fila kilometrica che riusciamo con maestria (tipicamente italiana) ad evitare e finalmente siamo dentro. Il locale è pienissimo, gente arrampicata ovunque, c’è chi preferisce godersi la musica “a mollo” in piscina e chi a braccia alzate sotto cassa nel “main stage” e piano piano iniziamo ad assaggiare quel clima di festa particolare che ci accompagnerà per tutto il festival; notiamo subito con piacere che l’affluenza femminile supera di gran lunga quella maschile e questo sarà un aspetto fondamentale da non sottovalutare sopratutto considerando la tipologia di evento in questione. Intanto il visual ci ricorda che in consolle è salita Heidi e il cambio di sonorità è evidente, ci affrettiamo a finire i nostri long island e ci dirigiamo nel backstage del palco cercando di catturare qualche immagine e di fare giusto qualche video; riusciamo a malapena a tirar fuori la videocamera che la bella ricciolina olandese (in questa occasione con capelli raccolti e vestitino blu elettrico da sera) ci sfodera un “Tiga – Plesure From The Bass” che manda in visibilio l’intero locale, capiamo fin da subito che saranno due ore e mezza di dj set senza respiro, e non ci sbagliavamo di certo. Non solo il dancefloor sembra apprezzare il sound proposto da Heidi, anche noi rimaniamo coinvolti a pieno dal suo carisma e dalla sua furba selezione che spazia tra hit e dischi più ricercati sempre caratterizzati da travolgenti ripartenze. Il tempo passa velocemente, la stanchezza torna di nuovo a darci noia, stringiamo i denti per sentire un’oretta di Michael Mayer ma il dj set proposto dal tedesco non riesce ad entusiasmarci così tanto da non sentire la debolezza di un viaggio in auto con poche ore di sonno sul “groppone”; quindi decidiamo che per oggi può bastare e torniamo in appartamento a recuperare le energie in vista del tour de force che ci aspetterà nei prossimi giorni.
Il primo giorno ufficiale del festival non può che iniziare nel modo migliore per noi con un bel boat party firmato dallo showcase Jackathon dove ritroveremo appunto Heidi insieme ai Soul Clap. Ricaricate le energie, in tarda mattinata ci dirigiamo verso il porto di Novalja, per mangiare qualcosina e sopratutto per incontrarci con lo staff del festival per ritirare i bracciali della festa in barca da noi tanto attesa. Una volta giunti al punto d’incontro, dopo le dovute presentazioni, veniamo dirottati senza esitazione verso il centro storico di Novalja, e dopo una bella camminata a piedi per le vie del paese, rigorosamente sotto un sole da sturbo, giungiamo davanti alla sede comunale dove ci aspetterà una breve ma intensa riunione con organizzatori e altri addetti stampa. Gli argomenti trattati variano tra cenni storici e curiosità sulla cittadina di Novalja fino ad arrivare alle presentazioni e considerazioni dell’Hideout festival; ci tengono a precisare la ottima riuscita del primo anno e sottolineano con orgoglio l’affluenza prevista per questa seconda edizione (dalle 4000 persone della stagione passata si è passati a toccare quasi le 9000); interessati ma con la testa già sul boat party aspettiamo la conclusione della riunione, e quando ci viene proposto di farci un giro nel centro storico del paese con annessa visita in un museo (di non so che cosa), ringraziamo ma sviamo la situazione con una sparizione stile David Copperfield. Ci affrettiamo a raggiungere di nuovo il porto e ritirare finalmente i pass per la nave e con ampio fomento ci dirigiamo verso l’imbarco, pochi secondi di fila e siamo sopra. Saliamo in cima fino a giungere in consolle dove notiamo con dispiacere che dei Soul Clap ce n’è uno solo, Elyte, che con microfono in mano e sguardo fisso sul mixer si appresta a scaldare la situazione con dei pezzi cantati a volume moderato. Tempo di sistemarci e scambiare due battute con Heidi, e la nave inizia a lasciare il porto con successivo inizio ufficiale del party. Oramai siamo a largo, la terra ferma è distante il volume si alza e lo stile inconfondibile dei Soul Clap prende piede; due ore di dj set tra sonorità nu-disco pop e cantanti mozzafiato, sound perfetto per la situazione; ci affacciamo per vedere cosa sta succedendo in “pista” e l’atmosfera che si respira è unica; gente in delirio, sorrisi a trentadue denti e braccia verso il cielo. Le ore passano rapidamente, ma il sole, nostro peggior nemico, non vuol saperne di affievolire le temperature bollenti, intanto in consolle è il turno di Heidi, ci penserà lei a farci scatenare senza pensare ad altro. Con l’olandese i bpm si alzano decisamente e il groove diventa avvolgente, dj set diverso da quello ascoltato la sera prima ma coinvolgente alla stessa maniera; decide di spaziare tra classici house, bootleg e pezzi più spinti che manderebbero in estasi chiunque. Quattro ore di pura festa sono passate velocemente, la pista ringrazia, noi arrossati ma felici come dei bambini al luna park ci godiamo, a malincuore, contornati da un paesaggio magnifico, l’ultimo disco (bootleg con l’immenso vocal di Marvin Gaye in Sunny) mentre rientriamo con andatura lenta verso il porto. Siamo di nuovo sulla terra ferma diamo un occhiata all’orario e al programma del festival, ci accorgiamo che siamo in tempo per una bella rinfrescata nel pool party che si sta svolgendo al Papaya club dove stanno suonando in back to back due ragazzetti “tranquilli”: Subb-An e Adam Shelton. Una volta in auto ci dirigiamo senza esitazione verso Zrce Beach; la spiaggia è stata presa d’assalto, l’esaltazione per il primo giorno ufficiale del festival è evidente. Gente sparsa ovunque, c’è chi preferisce rimanere a riva spalmati sugli asciugamani tra un bagno al mare e il sound in sottofondo del duo firmato “One Records” e chi come noi vivere la situazione in prima persona direttamente in piscina con il volume ad alti livelli e un quantità inaudita di bikini. Una volta saliti in consolle ci capacitiamo della splendida vista che hanno i due dj: dancefloor pieno, scatenato e danzante posizionato intorno o immerso (molti di loro vestiti) nelle 2 piscine principali contornato da un panorama pazzesco, un mix tra mare e colline…beh…una vera goduria per gli occhi. Il dj set è travolgente, i due si completano a vicenda; noi dopo qualche foto e video decidiamo di scatenarci per bene a bordo piscina fino al calar del sole quando la fame inizia a farsi sentire e il bisogno di una doccia fresca diventa vitale.
Dopo esserci rifocillati per benino e rimessi a nuovo per la serata, ci ritroviamo in spiaggia dove la notte inizia a donare meraviglie, infatti ci dirigiamo presso l’Aquarius dove è cominciato da pochi istanti uno dei dj set tanto atteso da mesi: Caribou vs Four Tet. Le parole potrebbero risultare banali per descrivere un sound del genere; un misto tra elettronica sperimentale pura e chiari spunti techno che ci lasciano affascinati e increduli con lo sguardo ipnotizzato per due orette verso la consolle. Purtroppo ci vietano di riprenderli, ma con un pò di furbizia (rischiando anche la vita eheh) riusciamo a catturare alcuni momenti della loro maestosa esibizione. E’ tardi, la griglia con i vari orari delle performance ci obbliga a dirigerci verso il Kalypso dove sta già suonando da un’ora circa Maceo Plex, ma una volta entrati nel locale in consolle vediamo esibirsi Kerri Chandler; pronto lo staff del festival ci comunica che lo statunitense ha avuto dei problemi con la coincidenza del suo volo e non farà parte dell’Hideout. Per consolarci da questa triste notizia, affoghiamo i nostri dispiaceri in alcune caraffe alcoliche, che come per magia ci daranno nuova ninfa per le nostre capatine tra i vari locali per ascoltarci e documentare sprazzi dei dj set di Kerri Chandler, Erol Alkan e Jackmaster.
Il secondo giorno ha inizio con qualche ora di relax in riva al mare di Zrce Beach, lettino forzato a causa del tipo di spiaggia priva di sabbia ma composta da tanti di quei sassolini (secondo nostro nemico) che rendono antipatica addirittura l’entrata in acqua. Finalmente ci godiamo un “bagnetto” come si deve in questa acqua cristallina, tra topless mozzafiato e un sole che sembra essere “incazzato” nero. Ma in un attimo un echo di battito di cassa che fuoriesce dal Papaya ci ricorda che a breve saremo immersi nelle sonorità Hot Creations con il loro pool party ufficiale; decidiamo quindi di mangiare un panino al volo e ci addentriamo nel locale. Capiamo fin da subito che l’affluenza sarà di quelle memorabili, la consolle è stata spostata appositamente nel “main stage” e il locale inizia a riempirsi pian piano; in lontananza scorgiamo le movenze di un duo d’eccezione, l’inglese Cera Alba e ormai il veterano Richy Ahmed, fiore all’occhiello di casa Hot Creations. I bpm non sono alti le sonorità prevalentemente disco, due dischi a testa (scusate il gioco di parole) per scaldare la pista ancora semi vuota (come se ce ne fosse il bisogno); noi come al solito per affrontare meglio la giornata ci affidiamo a qualche caraffa alcolica e via diretti in consolle. Nel giro di una ventina di minuti il dancefloor sembra già pieno, i due dj iniziano ad alzare il ritmo con alcune ragazze in bikini che spruzzano dall’alto acqua gelida sulla folla infuocata rendendo la situazione piacevole, anche per chi è scatenato in pista sotto quel sole rovente. La festa prosegue alla grande intanto la gente impazzita si moltiplica, tra meno di un’ora salirà in consolle Jamie Jones e l’attesa si percepisce chiaramente; non me ne voglia Cera Alba, ma Richy Ahmed intanto sta tirando fuori dal suo repertorio perle d’alta scuola, che mandano in visibilio l’intera folla sudata; sullo sfondo abbiamo anche qualche squilibrato che decide di godersi il dj set lanciandosi dal bunging jumping; un insieme di situazioni che rendono l’atmosfera veramente unica. Il ricciolino americano è arrivato, alla folla impaziente accenna un saluto, si rinfresca a dovere con un pò d’acqua e mentre mangia qualche pezzo di pizza di nascosto inizia a cercare nel suo mac la traccia con la quale iniziare il dj set. Dal primo disco messo capiamo subito che continueremo a sudare più del previsto, il cambio di ritmo è apprezzabile, il dj set impeccabile e mai banale, un misto tra le sonorità Hot Creations, dove il giro di basso la fa sempre da padrone ed i suoni ipnotici tipici che lo caratterizzano. Il tempo passa, il set va avanti per due ore in crescendo, la pista trasportata da reverb e ripartenze è diventata una bolgia, oramai c’è gente ovunque che si lancia da desta a sinistra e anche noi danzanti e sopratutto appagati ci godiamo questo spettacolo sublime fino alle prime ore della sera.
Il nostro nemico sole è tramontato, le prime ore della notte rendono il clima fresco, e la seconda serata del festival per noi inizia con una piacevole sorpresa, l’orario ci obbliga a concentrare la nostra attenzione su Daniel Pierce in arte Eats Everything. Abbiamo seguito in passato molte sue produzioni ma in Italia non siamo mai riusciti ad ascoltarlo, quindi senza esitazione raggiungiamo l’Aquarius che sembra già essere strapieno. Sono le prime ore del festival, eppure i bpm sono altini; in consolle l’inglese non passa di certo inosservato sia per la sua stazza sia per il sound che sta proponendo; un coinvolgente mix tra hit, cantati e pause “brekkate” che vengono valorizzate ancor di più da un getto d’aria fredda che fuoriesce con violenza da sotto consolle verso pista ad ogni ripartenza, in pieno stile Ibiza. Purtroppo non possiamo rimanere fino all’ultimo disco, al Papaya sta già suonando da un’oretta Maya Jane Coles e ci affrettiamo a raggiungerla. Come al solito “main stage” pienissimo di gente con i suoi splendidi giochi di colore; ma qui a malincuore, devo registrare la nota dolente della serata; purtroppo l’esibizione della piccola inglesina non riesce ad esaltarmi come pensavo; trovo la sua selezione, tolto qualche disco dal mood acid, piatta e troppo ricercata per un dj set di un festival, sarà l’orario nel quale sta suonando, sarà che la preferisco quando si esibisce nei piccoli club dove può esprimere in libertà tutto il suo estro, ma questa prestazione secondo me non rimarrà negli annuali dell’Hideout. Siamo a centro serata, le esibizioni degli artisti migliori si sovrappongono, quindi ci convinciamo che il modo migliore per ascoltarli e documentarli tutti sia intraprendere una vera e propria maratona in spiaggia partendo dal Papaya dove intanto è risalito in consolle Jamie Jones che sta proponendo un dj set ben diverso da quello pomeridiano, improntato più su sonorità techno e synth “viaggiosi”.
Iniziamo ad incamminarci in spiaggia, prima passando per qualche attimo all’Acquarius dove incrociamo le sonorità di Claude VonStroke, e poi diretti al Kalypso dove passeremo qualche oretta grazie all’ottima performance di Julio Bashmore (finalmente riusciamo a sentire dal vivo anche lui dopo averlo apprezzato come produttore) e al dj set spietato di Blawan che ha cappottato, nel vero senso della parola, la pista esultante. Il mattino sembra lontano sopratutto se ad aspettarci c’è un set di tre ore di Loco Dice; quindi ultima camminata olimpionica e ci ritroviamo nuovamente nel Papaya. Il clima di festa è alle stelle ci avviciniamo in consolle dove scorgiamo un Loco Dice visibilmente compiaciuto dalla situazione (e a dire la verità anche un pò appesantito), sembra veramente il padrone di casa, il feeling con la pista che accompagna tutta la sua selezione è unico. Il suo stile lo conosciamo benissimo, la fanno da padrona reverb, delay, pause e ripartenze ma quando vedi un tale trasporto della gente tutto ti sembra esclusivo. Con i primi raggi di sole che spuntano tra il mare e quelle colline esotiche ci buttiamo in pista per goderci gli ultimi attimi di festa, il pazzo Dice ci regala un disco chiusura degno di nota una “Voice Of Life – The Word Is Love” che si appropria con decisione delle nostre ultime energie rimaste. Sfiniti fissiamo il nostro nemico sole, impavido ci ricorda che è ora di ritiraci in appartamento, il nostro passo stremato verso l’auto è la chiara sintesi del risultato di una notte impegnativa e veramente intensa; intorno a noi c’è ancora gente che corre qua e la, c’è chi ha ceduto definitivamente e si è disteso al suolo in riva al mare, o chi come qualche pazzo scatenato tenta ancora di accodarsi per il bunging jumping, del resto non c’è cosa migliore di un salto nel vuoto prima di mettersi a letto no?
E’ domenica. Ci svegliamo consapevoli di affrontare l’ultimo giorno del festival, sappiamo bene cosa ci aspetterà, un’altra giornatina movimentata è alle porte; i nostri volti gonfi non ci demoralizzano anzi l’orario ci costringere ad affrettare il risveglio munirci di costume, occhiali da sole, asciugamano e catapultarci in spiaggia. Zrce Beach in queste ore di primo pomeriggio è più popolata del previsto, il festival del topless sembra un degno concorrente a quello musicale, intanto ci comunicano che Seth Troxler ha avuto dei problemi con il volo e non parteciperà al pool party del Papaya, ma tra una spensierata abbronzatura sul lettino e qualche bagno rinfrescante la notizia non sembra colpirci affatto.
Il party è iniziato già da un’oretta, dopo una breve sosta dedicata al cibo, decidiamo di entrare e abbandonarci definitivamente a quest’ultimo giorno di festa. Notiamo subito con piacere, che l’assenza di Troxler ha rivoluzionato gli orari delle performance dei dj, trovando in consolle tutta la sensualità possibile immaginabile di una guest d’eccezione: Nina Kraviz. Una volta raggiunta la consolle, tra un mojito e “decine” di bottigliette d’acqua, ci godiamo il suo dj set, del resto la sua selezione è sempre impeccabile, fatta di House, Techno, Detroit, Chicago, sorrisi e quei balletti che la caratterizzano; dietro di lei Ben Klock monitora il tutto stile guardia svizzera. La vista dall’alto è come sempre unica, il mix tra la folla danzante in piscina e il mare contornato da quelle colline aride è una fiabesca immagine che difficilmente toglierò dalla testa. Tre ore di dj set passano velocemente, nel frattempo l’inglese Geddes cerca di farsi largo tra cavi e varie operazioni di montaggio del suo “arsenale”; è quando tutto sembra essere pronto e si sta accingiendo a mixare il suo primo disco, come per magia dalle retrovie del backstage, spunta il volto di Seth Troxler che in pochi secondi raggiunge la consolle e si appresta ad improvvisare qualche ora di back to back. La folla sorpresa lo acclama, i due divertiti iniziano a destreggiarsi in una selezione senza esclusioni di colpi, peccato non possiamo goderceli fino in fondo, consapevoli di riascoltare lo statunitense in serata, siamo obbligati a rientrare in appartamento, un impegno calcistico importante ci aspetta.
Accantonate le delusioni calcistiche (ehehe), torniamo nelle prime ore della notte in spiaggia, Zrce Beach ci aspetta per il saluto definitivo. Quest’ultima serata di festival sembra popolata come non mai; per fortuna non dobbiamo affrontare camminate epiche, gli artisti che vogliamo ascoltare si esibiranno, tanto per cambiare, tutti nel Papaya Club. Il primo della lista è Damian Lazarus con abbigliamento per niente adatto al caldo umido che ci circonda; ci delizia di un dj set vario e interessante; il boss di casa Crosstown Rebels si diverte a passare tra groove più spinti, hit della sua acclamata etichetta fino ad arrivare a dischi gloriosi come “Ame-Rej” per la felicità della folla impazzita. Il secondo della lista è proprio Seth Troxler, con lui abbiamo un conto in sospeso dal pomeriggio, ma la selezione proposta non ci soddisfa per niente, ben lontana dal set trascinante del pomeriggio; rimane, per i nostri gusti, troppo particolare e senza via d’uscita non riesce ad entusiasmarci più di tanto. Siamo nel backstage del main stage, sorseggiamo vodka-red bull, tra moltissimi dj e addetti ai lavori che scambiano tra loro opinioni e considerazioni su questo festival oramai quasi giunto al termine; quando entra in scena, da un accesso nascosto, Ricardo Villalobos accompagnato da quattro o cinque suoi seguaci (uno per ogni borsa di dischi); sembra “Dio sceso in terra”, tutta l’attenzione è rivolta verso di lui, verso ogni suo movimento, ogni sua parola. Lo staff addirittura si adopera per creare con delle transenne un passaggio personale verso la consolle senza dover passare tra noi comuni mortali; ci viene imposto di documentare solo i primi quindici minuti della sua performance, scelta discutibile che ancora oggi non riusciamo a condividere e sopratutto a comprendere…o forse si. Seth Troxler sta suonando il suo ultimo disco, Ricardo Villalobos compiaciuto raccoglie gli urli del pubblico a suo favore, mentre apre quei borsoni strapieni di vinili, consapevoli di non poter ascoltare fino in fondo il set proposto dal cileno, a causa del lungo viaggio di ritorno che ci attenderà la mattina seguente, ci posizioniamo tra folla e palco proprio per goderci a meglio l’esibizione. Le nostre orecchie godono come non mai, cerchiamo di documentare il tutto il più a lungo possibile ma il buttafuori ci ha puntato diretti, non abbiamo scelta dobbiamo far rientrare la nostra videocamera nello zaino. Senza esitazione ci gustiamo più di un’ora della genialità e ricercatezza di Villalobos, lo conosciamo bene, benissimo; ma ogni volta che lo si sente la sensazione è quella di essere la prima volta, selezione sempre diversa, originale e mai banale.
E’ ora di andare. Ci guardiamo negli occhi e a malincuore ci convinciamo a lasciare tanto ben di Dio che ci ha avvolto per quattro lunghissimi giorni, un’esperienza di festival e di musica unica nel suo genere, perfezionata dalla impeccabile organizzazione che ha reso tutto più agevole e gradevole; e poi c’è lei, la location scelta che si sposava perfettamente con il clima di festa creato dai 9000 giovani accorsi accorsi sull’isola.
Un ringraziamento speciale và ai ragazzi dello staff dell’Hideout sempre gentilissimi e cordiali nei nostri confronti, ma sopratutto ai quei “ragazzacci” di Soundwall per ovvi motivi. Nei prossimi giorni sarà pubblicato un video-documentario dove sarà possibile rivivere più da vicino suoni, colori, atmosfere e tutto quello ci ha circondato in questi entusiasmanti giorni in Croazia.