Mi rendo conto che sia un po’ boriosa come affermazione, ma tant’è: dopo tanti anni con la faccia religiosamente immersa dentro al piatto della mia passione più grande, sono arrivato a un punto in cui difficilmente – ma per fortuna capita ancora – esco da un evento musicale con quel passo svelto e quasi saltellato di quando non riesco a controllare l’adrenalina scaturita da una genuina euforia per ciò che ho appena visto/vissuto. E tanto meno pensavo sarebbe successo in questo frangente, anche se quella benedetta parte impulsiva del mio subconscio che ha considerato sensato prendere due voli per l’Olanda nel giro di dodici ore, in settimana, per vedere un artista divenuto (da anni) francamente dimenticabile, forse in cuor suo lo sapeva. Non so come abbia fatto, ma ci ha azzeccato oltre le più rosee aspettative.
Ma partiamo dal principio: cos’è HOLO? Si tratta di uno show audio/visuale rivoluzionario partorito dalla mente del DJ/Producer svedese Eric Prydz quasi dieci anni fa, prima sotto il nome EPIC 4.0, poi EPIC 5.0 e infine – appunto – HOLO. Un concept innovativo dove musica e tecnologia di ultima generazione si fondono in una sinergia multisensoriale che coinvolge lo spettatore in maniera totalmente immersiva dall’inizio alla fine. La particolarità di questo show sono, nomen omen, gli ologrammi in 3D che a tratti sembrano davvero uscire dal palco per tracimare in pista. Nessun occhialino scrauso necessario, tutto naturalmente godibile grazie a un intricato sistema di pannelli LED che non avrei le conoscenze tecniche per spiegare, ma il cui risultato è oggettivamente sbalordente. Un’altra particolarità di questo show è che si tratta di un evento assai raro: si contano una manciata di date nel corso degli anni, cosa per me assurda vista la qualità e l’unicità del format, ma forse questa mancanza è da attribuire più alla paura di volare del protagonista che da possibili complicanze a “spostare il carrozzone”.
Un piccolo antipasto; continua sotto
Ora, prima di entrare nel succo della mia esperienza diretta, peró, si rendono necessarie alcune premesse: first and foremost, non bisogna affacciarsi a HOLO con l’unità di giudizio di un normale DJ set e neanche di un LIVE perchè non è nessuna delle due cose, o quanto meno la performance dell’artista non è stata il centro dell’attenzione. La presenza del DJ/Producer svedese dietro al muro di LED sembrava più un mero accarezzamento dell’ego dell’interessato piuttosto che qualcosa di necessario. Anzi, non mi sorprenderebbe se il buon Prydz avesse solo schiacciato play e/o magari spippolato sui filtri giusto per non annoiarsi. E aggiungo, qualora la suddetta sensazione venisse confermata, questo non sposterebbe di un centimetro il mio giudizio complessivo sull’esperienza. Questo perché – e sono contento di fare eco al compianto Stefano Marano che scrisse lo stesso qualche anno fa su DJ Mag – HOLO gioca un campionato a parte. Uno in cui esistono unità di misura differenti e dove, a discapito della citazione di un caro amico soundwalliano, i fuochi d’artificio stavolta li fa proprio il palco, altro che il DJ. E sinceramente va proprio bene così. Sappiatelo: se odiate la gente coi cellulari in mano non passerete una bella serata. Detto questo, vi sfido a vedere questo show senza filmare neanche un secondo, perchè l’istinto immediato è quello di catturarne la bellezza e farla vedere a qualcuno a casa. O forse per rivederlo a bocce ferme e rendervi conto che in video non rende un centesimo rispetto all’impatto reale.
Chi mi conosce sa quanto i visual dei Chemical Brothers siano da sempre il mio benchmark dei visual nella musica elettronica. Ecco, HOLO li mastica, li ingoia, li espelle e poi ci passa sopra con la macchina un paio di volte per finire il lavoro. E fidatevi, mi costa tanto dirlo. E sia chiaro anche questo, a scanso di equivoci: la parte musicale è altrettanto valida, davvero. Non aspettatevi le cafonate carnevalesche tipiche di certe correnti commerciali a cui uno show del genere potrebbe tendenzialmente fare l’occhiolino. Le produzioni, ovviamente tutte (o quasi) targate Prydz – da Pjanoo a Opus a remix meno noti, tutti perfettamente intarsiati alla componente visiva – sono notevoli esempi di come si possa creare uno show puramente orizzontale in termini di target senza trascendere nella scontatezza musicale che – tutt’altro che paradossalmente – sarebbe una maniera facilona per abbracciare un pubblico ancora più vasto.
Sono state due ore – più un ottimo warm up autoctono targato Joris Voorn, in un’insolita veste progressive – dove era tutto talmente figo da dispiacersi di dover andare in bagno per paura di perdersi qualcosa, esattamente come se fossimo al cinema di fronte a un film dagli effetti speciali mozzafiato. Ieri sera una location ideale come lo Ziggo Dome e la cornice festaiola dell’Amsterdam Dance Event – per gli amici ADE – hanno fatto il resto: due date andate sold out in un amen, il patrocinio di Tomorrowland a garantire la qualità logistica – un impianto davvero prepotente, e non era scontato in un posto simile – e gente di ogni età a gremire dancefloor e spalti. Una combinazione letale che mi ha lasciato addosso una sensazione antica, di quelle che scaldano il cuore anche in una fredda giornata olandese alla rincorsa dell’aereo che mi ributterà nella mischia della vita di tutti i giorni. Almeno fino alla prossima avventura.