Iniziamo col chiarire un concetto: la Boiler Room non esiste, o almeno non esiste nel senso convenzionale del termine. Ecco, l’ho detta grossa. Ok, forse è meglio precisare perché è lapalissiano che io abbia usato un’affermazione tanto controversa quanto poco attinente alla realtà “fisica” di questo pianeta: quello che intendevo dire è che ciò che rende grandiosa l’idea “Boiler Room” è che questa scatola magica, dove migliaia di curiosi possono sbirciare standosene comodamente seduti a casa, è ovunque e quindi da nessuna parte. Berlino, Londra, New York o Los Angeles, non importa. La Boiler Room, in buona sostanza, siamo tutti noi che ci sintonizziamo, stile americani davanti al Super Bowl, per godere della musica e delle immagini del nostro dj preferito. Alt, ho detto “preferito”? Ecco la solita imprecisione. No, non è vero – o fortunatamente lo è solo in parte – perché ciò che veramente rende incredibile la Boiler Room è che quelle quattro mura e quella telecamera sono talmente democratiche da dare voce a chiunque abbia la credibilità e il talento sufficienti per piantarsi un’oretta in diretta mondiale e farci sentire il suo sound. Non si parla dei soli quattro big, quelli che presenziano ad ogni grande evento e che, diciamocelo, fanno parecchia terra bruciata intorno alle nuove leve con la loro invadenza/tracotanza. Ci sono anche loro, per carità, ma qui fondamentalmente le cose seguono regole diverse. Non c’è da stupirsi, per questo motivo, se show memorabili si alternano, senza il benché minimo segno di cedimento, ad altri meno interessanti. La straordinarietà sta proprio in questo: la Boiler Room ha saputo mettere tutti d’accordo. Vuoi Richie Hawtin? C’è stato; ti piace il sound Innvervisions? Andatevi a ripescare il loro set dalla camera d’albergo durante l’ADE; e Seth Troxler? Pure; impazzite per la selezione musicale di Thom Yorke? Ovviamente c’è stato anche il suo dj set. L’elenco è infinito e si passa, con irrisoria facilità, da Dettmann a Caribou, da Jamie XX a Nina Kraviz, da Four Tet a Mr. G. Mainstream ed underground non sono mai stati tanto vicini tra loro e badate bene, questa volta non è un male.
Alla luce di tanto hype, potevamo farci scappare l’opportunità di assistere live allo show londinese che ha visto Jamie Jones e la sua banda lo scorso 30 ottobre? Come avrete modo di capire dalle parole di Diego e Mauro si è trattato dell’ennesimo successo. E allora non ci resta che ripeterlo: lunga vita alla Boiler Room!
Matteo Cavicchia
Entriamo subito dopo le 20 e ad accoglierci c’è Miguel Campbell ai decks. Ebbene sì, l’autore della super hit “Something Special” è riuscito ad aprire in grande stile musicale la Boiler Room X Hot Creations. Pochi dischi, ma una selezione perfetta e in buono stile warm up hanno caratterizzato la sua performance. La gente, fronte e rentro la consolle, ha apprezzato parecchio il sound, e anche noi siamo rimasti molto convinti. Neanche il tempo di fare un giro di perlustrazione della “room” che appare Craig Richards, colui che tiene in mano le redini di uno dei locali più famosi al mondo, il Fabric. Abbiamo avuto la fortuna di assistere interamente al suo dj set e ancora una volta abbiamo avuto la conferma che il suo stile è unico e incalzante. Il sound decisamente underground, che talvolta suona decisamente 90’s, coglie in pieno il mood dell’evento: dischi più cupi si alternano con altri più veloci ed incisivi, dimostrando tutto lo spessore del suo personaggio. Secondo noi Craig Richards è stato molto probabilmente il migliore dell’evento.
Giusto il tempo di un paio di drink e di quattro chiacchiere che è il turno di Jamie Jones. Che al signor Jones piaccia suonare davanti al suo pubblico non è una novità, ma che addirittura amasse così tanto stare davanti ad una telecamera, questo no. A lui il premio come “dj più scatenato della serata”. Un’ora di puro delirio tanto che più volte si ha l’impressione di esser tornati indietro di qualche mese e di calzare il dancefloor della terrazza del DC10. La carica musicale che ci ha trasmesso Jamie Jones davvero non ce la saremmo mai aspettati. Un set all’avanguardia, capace di conquistare in toto il pubblico presente ai Corsica Studios: instancabili, i presenti non ha mai smesso di ballare ed il caro Jamie lo ha notato (e apprezzato), mentre passava il testimone al suo socio Lee Foss. Gli ultimi quarantacinque minuti di diretta devono esser sembrati al pubblico della Boiler Room un bottino toppo magro, vista la qualità del set dell’americano. Lee Foss, infatti, non ne sbaglia una come spesso gli capita quando si trova nella città europea che preferisce e che lui considera la sua seconda casa. Il suo set è stato caratterizzato da un deep house che ha saputo strizzare l’occhiolino, spesso e volentieri, ad un groove più deciso. Se la festa si è chiusa in bellezza è anche merito del suo particolarissimo sound e della sua voglia matta di suonare.
Davvero una bella festa! Bravi tutti, dagli organizzatori alla crew Hot Creations.
Report: Mauro Magni & Diego Martella