Ha il gusto del gioco avanguardistico il concept di partenza dell’ultimo lavoro, il sesto in studio, firmato da Peter Broderick, una delle punte di diamante della Erased Tapes. Tornano in mente i ‘giochi’ randomici e aleatori di John Cage (soprattutto quelli di “In A Landscape“, espressamente dichiarati come fonte d’ispirazione) ma anche molte delle pratiche creative di tutto Fluxus nello scoprire che il musicista di Portland si è affidato al lancio di un dado per gestire compositivamente uno spettro di note e una serie di versi prestabiliti. L’intento, almeno a giudicare da quello che lo stesso Broderick scrive in una lettera al fondatore e direttore artistico dell’etichetta Robert Raths, è quello di sperimentare una sorta di sparizione dell’autore a furia di lavorare ossessivamente sulla reiterazione dell’interpretazione (ne parla a proposito della propria versione di “In A Landscape”, che si troviamo come prima traccia vera del lavoro, ma il ragionamento è estensibile a tutto l’album). Non deve essere stata una sfida da poco per un artista che, dai suoi esordi con il progetto Eferklang nel 2007, ha fatto della spontaneità romantica uno dei caratteri fondamentali del suo stile pianistico. Come pure non deve essere stato un salto da poco quello che ha portato l’artista americano a cimentarsi, per la prima volta, con delle voci messe a reagire con le sue sessioni pianistiche: il brano che apre e dà il titolo al disco è una filosofica dichiarazione di intenti (“To remain at the beginning / Until the end / Starting anew every single moment / With regard for all living souls / And finding life in mistakes / And peace within chaos.”), mentre la cover di ‘Sometimes’ (originariamente firmata da Bridgid Mae Power) lo chiude aprendo alla forma canzone di stampo classico.
La dimensione estatica ed assorta è quella che domina la maggior parte delle composizioni, di volta in volta declinata verso un’attitudine minimalista (“Up Niek Mountain”, dedicata ad un contadino olandese diventato amico del pianista durante la sua ultima residenza olandese), lirica (‘Carried’) o espressionista (‘Under the bridge’). Ha i toni tenui di un acquerello, alla fine, questo disco, magari a volte un po’ lezioso ma comunque sempre emozionante e pieno di dettagli sorprendenti, fragile cristallo sonoro dalle tante sfaccettature. ‘Conspiralling’ è uno di quegli esempi che potrebbe sintetizzare l’intera opera: ha una struttura ritmicamente tumultuosa, segnata da un astratto crescendo emozionale e poi impreziosita da lontane eco di voci, come liberi ricami emozionali su una griglia rigida e sofferta.
Come la mesostica, mutuata da Cage, ‘Partners’ interseca le linee verticali della fibra lirica con quelle orizzontali del piglio freddo da esecutore distaccato, la linearità del controllo compositivo con la circolarità del caos ispirazionale. Forse non raggiunge i livelli di ‘How They Are’ (scritto durante un sofferto periodo di degenza ospedaliera) ma è comunque un lavoro denso e intellettualmente potente.