Niente e nessuno fermerà Arturo Capone: non c’è riuscita la pandemia, non c’è riuscito il fatto di vivere ed operare da sempre alla “periferia dell’impero” (anzi: ne ha fatto un punto di forza, un propellente emotivo), non ci sta riuscendo neppure un mercato dei dj che, nei nomi più hype, sta abbastanza impazzendo, con richieste stellate nell’hospitality e cachet che costringono i promoter ad alzare i prezzi dei biglietti e/o a tagliare su tutto il resto, oltre soprattutto a scipparli completamente della loro autonomia decisionale – perché comandano i numeri dei social, le date sciccose ad ibiza o a Tulum, i grandi apparati promozionali, non la specificità dei gusti. Perché il vero problema è questo.
Ma a Capone, cosa scippi? Da bravo kamikaze ma anche da bravo e vero appassionato di musica, ha le sue fisse e le persegue al di fuori di ogni trend. Non è un caso che le persone pure di cuore e di ideali si siano sempre trovate bene da lui (dal grande Weatherall un tempo, all’ottimo Vladimir Ivkovic adesso, per non parlare del culto caponiano verso Dj Harvey). Ci vorrebbero più persone così, in giro per il Belpaese (nota bene: per fortuna ce ne sono). E per questo entusiasmo misto a conoscenza e passione, a Capone alla fine si perdonano anche alcune uscite sopra le righe che ogni tanto gli vengono fuori, per il suo carattere prendere-o-lasciare e la sua scarsa propensione alle vie di mezzo nei giudizi. Anche se spesso, a distanza di tempo, fa ammenda (a modo suo).
Sia come sia: dopo essersi inventato i balli “rinascimentali” in palazzi antichi ma con dj “nostri” (Palazzo Lepri), l’ultima sua evoluzione lo ha visto atterrare in uno dei ristoranti / punti di ritrovo storici di Chieti, il felicemente risorto Bellavista, a cui ha iniziato ad offrire una line up che sarebbe dei sogni già per un club di qualità, figurariamoci per ciò che non è un club e non è certo abituato alla club culture. Anche questo è una prova di coraggio ed inventiva: tipo che “…voglio talmente tanto voglio fortissimamente fare le cose, che mi invento l’impensabile!”. Una bella lezione per chi invece ormai fa le cose solo col misurino.
Bando alle chiacchiere: questa la line up dei prossimi mesi:
Giusto qualche osservazione. Resta il rapporto fortissimo con la “legacy Weatherall” (quella che è ormai la residenza di A Love From Outer Space, l’invito a Tim Fairplay che di Weatherall era socio negli Ashopdells), resta solida l’attenzione verso i dj/producer italiani che fanno le cose per convinzione e talento e non per moda ed opportunità, intelligente il “recupero” di Ivan Smagghe, una chicca storica la presenza di Terry Farley, ma ciò che nel suo piccolo è davvero epocale è il fatto di riportare in Italia Sua Maestà David Holmes, che nel clubbing di oggi nessuno sa chi è, ma nel cuore di ogni appassionato di musica è una delle menti migliori abbia mai attraversato e mai attraverserà la musica da dancefloor più inventiva e “bastarda”.
Insomma: come potete vedere una programmazione tutt’altro che banale e ben lontana dalla solita “messa cantata” dettate dalle solite agenzie (quelle che creano i fenomeni e, al primo segno di cedimento, li sotterrano e non se li filano più). Una bella manifestazione d’amore e competenza. Fatta per giunta non in una metropoli, dove anche solo per meri motivi numerici sarebbe più facile trovare uno zoccolo duro di appassionati, ma in Abruzzo. Però in Italia, si sa, spesso i miracoli migliori e più creativi e sorprendenti avvengono in provincia. E questa cosa è davvero molto, molto, molto bella.