Peccando di superficialità si potrebbe dire che è tutta colpa di James Blake, ancor più adesso che è fresco di Mercury Prize. Ma la verità è che questa elettronica cantata (e con essa le figure di producer/singer congiunte in un’unica realtà) ribolliva già da parecchio tempo prima come un’enorme pentola a pressione, pronta a scoprire il coperchio alla prima occasione e risvegliare l’amore nascosto della comunità soft-elettronica. Comunità che negli anni è stata ben rimpinguata da Pitchfork a colpi di nomi electro-ma-non-troppo, perfetti per indie e hipster che cercano nuovi suoni ma non vogliono strappi vistosi, e che non nascondevano un certo vuoto da colmare dopo il declino del (sempre sia lodato) trip-hop di Massive Attack & co. E alla fine Blake ha rappresentato il classico riferimento-guida che tutte le scene e gli analisti han bisogno, mentre tutt’intorno andava fioccando un quantitativo di nuove personalità che ormai sta diventando un piccolo esercito: Jamie Woon, SBTRKT + Sampha, King Krule, John Talabot + Pional, Deptford Goth, Ryan Hemsworth, Jai Paul… ce n’è per tutti i gusti, e soprattutto ce n’è per almeno un disco a bimestre (il che a p4k provoca diffusi orgasmi, e non si può nemmeno biasimarli più di tanto).
Joy Wellboy è il duo composto da Wim Jassens e Joy Adegoke, approdati quest’anno alla BPitch Control in occasione dell’album “Yorokobi’s Mantra”. Quello che vedete qui sotto è la video-premiere italiana di “Mickey Remedy” e rappresenta esattamente quanto vi dicevamo sopra: la fusione armonica tra ritmo sincopato e voce raffinata, la melodia che si unisce alle sfumature più gentili della ricerca elettronica, tutto in omaggio di un ascolto che sia in grado di coinvolgere più o meno tutti. Magari togliendo anche il ‘più o meno’, perché in effetti trovare spiacevole materiale come questo è proposito abbastanza arduo. Sarà che pitchforkiani in fondo lo siamo un po’ tutti, anche se non lo ammetteremo mai. MAI.