Prima che arrivassero i vari Kindle, iPod, iPhone, Spotify e Deezer, partire per le vacanze voleva dire scegliere anche una discreta quantità di libri e dischi da portarsi dietro. Ci siamo passati tutti ed era davvero arduo riuscire a infilare in valigia tutto quello che si pensava di volere ascoltare in vacanza. Io sono sempre stato un fissato, e in qualche modo mi sono sempre dato delle regole: non più di dieci dischi, tutti abbastanza diversi, almeno due italiani, e qualcosa di “vecchio”. Dovendo pensare a un articolo estivo per Soundwall, ho provato a trasformare la mia mania analogica in un gioco, seguendo proprio quelle regole che il tempo aveva trasformato in ossessione. Qualcuno potrebbe leggerli come consigli per gli acquisti, e in un certo senso è proprio quello che sono.
Fuck Buttons – Slow Focus
L’ha scritto bene Nick Hornby nel suo ampiamente saccheggiato “Alta fedeltà”: in una compilation, ma anche in un disco, in un mixtape, in un dj set, a essere davvero importanti sono l’inizio e la fine. La traccia d’apertura e quella di chiusura. “Slow Focus” conferma in pieno la regola: i nove minuti di Brainfreeze sono un manifesto di estetica sonora in cui convivono tutti gli elementi che hanno reso popolari i Fuck Buttons. Ambient, techno, shoegaze, psichedelia, voci sinistre e atmosfere rarefatte, il marchio di fabbrica di chi dei marchi se ne fotte abbastanza. E non che il resto sia da meno. Anzi.
My Bloody Valentine – MBV
È tornato l’inverno. Pochi cazzi.
Il modo in cui il disco dei My Bloody Valentine è uscito, dopo ventidue anni d’attesa, alla chetichella, senza annunci, con la possibilità di essere ascoltato interamente su YouTube, ci dà la scusa per fare luce su un tarlo del mercato discografico attuale: per le moderne regole dell’hype conta più il modo in cui un album viene fuori piuttosto che il suo reale valore. Fatto sta che ormai i dischi interessano davvero solo nel corso della settimana di uscita, oppure nei mesi immediatamente successivi. Ecco, facciamo un gioco: riprendetelo ora “MBV”, senza hype, senza aspettative, senza niente. Scommetto che vi piacerà. Ne sono certo.
Machweo – Leaving Home
Di Machweo non so nulla se non che è un ragazzino di Carpi, i suoi lavori vengono pubblicati dalla Flying Kids Records, anche se un suo EP era uscito per una label messicana che si è rifiutata di stampargli il disco dopo aver scoperto che era stato reso disponibile in streaming su Rockit.
“Leaving Home” sa di albe e tramonti, al punto che fa la sua bella figura anche ascoltato in sequenza con il nuovo dei Boards of Canada. I riferimenti palesi sono a Shlohmo e alla Anticon quando ancora produceva roba bella. Merita più di un ascolto.
Sampha – Dual
Sampha è un esordiente, anche se probabilmente il suo nome vi risulterà tutt’altro che nuovo visto il suo coinvolgimento nel live di SBTRKT e le produzioni che ha curato per Jessie Ware, Drake e mille altri. “Dual”, fresco fresco di uscita per Young Gods, è il suo primo vero e proprio EP e ha tutte le carte in regola per fare il botto. Il suono è quello molto in voga, post dubstep. Il rhythm and blues moderno di chi non ha mai ascoltato R’n’B’. Whiteout, il nuovo singolo, è una vera e propria bomba.
Default Genders – Stop Pretending
Si è parlato molto di questo nuovo progetto di James Brooks, a causa del cambio di nome (inizialmente era uscito come Dead Girlfriends) e soprattutto per via delle implicazioni politiche contenute in Oh Fraternity, un brano che parla in maniera esplicita di abusi sessuali e che lancia un accusa alle strutture che dovrebbero occuparsi di certe tematiche. Noi facciamo quelli strani e parliamo di musica: per certi versi Default Genders ricorda alcune cose degli XX, ma con meno glassa e più inquietudine. Questo suo primo EP non convince del tutto, ma contiene un paio di pezzi di quelli che fanno fare bella figura in situazioni sociali difficili.
Nappy Dj Needles – A Tribe Called Kast
Una di quelle cose che andava tanto di moda dieci anni fa: prendere un disco di uno e mischiarlo con quello di un altro. Ce ne dimentichiamo spesso, ma Danger Mouse è uno che venuto fuori in questo modo qua e chissà che anche Nappy Dj Needles non abbia davanti a sé una carriera di quel tipo. L’idea è talmente semplice che quasi appare incredibile che nessuno ci abbia mai pensato prima: quelli di Outkast e A Tribe Called Quest sono, in qualche modo, due mondi affini. E allora perché non provare a prendere le strofe dei primi e farle girare sui beat dei secondi? Detto fatto.
“A Tribe Called Kast” è perfetto per l’estate, puro intrattenimento di qualità, e poi si scarica gratis da mediafire, quindi con i soldi rispamiati possiamo berci un paio di cocktail!
These New Puritans – Fields of Reeds
In parole povere: il miglior disco che vi potrebbe capitare di ascoltare in questo periodo insieme ai nuovi di James Holden e Jon Hopkins, e al tempo stesso anche il meno estivo di tutti.
Per certi versi i These New Puritans possono essere accusati di rincorrere sempre il trend giusto nel momento giusto: facevano indie-wave quando andava di moda la indie-wave, con il predente – “Hidden”- sembravano volere dare vita a uno strano incrocio tra post punk e dubstep, ora finalmente sembrano avere trovato la strada giusta finendo per suonare come un moderno incrocio tra Talk Talk e This Heat. “Fields of Reeds” è l’album ideale da ascoltare al ritorno da una serata sulla spiaggia di Fregene con Sebastian Ingrosso che mette i dischi e migliaia di coatti che ballano.
Potrebbe farvi tornare ad avere fiducia nei confronti della razza umana.
Daft Punk – Random Access Memories
“Ancora con ‘sti cazzo di francesi?” Sì, e allora?
Al di là del marketing, dell’hype, e delle valutazioni su cosa è lecito o doveroso aspettarsi dai Daft Punk nel 2013, quel che resta di “Random Access Memories” è un buon numero di canzoni di quelle che è davvero un piacere ascoltare e il tentativo palese di smarcarsi da un ruolo che più o meno gli è sempre andato stretto. Non sono degli innovatori, non lo sono mai stati, e non giocano più da un pezzo nel campionato della musica elettronica: i Daft Punk sono le uniche popstar vecchia maniera in un mondo popolato da stelline usa e getta. Sono i Michael Jackson di questa generazione e lo sono a modo loro, con lo stile e tutto il baraccone che ne consegue.
Non hanno sicuramente pubblicato l’album della vita, ma ascoltandolo ora, senza frenesie, non si può non constatare quanto scorra bene e con che gusto sia stato concepito.
Railster – Fields
Railster è uno dei migliori producer italiani su piazza, anche se sta a Londra.
Il suo nuovo EP è fresco fresco di uscita, su Beatport, per la Crackling Caps e dovreste davvero fare carte false per procurarvelo, perché tra tutti i nostri che negli ultimi anni si sono cementati con sonorità notturne, dai tratti quasi hip hop, wonky o come vi pare a voi sembra essere quello che ha davvero le carte in regola per lasciare un segno e farsi notare davvero nei giri che contano.
Duke Ellington, Charles Mingus & Max Roach – Money Jungle
Devo davvero spiegarvelo?
No, dai!