Se volete il pezzo lungo, che fa tutto un excursus storico e spiega le varie fasi del Cocoricò (e perché quella odierna è in qualche modo inevitabile, probabilmente pure necessaria), allora: andate qui. Un articolo costruito per un pubblico più generalista come quello di Rolling Stone, pubblico di lettori che magari non ha seguito per filo e per segno le varie evoluzioni della Piramide in collina e, insomma, ha bisogno di qualche coordinata in più rispetto al classico luogo comune – qualche volta un po’ confuso – del “tempio dello sballo e della perdizione”. Ma qui, a Soundwall, siamo fra amici. E siamo fra persone che sanno di quel che si parla. Possiamo andare più dritti al punto.
Molto più utile allora fare qui una guida molto più “on point”, sui modi in cui il Cocoricò è cambiato nel concreto e, anche, su come potrebbe cambiare certe abitudini. La prima di tutte è fondamentale: scoprire la necessità della prevendita on line. Senza girarci tanto attorno, in Italia si è sempre comprato pochissimo in prevendita. Un po’ per abitudine, un po’ perché da noi è sempre circolato tanto contante e poco pagamento digitale (per arretratezza tecnologica, per furberia fiscale in qualche caso), sta di fatto che siamo una nazione da sempre refrattaria alla prevendita. Prevendita che ormai per la musica live è sempre più necessaria, e questo piano piano ci sta entrando in testa (più a Milano che a Roma, a dirla tutta); ma il Cocoricò sta facendo capire che potrebbe diventare una strada obbligata e sana anche per il clubbing. Anzi: nel suo caso già lo è.
Tutti i primi eventi infatti sono andati sold out in un amen, e solo sulla base della prevendita on line. Un unicum. Certo: il Cocoricò ha strutturato un meccanismo per cui può esserci il “biglietto PR” anche con la prevendita in digitale, grazie a TicketSMS (e guarda caso lo stesso fa un’altra piattaforma di ticketing nata con il clubbing, l’italo-spagnola Xceed), in pratica si riesce a tracciare se il biglietto è stato venduto da un determinato PR o organizzazione di PR, ma sta di fatto che il passaggio fondamentale dell’assicurarsi prima l’ingresso e farlo in maniera smaterializzata, senza la necessità di stampare della carta (se della carta c’è, è per le richieste un po’ pre-moderne del nostro sistema fiscale), è un passo in avanti importante. Lo è per chi organizza: riesce a contare su un po’ di soldi in anticipo (necessari per la produzione logistica e, spesso, anche per pagare gli artisti in anticipo, ormai lo pretendono tutti, ciao ciao buste di contantoni in fine serata); riesce a capire con più accuratezza quanto pubblico ci sarà in serata; grazie alla profilazione anagrafica, riesce anche un po’ a capire che tipo di pubblico: età media, suddivisione di genere, zone di provenienza. Stracciarsi le vesti per la privacy è pretestuoso: nessuno “ruba” i tuoi dati, ma sapere se una serata avrà l’80% uomini o il 50%, se sarà fatta di gente del luogo o in arrivo da tutta Italia, se sarà fatta di ventenni o di trentacinquenni, beh, cambia le cose. Ti aiuta a settare meglio le necessità e la gestione del personale; e quindi, in linea di massima, a fare stare meglio te, cliente/clubber/consumatore.
(Benvenuti nel “nuovo” Cocoricò; continua sotto)
Ecco. Parlavamo di suddivisione di genere. Questo è un punto importantissimo. I post sarcastici di Riche Hawtin sul fatto che in Piramide ci fossero solo maschi ve li ricordate un po’ tutti, no? Bene: nella giornata ufficiale di riapertura, la percentuale di femmine presenti è stata di oltre il 40% (per la precisione: 42%) e ve l’assicuriamo – si vedevano tutte. Partiamo dal presupposto che un dancefloor bilanciato come genere, e non fatto di “solo braga” come si dice a Bologna, è mille volte meglio: più rilassato, più festoso, più morbido, non meno appassionato. Diciamolo, le discoteche che si trasformano in testosteronico spogliatoio maschile dove ci urta, si litiga, si fa i galletti hanno clamorosamente rotto il cazzo, e sono l’ipoteca per vedere scadere di livello qualsiasi posto. A questo cambio di rotta il “nuovo” Cocoricò è arrivato in due modi. Uno sofisticato e raffinato, l’altro ha fatto molto discutere. Il primo è: imporre tavoli “misti”. Ovvero, se compravi un tavolo devi garantire una presenza mista di ragazzi e ragazze (e col biglietto digitale, che è nominale, questa cosa la riesci a fare e la riesci a fare a monte). Il secondo: il biglietto ridotto donna, con una differenza di prezzo anche non piccola (quasi la metà, per intenderci). In molti hanno commentato: “Che roba triste”, “Che provincialata d’altri tempi”, “Un club che si dice all’avanguardia poi fa ‘ste poracciate da Strapaese”. Che dire: sotto molti punti di vista avete ragione. L’idea di un biglietto “Ridotta Donna” al Berghain, ad esempio, fa ridere anche solo a scriverla qui. Ok. Ma resta il fatto che in Italia siamo ancora culturalmente e socialmente arretrati. Il clubbing – soprattutto un certo tipo di clubbing – è ancora visto come una cosa “da uomini” (puttanata colossale), esattamente come mille altre cose dove dovrebbe esserci una sostanziale parità di genere. Parliamo della musica, parliamo della politica, parliamo dello sport, parliamo in generale del mondo del lavoro (quanto vergognoso è che a parità di mansioni una donna guadagni mediamente meno di un uomo?). Quindi sì: in un mondo ideale il nuovo Cocoricò si porrebbe alla testa della Nazione, detterebbe l’esempio, ed imponendo l’ingresso a costo uguale per tutti magicamente genererebbe anche una perfetta uguglianza di rappresentanza. Nel mondo reale, siamo ancora lontani da questo: il Cocco storicamente ha bisogno di riportare in alto la percentuale di presenza femminile, ed usa il metodo più diretto ed esplicito possibile. Biglietto uomo, biglietto donna. Piaccia o non piaccia, all’inaugurazione ha funzionato, ha fatto effetto. E lo ripetiamo: con tante ragazze nelle prima file in Piramide è tutto molto più bello, l’atmosfera è mille volte meglio.
(Ecco come vieni accolto all’ingresso, scultura ad altezza uomo ed oltre; continua sotto)
Altro punto che ha fatto molto discutere, sulla politica dei prezzi e degli ingressi: accesso vietato alle donne sotto i 18 anni, e agli uomini sotto i 20. Parecchi hanno esclamato: e che cazzo è questa discriminazione? Che senso ha questa differenza? Che idiozia è? Di nuovo, la risposta che abbiamo avuto direttamente da chi decide le politiche d’ingresso del post è stata schietta ed improntata al più stretto pragmatismo: “La maggior parte dei casini all’interno del club, storicamente, è stato combinato da ragazzi diciottenni o diciannovenni. Mai da ragazza di quell’età lì”. Se uno ci pensa onestamente, sa che è così. Anche in questo caso in effetti ci si “arrende” un po’ a un dato di fatto negativo, invece di cercare di superarlo affrontandolo di petto. Ma è anche vero che non è e non può essere solo compito di un club educare dei ragazzi che, evidentemente, di loro non sono stati educati abbastanza dai loro parenti e dal sistema educativo. A diciotto e diciannove anni (e anche prima, così come dopo) ci sta fare le cazzate e le smargiassate, certo che ci sta; ma quando iniziano a ledere la libertà e la sicurezza altrui, iniziano ad essere ben poco accettabili. In qualsiasi modo. A qualsiasi età. I club non devono diventare l’orinatoio della maleducazione, anche se ad un certo punto qualcuno ha voluto farli diventare tali (…e gli stessi club hanno voluto esserlo, per questioni di “profilo”, per vendere biglietti in più sul breve termine, non preoccupandosi di come poi le cose potessero andare fuori controllo). Ah, e non confondiamo tutto questo con la “trasgressione”: essere provocanti, bizzarri, ambigui, espliciti, assurdi è un conto, fare risse, provocare, molestare le persone è un altro. Non vogliamo un club di educande: il clubbing è libertà espressiva. Deve esserlo. Ma sicuramente non devono diventare un porto franco dove agiscono liberamente i più prepotenti, i più arroganti, gli spacciatori senza scrupoli. Ci vanno di mezzo i – tantissimi! – diciottenni e diciannovenni con la testa sulle spalle che sanno come comportarsi? E’ vero. Ma vediamo se il messaggio lanciato raggiunge chi di dovere, per poi poter tornare alla normalità.
Detto questo, e passando a quanto successo “sul campo”, possiamo raccontarvi che nella prima serata la security ci è sembrata scrupolosa il giusto (meno lassista e permissiva di quanto accadeva un tempo, quindi a ‘sto giro se vi accendete una sigaretta aspettatevi di essere subito beccati e ripresi, se volete alzare il livello e fare cose losche in pista sappiate che la tolleranza è per quanto possibile zero, naturalmente, senza militarizzare il luogo). L’accesso all’El Dorado del Clubbing Moderno Presenzialista, ovvero la console, è contingentato molto più di un tempo (e contrariamente ad un tempo, pure lì non puoi fare il cazzo che ti pare). Scordatevi quindi gli assembramenti del “vecchio” Cocoricò dietro il dj, con umanità varia più o meno accattivante stipata tipo carro bestiame. D’altro canto, per viversi bene una serata non è necessario essere per forza dietro il dj, soprattutto se sei lì come clubber e non come addetto ai lavori che sta lavorando in serata per davvero. Molto gentile e sorridente il personale al bar: complimenti per la selezione a monte, complimenti soprattutto a chi ha lavorato tutta la sera mettendo sempre a proprio agio i clienti. Mai visto file eccessive: ma è anche vero che al momento il Cocco sta lavorando al 50% della capienza, quindi sotto questo punto di vista aspettiamo test più probanti. Per ora, però, molto bene.
(L’inaugurazione solo ad inviti del 25 novembre ha visto protagonista addirittura un’orchestra: l’Orchestra Rossini, alle prese col repertorio di Ralf e da lui capitanata; continua sotto)
Ciò che non è stato molto bene, diciamolo senza filtri, è stato l’impianto. Sì, soprattutto nella serata del venerdì (la pre-apertura riservata solamente ad amici, addetti ai lavori, giornalisti): lì si sentiva veramente ma veramente male, tanta pressione sonora ma qualità del suono completamente fuori fuoco, quasi ai limiti del fastidio. Va detto che già il sabato la situazione era molto migliore: vuoi l’assorbimento acustico dato dalla pista piena, vuoi un lavoro di tuning fatto in giornata per correre ai ripari, alla fine l’impianto ha lavorato in modo più che sufficiente nella giornata del 27, anzi, diremmo chiaramente buono. Ma si può e si deve fare di più. Un Cocoricò che punta ad essere un’eccellenza europea – e lo fa – non può accontentarsi per quanto riguarda il modo in cui la musica si sente. Semplicemente, non può. Andava messa più cura prima ancora di aprire le porte del locale; ma ne è stata messa molta per migliorare le cose tra il venerdì e il sabato, quindi la consapevolezza del problema evidentemente c’è. Ora però bisogno completare l’opera.
Infine, arriviamo alla musica. Alle scelte musicali. Fateci dire una cosa: l’idea di far aprire la Piramide a Matisa, nel giorno dell’inaugurazione vera e propria (non quella per vip, finti vip e addetti vari dei giorni prima) è stata un successo sotto tutti i punti di vista. Non è il “solito nome”, è un prodotto di casa nostra, è una donna, non è una che sgomita su Instagram per diventare una starlette, ma soprattutto – è stata bravissima. Bravissima. Un set house iper-creativo, con momenti muscolari (ma mai piatti) lì dove ce n’era bisogno e tante idee, tanto gusto. William Djoko nella pre-apertura del venerdì non c’era piaciuto per nulla (house “funkettina” e balletti: fuori luogo per la Piramide, anche per una Piramide “nuova” come quella che ora il Cocoricò sta cercando), ha fatto invece un po’ meglio il sabato con una coda molto detroitiana che ha tirato su il livello. Ci pare però che ancora non abbia “capito” bene lo spazio, perché anche quando prova ad affondare il colpo sembra sempre lo faccia in modo poco naturale; o forse, chissà, è la persona giusta ma al posto sbagliato. Seth Troxler ha fatto il suo: è arrivato, ha “catturato” subito tutti forte in primis del suo carisma e del suo nome, non ha magari stupido almeno finchè eravamo lì ad ascoltarlo ma l’atmosfera in pista l’aveva creata eccome. Quindi non gli puoi dire nulla.
(Matisa in azione aprendo la Piramide; continua sotto)
Una Piramide più “morbida” (tolte le serate Memorabilia e, nelle intenzioni, qualche episodica serata più in là nella stagione) “chiama” di conseguenza anche un Titilla completamente diverso. Oh sì. Si chiama T-Room infatti adesso, e non è solo un cambio di nome tanto per dare una rinfescata: la sala è stata ridotta di un terzo (balconata, addio: come faranno i trentacinque/quarantenni ricchi romagnoli a farsi vedere, adesso?), il tono dominante è decisamente il nero, le luci e il fumo ti isolano e portano in un’altra dimensione. In poche parole: è diventato un club all’anglosassone o alla belga di quelli marcatamente techno, con volumi potentissimi e la licenza di portare tutto musicalmente all’estremo (come in effetti Mattia Trani ha fatto, al solito da par suo). Lo stacco rispetto alla magnificenza sinuosa ed alla spazialità della Piramide ora è netto, nettissimo, e dobbiamo dire che funziona. Ora il Titilla, pardon, il T-Room è lo spazio per emozioni forti, per chi vuole che il ballo sia una esperienza totalizzante. Nondimeno non ci abbiamo viste brigate di facinorosi (qualcuno magari a petto nudo sì, ma non molesto), in realtà il gender balance era ok. Insomma, ci è sembrato un club techno di quelli belli, di quelli da 400/500 persone, non di più. Tutta un’altra cosa comunque rispetto al passato. E, ripetiamo, funziona. Passata la prima fase di straniamento per chi era abituato alla vecchia disposizione ed ai vecchi equilibri, funziona.
(Un tempo Titilla, oggi T-Room; continua sotto)
Ad ogni modo: non aspettatevi stravolgimenti strutturali pazzeschi. I due milioni e passa spesi dalla nuova gestione per rimettere in pista il club sono andati più nei particolari che in opere pacchiane ed imponenti: la struttura della Piramide (finalmente!) rimessa a nuovo, bagni ora civili e frequentabilissimi, vetri perfetti, giusto un paio di decorazione scultoree all’ingresso ma nulla di più. Insomma: non aspettatevi un Cocoricò radicalmente diverso rispetto a come lo conoscevate, nell’impostazione architettonica, ma migliorato sulle piccole cose sì. Chiaro: ci piange il cuore a sapere che non c’è più il Morphine (ma era un mezzo abuso edilizio mai sanato pare, ora finalmente risolto), ed è ancora tutto da vedere come saranno sfruttati gli spazi outdoor. Chi al Cocco ci lavora di questi ultimi parla in maniera entusiasta, ma finché non si vede qualcosa è prematuro dare giudizi.
Vale la pena nel 2021 spendere soldi e spostarsi apposta in Riviera per andare al Cocoricò? La risposta per ora è: sì. Assolutamente sì. La Piramide resta un’emozione (ed è ben valorizzata dalle luci, anche se nel caso di queste ultime manca forse qualche colpo di genio che lasci a bocca aperta), l’atmosfera sa accendersi come in pochi altri posti, ora molto più di prima ci si sente trattati come persone e non come numeri da portare all’ammasso, la scelta musicale non è più quella dei grandi-nomi-grandi-numeri ma il fatto che sia più ricercata e meno scontata dovrebbe essere un motivo in più per andarci, non uno in meno (come del resta spiegavamo in maniera estesa qui).
Lo dicevamo nel nostro scritto per Rolling Stone, citato ad inizio articolo: non è più il Cocoricò di prima. Ci assomiglia, ne ha abbastanza elementi in comune, ma nella sostanza non è più il Cocoricò di prima. Però è un bel posto, quello comunque sì. Un gran bel posto. Se si riesce a mantenere la rotta su questa direzione, potrebbe davvero diventare un posto bellissimo, di quelli che l’Europa ci può invidiare.
(foto di Alessandro Dellago)