Pharoah Sanders non c’è più. Ma è splendido che il suo ultimo lasciato artistico, “Promises”, abbia ricevuto così tanta attenzione e l’abbia fatto presso un pubblico così tanto trasversale (compresi quelli che si sono affrettati ad ascoltarsi tutta la sua discografia su Spotify in venti minuti per poter dire “Eh, ma io lo conoscevo già da prima, questo disco è un po’ mah, sono ben altre le cose sue rilevanti”). La sua musica infatti ha sempre voluto essere un abbraccio, ha sempre voluto essere comunicativa. Intensa, anche spesso sofisticata, certo, perché il jazz resta un genere mediamente sofisticato; ma comunicativa.
Floating Points gli ha fatto un bellissimo regalo, a costruire attorno alla sua figura una operazione così preziosa e così fragile, eppure al tempo stesso così grandiosa e poetica. Che meriti l’appellativo di “capolavoro” o meno (la polemica ha infuriato, all’epoca), o che sia solo un buon disco, beh, lasciamo pure aperta la questione, e sempre lo sarà. Ma pensiamo tuttora sia semplicemente oggettivo che si tratti di un lavoro che, ok può piacere di più o di meno, ma ascoltato con attenzione e la giusta dedizione almeno un po’ emoziona. Emoziona ed emozionava anche a non sapere che sarebbe diventato il testamento artistico del Faraone. Figuriamoci, ora, a saperlo.
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L’emozione al livello più alto e più “umano” è però quando la musica è dal vivo, lo sappiamo. Lo sappiamo noi, lo sa Floating Points, lo sapeva Pharoah Sanders. Infatti l’idea di un unico, grande concerto per riproporre in una sala e con un’orchestra “Promises” è stata oggetto di molte conversazioni, fra i due artefici dell’album. Conversazioni che purtroppo si sono interrotte con la morte del leggendario sassofonista. Ma conversazioni che Floating Points, con un gesto bellissimo, ha deciso di non far morire. Anzi. Ecco come (…e sotto, qualche commento ulteriore):
È bellissima la parte relativa a Shabaka Hutchings, colui che nel concerto rimpiazzerà Sanders, scelta delicata. “Suona forte e grosso, come un leone!”, diceva di lui Pharoah, che del giovane collega era diventato amico e fan. Ma vogliamo sottolineare anche l’understatement di Floating Points: che nel post dice genericamente che il tutto avverrà “con l’aiuto di alcuni amici”, ma poi se guardi bene il cartellone vedi che fra questi “amici” ci sono anche Dan Snaith (Caribou) e Kieran Hedben (Four Tet). Che in effetti di FloPo sono amici veri.
Il 20 settembre è lontano, sì, ed anche Los Angeles è parecchio lontana per molti di voi che state leggendo. Vero. Ma questo rischia veramente di essere uno dei concerti più emozionanti di sempre. E di sicuro il più bello degli omaggi per Pharoah, per il suo spirito immortale. È tutto bellissimo. Dolorosamente, splendidamente bellissimo.