La notizia ci arriva nel mezzo di un pomeriggio di fine estate e ce la soffia Borut. Ovvero non un nome da niente: prima Scuola Furano, ora semplicemente Bowrut – house, electro, tante produzioni importanti e soprattutto uno che i Daft Punk li ha conosciuti di persona. Che poi a lui la notizia in questione arriva da una banda di illustri “daftpunkiani” del Nord Est; nomi segreti ma altrettanto importanti, credeteci.
In sintesi la news è questa: in occasione dell’apertura del temporary shop a Milano di Toilet Paper Magazine (autentica rivista gioiello dell’arte moderna creata da Maurizio Cattelan e Paolo Ferrari), in collaborazione con i design brand Gufram e Seletti e per festeggiare il primo milione di copie della rivista verranno messe in vendita all’interno del negozio le prime 100 copie delle 1000 totali di un’edizione speciale e limitata di “Da Funk” dei Daft Punk in vinile color oro e con una copertina realizzata (ovviamente) da quelli di Toilet Paper. Le successive 900 saranno poi disponibili sul sito di The Vinyl Factory (che a questo punto ha quanto meno patrocinato la joint venture), oltre che sul sito della rivista.
Fin qui la notizia nuda e cruda; interessante, incredibile ma anche (ed è doveroso aggiungere “come al solito”, quando ci sono di mezzo i due francesi con i caschi) misteriosa, sospetta, da “mosca al naso” insomma. I Daft sono sempre andati molto a braccetto con moda, hype e coolness in generale: dai Bearbrick a gli action figures Hasbro dalle lattine di Coca Cola griffate alle comparsate per Adidas Original fino alle magliette in vendita a sorpresa da Uniqlo (un OVS francese ma più stiloso) passando per Yves Saint Laurent, Lagerfield fino alla Formula Uno a Monaco, tralasciando poi lo splendido Postal Market dedicato in vendita sul sito.
Per questo motivo, non ci sarebbe nulla di strano a vederli apparire in quello che non è molto di più di un bootleg. Di contro però “Da Funk” è “Da Funk”: il primo pezzo storico dei francesi, seminale per il genere, un pezzo di cui si potrebbe parlare e scrivere per ore. Un pezzo, insomma, che non tiri fuori dalla cassaforte così per nulla o per poco.
Ad analizzarla facile si direbbe potere dell’arte e del corpo femminile; Guy Man sta infatti con Giulia Venturini, che in campo moda e fashion system qualcosa conta (e che quindi con Toilet Paper qualche connessione dovrà ben avere). Cattelan poi è un nome importante, importantissimo, con un peso specifico ben più pesante dei cessi in oro con cui sconvolge/coinvolge, pedine assuefatte al nulla o al tutto. Infine, a Milano poi è tempo di fashion week, tutto potrebbe quasi portare a sperare che i due appaiano in città (probabile? Possibile? Difficile?).
Quello che però rimane incomprensibile è il perché; difficile cioè capire il motivo, la ragione reale o intrinseca che sia, per una mossa del genere. Considerando quanto i due semi robot siano schivi a proporre o a lanciare mezza cosa strettamente connessa alla musica, viene quindi da chiedersi: bolle qualcosa in pentola? Ci si può aspettare qualcosa? Nuove uscite, nuovo album?
Si potrebbe cominciare da qui a speculare anche noi su un eventuale “Alive 2017” e ci accorgiamo che, forse, non stiamo facendo altro che gossip musicale; ma c’è un motivo più che reale se decidiamo di dedicare tanto spazio a una notizia così: la necessità di tracciare un punto, una linea di demarcazione dove oltre non si può e non si deve andare.
Chi lo scrive, chi ora lo afferma lo fa dall’alto un tatuaggio sul braccio con i caschi di “R.A.M.”, da una discografia completa sia in vinile che in cd compresa di box da collezione, da anni di militanza (si può davvero definire così) nella “Daft Room” di Soulseek, la stanza dove quella fetecchia di “She Wants To Move (remix)” era stata smascherata ancora ad inizio anni duemila, dall’alto di un live a Torino in prima fila, dall’alto insomma di aver vissuto i Daft Punk come più che una ragione di vita.
C’è bisogno di dire basta. Basta a questa “queenezzazione” dei Daft. Basta a questa venerazione dove da tempo ci sono e “parlano”: poster, zaini per la scuola, tavole da skate, cappelli, magliette, pantaloni, yo yo, palle di Natale. Un culto alla Elvis dove non manca nulla se non la musica, hai detto nulla: nuova musica, altra musica vera musica di cui parlare, con cui sognare o ballare.
Quella in atto con i Daft Punk è la mercificazione di un gruppo che di solito viene riservata a chi non c’è più per lutto od oblio, tanto quanto le magliette di Kurt, di Freddy o Michael; una mercificazione che non serve, stupida, materiale e soprattutto fin troppo autocelebrativa che fa passare in secondo piano la storia tracciata da un gruppo che, vuoi o non vuoi, ha cambiato per sempre la musica elettronica ad ogni disco e ad ogni live.
Per questo motivo, seppur ingolositi non andremo a cercare con affanno questa versione di “Da Funk” perché non serve, perché non cambia niente, perché nulla aggiunge.