È una storia di un percorso netto, di un videogame a 64bit; è Dragon Ball, un disco del 1974 di George Duke, fumetti, B-movie; è umiltà, ed ambiente circostante.
Al cospetto di una copertina al buio dei colori della magia e che ricorda moltissimo “Dangerous” di MJ, FlyLo trova luce in una nuova vena compositiva, che asseconda solo in parte la sperimentazione wonky di “Cosmogramma” per mettersi invece al servizio della musica, nell’accezione più trascendentale possibile ed accettabile da uno come FlyLo – che anche in “Flamagra”, e sarà bene dirlo subito, rimane FlyLo. Ovvero: citazionismo quasi tarantiniano, musica fatta per lo più per autocompiacimento – personalmente trovo che non sia un mai stato un male – genialità nell’esplorare le proprie manie, siano esse un film dell’orrore dispotico e inguardabile (“Kuso”) o la traduzione in formato fisico di musica liquida per Gameboy scassati suonata con strumenti veri, una rilettura jazz di musichine per highscore in monocromia, che sono la base del far musica di FlyLo.
Attenzione, perché a dirla così sembra facile; ma certa musica forse si improvvisa ma non si inventa come nulla fosse, il rischio è quello di fare copiatura o spazzatura. Per questo fondamentali, intervengono due dei fattori che da sempre hanno composto il “percorso netto” di cui parlavamo prima: l’ambiente circostante, il posto dove vivi in primis. Questo perchè se finisci a lavorare per Stones Throw proprio nel momento in cui viene pubblicato “Donuts” di Dilla, qualcosa della tua corteccia caratteriale si forma per naturalità di cose.
Altro punto analitico e granitico dentro questo percorso, lo porta un singolo disco. E’ il 1974: George Duke pubblica “The Aura Will Prevail”, alla nascita di FlyLo mancano ancora nove anni. Il disco non è nemmeno il più famoso nella sterminata discografia di George Duke, eppure per Steven Ellison conta, conta perché racchiude l’essenza, la base della filologia sia del Loto Volante che del fidato socio Gattofulmine: un disco che per loro stessa ammissione è stato fatto a pezzi, letteralmente a pezzi dai due, che l’hanno smontato. Smontato per cosa? Semplice: per suonarci sopra. Semplice, facile. Ma semplice in realtà non è.
”Flamagra” è un lavoro intenzionalmente votato alla magia, come più volte dichiarato: dove per magia si intende la stesura della traccia come forma canzone, con i suoi ritornelli, con le sue armonie
Continuiamo. Altri due punti vanno elencati e messi in ordine: il veloce procedere dei cartoni animati innanzitutto, da sempre fissa di FlyLo. Disegni che si muovono veloci, carta che prende vita, frenesie a matita e poi a pennarello che il ragazzo ancora oggi, accidenti a lui ed ai suoi trentasei anni, mette ancora una volta nelle sue tastiere e nelle sue ritmiche frenetiche.
Infine, cardine fondamentale di questa strada rimane uno stato di profonda umiltà, un tratto genetico spiccante nelle poche parole che il nostro riserva ad interviste o comunicati. Fai ricerche, approfondimenti un po’ dappertutto, per scoprire le sue influenze e suggestioni e aspettando chissà quale mostro inascoltabile e semi-sconosciuto della discografia moderna, tra jazz e funk, e lui invece ti spara l’esordio di Snoop Dogg, un album tutto sommato giovanilistico eppure quanto mai a questo punto seminale, dopo tanti anni riascoltandolo ancora forse non era solo una questione di “…proud to be a B-boy”.
Sì, ok, ma di “Flamagra” quando parliamo? Ci arriviamo, adesso.
Il nuovo album di Steven Ellison è compendio, traguardo di tutte le esperienze fin qui da lui seguite, adunate in uno splendido carrozzone circense simile a quello raccontato in “Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il diavolo”. ”Flamagra” è un lavoro intenzionalmente votato alla magia, come più volte dichiarato: dove per magia si intende la stesura della traccia come forma canzone, con i suoi ritornelli, con le sue armonie, con pause e riprese e insospettabili crescendo.
Ci sono omaggi nemmeno troppo velati ad un certo modo di intendere rap e beat making, si campiona dove prima di lui aveva campionato Madlib; c’è il funk con George Clinton strafatto e trollato; Anderson .Paak che torna a rappare; addirittura trova spazio Toro & Moy in un brano riuscitissimo che sa tanto di Stones Throw. Non manca la follia tipica di FlyLo o attimi di pura tensione, come nello storytelling con David Lynch, ma c’è anche il contralto della splendida voce di Solange su un pezzo semplicemente r’n’b, così semplice da risultare perfetto, roba da terza traccia di un album di Prince.
Messa cosi potrebbe sembrare un disco facilotto o comunque furbo, non nominerò quella parola di tre lettere (…invece sì: pop). Eppure: no. C’è molta sperimentazione in “Flamagra”, chi ha amato il FlyLo di “Putty Boy Strut”, ritroverà i suoi suonini e le sue ritmiche impazzite anche in questo lavoro. Chi ha amato il jazz “libero” di “You’re Dead!” troverà anche in questo lavoro pane per i suoi denti, in morsi dove il jazz è sempre “libero” – da preconcetti desueti e impolverati.
“Flamagra” è una versione prismatica di FlyLo, un gioco illusorio di specchi dove il trucco c’è ma non si vede. Un lavoro accessibile, ma che richiede concentrazione. Il risultato finale è un enorme, enorme, album di musica black, come nelle migliori tradizioni che vanno da Marvin Gaye a Miles Davis passando per Prince. Se ne parlerà: sicuramente ora, probabilmente tra anni. Dividerà i puristi da occhialino tondo sulla punta del naso, che non troveranno noiosi ghirigori con cui appellarsi allo necessario stato elitario dell’arte; e affezionerà forse invece chi per il proprio godimento ha bisogno di qualcosa da fischiettare o canticchiare. Personalmente, ma sono pronto alla battaglia con chi avrà da contraddire, uno dei dischi più belli non solo dell’anno ma degli ultimi anni, che eleva e scolpisce FlyLo nel Monte Rushmore dei grandi compositori moderni.