Chiunque abbia varcato almeno una volta i cancelli del Dekmantel, muovendo i primi passi sul prato dell’Amsterdamse Bos, collezionando memorie da tramandare di generazione, è entrato di diritto in una comunità appassionata, che alla chiusura della domenica è già connessa sul sito del festival per assicurarsi una presenza l’anno successivo.
Il Dekmantel è un sentimento, la messa a terra in sette stage degli stati d’animo che si alternano in un essere umano: la festosità della Greenhouse, le tenebre dell’UFO, la concentrazione della Boiler Room e l’ambizione maestosa del Main. Un festival tanto logisticamente esteso, quanto familiare, nella possibilità di incontrare gli artisti dietro e fuori consolle – è leggendaria l’apparizione della tenerissima mamma di Four Tet, assieme al figlio e a Floating Points, intenta a ballare issando un gin tonic verso le prime file di presenti al Selectors.
La tradizione italiana si lega a quella olandese in un sodalizio costruito nel tempo, in questa edizione confermato dalla presenza di act nostrani di calibro elevatissimo, fra colonne del genere e giovani – ma già riconosciute internazionalmente – promesse. Spiccando il volo più in alto delle Frecce Tricolori, una rosa di campioni ripagherà in orgoglio la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali.
Almeno ad Amsterdam, siamo sicuri di vincere: in fono se il Made in Italy è garanzia di qualità in tutto il mondo, un motivo dovrà pur esserci!
DONATO DOZZY
Il maestro indiscusso, grande assente dell’edizione 2018 al Dekmantel Selectors a causa di problemi di salute che lo hanno tenuto fermo per qualche mese. Una figura esperta, tecnica e imperscrutabile, che custodisce cultura enciclopedica e vibrazioni magnetiche. Al Terraforma, la scorsa estate, ha abbracciato il fedele Neel (vedi alla voce Voices From The Lake), indossando una maglietta con scritto I Love To See You Dance. Di Dozzy esiste un unico esemplare, creatura aliena di sovrannaturale bravura.
FREDDY K
Roma caput mundi. Quanto mai vero negli anni Novanta di Lory D e Leo Anibaldi, fondatori del movimento The Sound Of Rome e pionieri della techno nazionale: un acerbo Alessio Armeni se ne infatua, si allena per anni nella scena e si consacra prima in Italia, dunque in Germania, spostandosi di stanza a Berlino. E venne l’Homopatik all’ ://about blank, vennero set di sedici ore ipnotici come il basso della sua “Devo Andare“. E fu sera e fu mattina, arrivato alle prime luci del Lunedì dominando le mura del Berghain.
NU GUINEA
Se non avete mai sentito il loro nome prima d’ora, avete probabilmente trascorso l’ultimo anno in isolamento. Massimo Di Lena e Lucio Aquilina hanno appeso al chiodo un glorioso passato minimal (Papa Sven Väth ne suonava le tracce), reinventandosi in chiave disco funk, esprimendo all’ennesima potenza il calore del sangue partenopeo. Che sia eseguito in versione live band o mixato durante un dj set, “Nuova Napoli” è uno dei dischi dello scorso anno. Mano sul fuoco che la loro sarà una delle performance più acclamate d’Olanda.
ALESSANDRO ADRIANI
In coppia col francese Michel Amato (The Hacker), il patron di Mannequin Records è il terzo romano del nostro elenco, anche lui migrato a Berlino dalla capitale. Adriani è un esteta, appassionato di synth e darkwave – influenza che condivide con Amato, e che ha racchiuso nella sua “Danza Meccanica” celebrando il sound di un trentennio trascorso, rendendolo fermamente presente. Produce su Bordello A Parigi, Stroboscopic Artefact, Jealous God: difficile pensare a qualcosa in cui non sia capace.
CATERINA BARBIERI
Eterea, androgina, delicata nei modi e nelle produzioni. Sua l’installazione nel Planetario collocato al centro di Villa Arconati, ispirata da un minimalismo elettronico e geometrico dello spazio. Caterina è bolognese, diplomata al Conservatorio, indaga le sfere della percezione acustica e della coscienza attraverso le onde sonore, perturbazioni destabilizzanti e prolungate e al contempo cristalline, sintetizzate. “Patterns Of Consciousness” è un capolavoro di composizione ambientale, un viaggio cosmico che la Barbieri sa condurre con incantevole raffinatezza.
PAQUITA GORDON
Francesca muove i primi passi nel cinema, come assistente in produzione. Si sposta fra Londra e Milano, si stabilisce a Palermo e, lasciandosene ispirare, fonda il progetto artistico Il Vulcano, in cui evolve nella maturità sonora. Riflette nei set la trasparenza del suo animo, si attorciglia in vortici tribali che richiamano il misticismo d’oriente: mescola dub, reggae, techno; suona a piedi scalzi e occhi chiusi, assorbe le vibrazioni della natura e delle sue creature. La sciamana del Terraforma atterra ad Amsterdam, si aggiudicherà di certo uno dei suoi torridi pomeriggi.
ADIEL
Delfina di Giancarlo e Marcolino, da anni occupa la consolle romana del Goa per il mitico party Ultrabeat, costruendo un profilo convincente a suon di techno. Fonda la label Danza Tribale e si fa notare con l’EP “Anatomia Del Cavallo”: giovanissima, segue diligente le orme dei maestri senza mai scomporsi. Espressione seria, sguardo sui piatti, si immerge in una spirale scura, avvolgente. Lei è il nome su cui abbiamo scommesso e, perdonerete la superbia, sappiamo già d’aver vinto.
ELENA COLOMBI
Mittente: Giant Steps – Destinatario: il mondo. Una perla già affermatasi nelle scorse edizioni del Dekmantel (collezionando una presenza anche nella versione brasiliana), che annovera nel curriculum De School, Berghain, performance in Giappone. Nasce in Italia, conquista uno show su NTS, non si canonizza in un unico stile, ecletticamente sperimentando fusioni techno, ambient, world music e baleariche. Protagonista della preview milanese del C2C 2018, ha sorpreso il pubblico con un mix inaspettato: Elena sa come tirar fuori un coniglio dal cilindro.