Marea Stamper, aka The Black Madonna, non è una persona banale da incontrare, giornalisticamente parlando. Non lo è perché prima devi passare il vaglio del suo potente ed efficacissimo ufficio stampa, The Media Nanny; non lo è, e questo ormai è risaputo, perché comunque è una persona che non le manda a dire – quello che pensa, lo dice. Quella che abbiamo incontrato noi però è una persona tutto tranne che arrogante e poco rispettosa. Anzi, l’esatto contrario. Chiaro, può aver giocato a nostro favore il fatto che la chiacchierata si sia svolta a Napoli, al Duel, in una serata organizzata dalla crew di WOO!, e Napoli e WOO! sono qualcosa di speciale per lei; ma in generale l’impressione che ne abbiamo tratto è di una persona con molte meno certezze di quello che può apparire a prima vista. Combattiva sì, esplicita e senza filtri anche, ma una volta che la si incontra di persona la sua figura è molto meno “bidimensionale” di come ogni tanto si cerca di farla apparire (…e di come appare, ogni tanto, lei stessa). Ci sono poi i fatti, e sono importanti: da quelli più meramente musicali (We Still Believe Radio) a quelli a supporto di rifugiati e comunità LGBTQI (Choose Love Tour), e in un periodo storico in cui gli artisti dimenticano spesso e volentieri i temi sociali – anche se essi non mancherebbero – a noi quest’ultimo aspetto pare comunque significativo. Ad ogni modo eccoci qui, ecco la nostra lunga chiacchierata.
Allora Marea, siamo qui a Napoli, con la crew di WOO!, e – correggimi se sbaglio – mi sa che la tua primissima data in Italia molti, molti anni fa fu proprio con loro…
Oh sì! Vero!
Cosa ricordi, di quella esperienza?
Ricordo che invece di venire solo per una sera, suonare ed andar via restai per una settimana (risate, NdI). Feci dei bellissimi giri per Napoli, e ovviamente non stavo in albergo ma in un appartamento, e c’era una adorabile signora anziana che mi faceva la colazione ogni mattina.
Insomma, esperienza italiana al cento per cento.
Eccome! Ma anche la serata in sé fu bellissima. Quella data fu speciale per me. E sempre resterà tale.
Se ripensi a quei giorni, cosa è cambiato nella tua routine quotidiana da dj di professione?
Abbastanza cose, mi sa. Sai, all’epoca giravo da sola, niente tour manager e cose così, e ti assicuro che la differenza c’è. Avere oggi qualcuno al tuo fianco che pensa a risolvere tutti i problemi pratici, e anzi, non solo lui, ma in realtà tutto un team di persone splendide che anche da remoto sono lì pronte ad intervenire per fornirmi ogni tipo di aiuto e per appianare ogni intoppo, è qualcosa di davvero importante. Sai perché? Perché mi rende più libera. Più serena. Al tempo stesso, è cambiato molto da un lato ma non è cambiato nulla dall’altro: perché le cose fondamentali – la bellezza di incontrare persone, la gioia nel farle stare bene, il brivido di creare situazioni intense – sono rimaste tale e quali al primo giorno. Per fortuna, no?
Assolutamente. Comunque: leggevo alcune tue vecchie interviste, e c’era una dichiarazione che mi aveva colpito molto, ovvero il fatto che tu prediligessi da sempre quella musica creata nei momenti in cui, in qualche modo, non era ancora “conscia di se stessa”: se pensiamo alla house, ci sono un sacco di brani EBM o anche post-punk che erano in effetti house senza che ancora la house fosse stata ufficialmente codificata. Trovo questo punto di vista veramente interessante, e ti chiedo: esiste oggi una musica che non è ancora “conscia di se stessa”? O siamo entrati in una fase in cui tutto è auto-consapevole, tutto è codificato dopo cinque minuti?
Bella domanda… In effetti, uno dei lati negativi di internet è che tutto, in qualche modo, è come se dovesse essere catalogato fin da subito: altrimenti non esiste, scompare. Ricoperti come siamo dai dati, abbiamo subito bisogno di far scattare le conversioni in “meta-dati”: quando senti qualcosa, che tu lo voglia o meno, che ne sia conscio o meno, pensi subito a come categorizzarlo. Vale per i gesti più stupidi (tipo, se metti un disco su Beatport devi subito pensare a come categorizzarlo), vale in generale per moltissimi discorsi comuni, perché c’è una grande tendenza a riflettere su se stessi, su come ci si inserisce in un contesto e come ci si pone di fronte ad esso. Tocca tutti: tocca le persone normali, tocca anche gli artisti. Pensa solo a come si cerca la musica: un tempo entravi in un negozio di dischi e ti tuffavi su pile disordinate di dischi o scaffali davvero disposti a cazzo, no? Oggi invece vai su internet e metti i tuoi buoni termini di ricerca, perché hai un percorso da seguire. Credo che in questi anni sia cambiato molto il modo in cui pensiamo, il modo in cui cerchiamo le cose; e, di conseguenza, anche il modo in cui noi – e penso in particolar modo agli artisti – percepiamo noi stessi e collochiamo noi stessi nel mondo.
E’ un cambio positivo?
Sarò sincera: probabilmente no. Perché sono sinceramente convinta che meno pensiamo a come veniamo percepiti, meglio è per l’arte che produciamo.
Andando nello specifico del clubbing, non hai l’impressione che stia diventando un po’ troppo “safe”? Intendo: prevedibile, attento a un determinato tipo di regole, pronto a minimizzare se non proprio eliminare errori e deviazioni…
Oh sì, è decisamente così! Sono d’accordo al cento per cento. Non lo so, mi viene in mente la polemica di qualche mese fa quando al Berghain, nella stanza dove suonavano Lotic ed Errorsmith, partì un disco di Cardi B, e in tantissimi a chiedersi “Ma era il caso? Ma che modo è? Ma cosa c’entra Cardi B con un posto come il Berghain?”. Ma io dico: state scherzando?! Fate sul serio? Dite sul serio? Che domanda è? Soprattutto: vi state rendendo conto di che persone noiose siete diventate, pronte a mettere una serie di regole su cosa deve essere suonato dove e cosa no? Proprio in un posto che nasce come alternativo e sperimentale per antonomasia domande come queste non dovrebbero avere minimamente senso, non dovrebbero essere nemmeno pensate. A maggior ragione se si era in una sala, come quella in cui suonava Lotic, che era quella più legata a forme libere di sperimentazione, quindi senza monocolori techno o house. Ma in generale, se a parole ti piace l’idea di alternatività e del non conformarsi, dovresti proprio apprezzare il fatto che, all’improvviso, un pezzo di Cardi B si possa sentire fra le mura del Berghain. Comunque appunto, parliamo di techno e house, parliamo di loro: penso che in quei contesti sia maturata una ortodossia che boh, io personalmente non capisco e io personalmente trovo noiosa, ma soprattutto penso che dovrebbe essere disconosciuta e rifiutata da tutti gli appartenenti alla scena. Guardo anche alle giovani generazioni, sia di dj che di appassionati di questi generi, e sembrano davvero avere un senso fortissimo di cosa è “giusto” e cosa è “sbagliato”. Sarà onesta: a me questo pare aberrante. E credo anche che nel futuro ci creerà grossi problemi.
Meno pensiamo a come veniamo percepiti, meglio è per l’arte che produciamo
Sono sostanzialmente d’accordo con te, soprattutto nel momento in cui vedi che le scene techno e house, pure se lo negano, sono suscettibili alle mode-del-momento come e più del pop. Però ti chiedo: ok, cosa si può fare contro questo andazzo?
Non lo so, ma so che è qualcosa che cercherò sempre di combattere. A costo di farmi male. Sai cos’è divertente? Ci sono state fasi in cui questo mio modo di pensare mi ha reso estremamente popolare, e supportata dalla scena; altri in cui invece diventavo una inutile rompicoglioni – eppure io ero e sono sempre la stessa, sempre. Questo davvero ti fa capire come un certo tipo di scena sia sensibile a dove tira il vento del momento. Ho solo una cosa da dire: io credo che noi come dj, ovvero persone che suonano musica fatta da altri, abbiamo un obbligo ancora maggiore di altri artisti – che almeno propongono il loro, loro creazioni originali – di essere interessanti, divertenti, stimolanti.
Ecco, vorrei arrivare a questa cosa di The Black Madonna come rompicoglioni, come una che esprime pensieri polemici spesso e volentieri… E’ difficile essere sempre così pronti ad esporsi, con tutte le pressioni e le ripercussioni che questo comporta?
Mah. E’ facile non dire mai nulla, soprattutto se non hai nulla in testa (risate, NdI). Ma c’è anche chi semplicemente preferisce non dire mai in pubblico cose sgradevoli. Io? Io, non credo di essere una persona particolarmente polemica. Credo di essere semplicemente – come tutti o quasi – una persona che ha delle opinioni; se proprio ho un “torto”, ma mettilo fra virgolette, è il fatto di parlare con tutti, anche nelle interviste, come se stessi parlando con dei miei amici, perché questo è il tipo di rapporto che mi piace avere con le persone che incontro. Come sta succedendo ora con te. Non mi piace l’idea di trattare diversamente una intervista con la stampa: come fosse qualcosa a parte cioè, un dovere professionale da svolgere in una certa maniera. E’ pur sempre un incontro fra due persone, fra due esseri umani, è bello avere un scambio franco e sincero. No? Anche perché, onestamente, trovo un po’ stupido cercare di presentarti pubblicamente come qualcosa che in realtà non sei, offrire una immagine edulcorata di sé. E quindi: no, non sarò mai una persona che pesa le parole. Però… sai che c’è? C’è che internet ogni tanto può essere disgustoso.
Disgustoso, addirittura?
Oh, io amo internet, è meraviglioso, adoro Twitter, adoro poter comunicare direttamente con le persone. O leggere notizie di prima mano. Seguo ad esempio tantissimo i profili Twitter dei grandi reporter, è emozionante vedere in anteprima alcune notizie. Detto questo, sul web la gente può essere davvero pessima, davvero ostile. E’ che con me probabilmente lo sarebbe anche se stessi zitta, se non esprimessi alcuna opinione: sono una donna con gli occhiali, sai. Le frasi d’odio che mi prendo me le prenderei comunque, anche a non aprire bocca. E allora tanto vale parlare, no? Tanto vale poter esprimere la propria opinione senza filtri.
Quindi questa tua attitudine non è stata un danno per la tua carriera.
Non lo so. Oggi sono una persona rispettata ed ascoltata, ma per vent’anni non m’ha filato nessuno: per tantissimo tempo, alla gente non gliene è fregato un cazzo di quello che dicevo. E magari fra cinque anni di nuovo non gliene importerà niente a nessuno. Lo so. Nel frattempo, se anche in misura minima posso incoraggiare le persone ad affrontare il mondo, a volerlo capire, giudicare, a far sì che ci si renda conto che la vita è grande, il mondo è grande, non si riduce alla serata in un club e a qual è l’headliner in console. Io amo leggere, scrivere, discutere. Il mondo è pieno di cose. Non riuscirei ad immaginarmi ad essere una che si fa “vivere la vita addosso” passivamente e in silenzio, con tutte le cose interessanti ed appassionanti che ci sono in giro.
Parliamo di techno e house: penso che in quei contesti sia maturata una ortodossia che boh, io personalmente non capisco… e io personalmente trovo noiosa
C’è una cosa che abbiamo in comune: l’amore per “Never Grow Old” di Floorplan. Domanda: che significato possiamo dare al fatto di “non invecchiare”?
La parte vocale di quel pezzo arriva da Aretha Franklin, da una canzone che descrive il cielo e la vita dopo la morte: una lunga considerazione meditativa sulla fede, in senso religioso, ed essendo Robert Hood una persona molto religiosa sono convinto che la scelta di quel campionamento non sia casuale e per lui siano parole molto importanti. Anche io sono religiosa: ma con la fede ho un rapporto molto complesso, come del resto credo tantissime altre persone. Proprio per questo motivo, ammiro chi ha un rapporto intenso e più sicuro e convinto con la fede e per certi versi aspiro ad arrivare anche io a questa condizione. Ecco perché mi rassicura tanto sia l’originale, che la versione che ne ha fatto Robert.
Invece: ti sei spostata a Londra come domicilio, giusto?
La amo. E’ davvero fantastica per me. Ha reso la mia vita molto più sana. Sai, avere una casa con tanto di giardino… Il mio cane è felice lì. Ma lo è anche mio marito! Poi ha ottimi aeroporti, questo mi fa risparmiare un sacco di tempo; i rapporti col vicinato sono molto tranquilli; c’è un sacco di verde. All’inizio la giravo poco, poi quando è iniziata la mia residency alla BBC ho iniziato a scoprirla sempre di più e me ne sono progressivamente innamorata.
Insomma, ti trovi bene con l’Europa.
Ah guarda, così bene che mio marito è europeo!
Sai, non è così comune con gli americani.
Dici?
Dico.
Beh dai, ogni tanto anche stando qui viene fuori l’americana che è in me, chiassosa e scomposta, ed esco dall’irreprensibile modalità anglosassone…
Ma in generale, e qua allargo il ventaglio non solo ad Europa ed America ma a tutto il mondo, credi ci siano grandi differenze tra i pubblici che vengono a sentirti?
Me lo puoi chiedere una volta al giorno nei prossimi cinque giorni, e stai tranquillo che ogni volta ti darò una risposta diversa rispetto a quella del giorno precedente. “Sì, siamo tutti una nazione sotto lo stesso groove!”, e poi il giorno dopo “No, col cazzo, ci sono dei posti dove la gente non ha ancora capito bene cosa significa clubbing…”. Nel profondo del mio cuore a me piace pensare che siamo tutti uguali, che facciamo davvero parte di una “nazione comune”; ma ci sono certe sere che sì, se questa “nazione comune” esiste sarebbe bello se ogni tanto qualche regione fosse un po’ più entusiasta.
Senti, come va con la produzione?
Sto passando un sacco di tempo in studio.
Sono anni che si parla di un tuo album.
Sto per terminarlo. Anzi, ho già creato per il live una band con un sacco di percussionisti e coinvolto un sacco di persone che, al momento, non ti posso rivelare. No, aspetta, qualche nome te lo posso fare: Jamie Principle, o Georgia, che è appena uscita su Domino ed è bravissima.
Quando uscirà, questo album potrà cambiare la tua carriera e, almeno in parte, la percezione che c’è di te?
Sai che penso di sì? Di sicuro, molta gente resterà sorpresa. Perché non è stata solo questione di “Adesso è il momento di fare un album”, ma mi sono messa proprio lì a scrivere vere e proprie canzoni, con tanto di testi. Ho voluto… ecco, diciamo che un conto è fare delle tracce buone per il dancefloor, un altro è fare delle vere e proprie canzoni. E questo è anche il motivo per cui non mi sono mai fatta fretta: sapevo che andavo su una strada diversa rispetto al solito, e comunque io ero e resterò prima di tutto una dj. Comunque sì, aspettatevi qualcosa di sorprendente.
Tutto questo significa che, anche se sei prima di tutto una dj, credi ancora nel formato album.
Ah, io odio questa cosa per cui il formato album sarebbe completamente obsoleto ed inutile! L’ho sentita tante di quelle volte, ‘sta frase… Eppure io continuo a credere che un album sia qualcosa di importante, qualcosa che può davvero cambiare la vita di una persona. Perché un album ti dà una possibilità speciale: raccontare una storia. Per farlo, il lungo formato era perfetto prima e continua ad essere perfetto adesso.
A proposito di storie: quando l’argomento “dj donna” smetterà di essere importante?
Quando finalmente la gente smetterà di parlarne?
Esatto.
Oh, quello sarebbe un gran momento. Perché vorrebbe dire che finalmente è diventato qualcosa di naturale, banale. E spero che questo momento arrivi presto, sì. Io comunque noto che molti campi in cui prima le presenze erano esclusivamente maschili, ora sono molto più aperti: e questo sta succedendo grazie ad una serie di sforzi congiunti. Guarda anche all’industria musicale: prima era un monopolio maschile, ora per fortuna un po’ meno, e il trend continua, mi sembra ci sia una consapevolezza più profonda e condivisa sulla questione. Pensa a quanta strada abbiamo fatto, soprattutto se allarghi la visuale non solo al campo musicale: oggi è normale che ci siano delle dottoresse, no?, nessuno si stupisce, ma fino a nemmeno troppo tempo fa sembrava un’idea assurda che potessero esserci dei dottori donna, chi lo era veniva vista come una inquietante eccentrica. Bene: spero che si arrivi a questa “normalità” anche nel campo nostro, quello della club culture.
Chi sono i tuoi dj preferiti?
Mmmh. Laurent Garnier, sicuro. Poi Mr. Scruff. Terza scelta, mmmh, direi Derrick Carter.
In questi ultimi anni, ti è mai capitato di essere spaventata dal tuo successo?
Assolutamente sì. Anche adesso.
Ma hai imparato a gestirlo?
Vediamo, non lo so, non so dirti davvero. In fondo questo “successo” è qualcosa che è nato solo di recente, dopo anni ed anni di attività: chissà quanto dura. Chissà come lo gestirò. Riparliamone fra dieci anni. Se ancora qualcuno sarà interessato a sentire quello che ho da raccontare…
Foto di Studio Moross