Non è mai un buon segnale quando ci si rintana nella nostalgia e si guarda solo al passato. Di certo non lo faremo qui, a Soundwall. Ma al tempo stesso un lavoro di conservazione e racconto delle vette più alte, intense, emozionanti, sorprendenti è necessario: proprio per avere dei punti di riferimento per costruire meglio nel futuro. E allora sì, diciamolo, ribadiamolo: ad oggi la vetta più atipica e surreale del clubbing in Italia (atipica, surreale e semplicemente bellissima) è stato il Morphine, il mutevole antro del Cocoricò a capienza ridotta, ad accesso spesso selezionatissimo (una selezione “berghainiana” ante litteram: non entravano i meglio vestiti, non entravano i più ricchi, non entravano i più belli, non entravano i più vip: entravano quelli con l’attitudine giusta, e questo “giusto” cambiava di minuto in minuto) ma qualche volta anche semplicemente libero, e lì l’effetto era meraviglioso, perché tamarri in canottiera che si prendevano una pausa dalla techno in Piramide vagando di qua e rimbalzando di là finivano infine – ed assolutamente per caso – in questa stanza dalla musica lunare, dalla gente spesso altrettanto lunare, dalle trovate scenografiche bizzarre. Era un trip nel trip, per loro, e glielo vedevi stampato in faccia.
La chiave fondamentale era prima di tutto la musica. Sì, la fauna era ricercatissima ed assurda, sì, si mescolava il bufalo da pista con l’attore teatrale sperimentale, il trans clamoroso col fighetto in camicia, l’intellettualissimo ma sfigato col bellissimo e lampadato, sì tutto questo; ma a creare la magia era in prima istanza la musica. E di questo il merito va ascritto a David Love Calò, oggi metà del duo Loudtone ma all’epoca il resident, l’infaticabile resident. Una delle persone più gentili della terra. Soprattutto, un genio. Uno che era in grado di sorprenderti e spiazzarti. Uno che quando non lo faceva quasi nessuno univa ambient e noise, world music ed elettronica, pop sghembo ed allucinato e techno “area” e sperimentale, un po’ di house à la Herbert, molto hip hop strumentale, improvvise svisate jazz. In mano a qualcun altro poteva diventare un paciugo indigesto, fratturato e fastidioso, in mano sua era semplicemente la perfezione. Potenza di una conoscenza musicale immensa, ma anche di un carattere che gli permetteva empatia con le persone. E al Morphine l’empatia deflagrava. Lo faceva con gentilezza e grazia, ma deflagrava. Unendo appunto le persone più diverse da loro che, come la musica, trovavano improvvisamente un senso nello stare lì in una dimensione “aliena”, parallela, inaspettata, surreale, ma in qualche modo alla fine perfettamente naturale.
A fare da corona a tutto questo, una “padrona di casa” sublime: Nicoletta Magalotti aka NicoNote, negli anni precedenti una delle voci più belle che abbia mai espresso la new wave italiana (a Firenze, quando la città toscana era una delle capitali europee della new wave) e poi, trasferitasi in Riviera, meravigliosa “mistress” del Morphine anche lei di una gentilezza meravigliosa e lei per prima in grado di attrarre – e far sentire a proprio agio – le persone più diverse fra loro, a partire dall’intellighentsia culturale dell’epoca, nell’accezione più positiva del termine. Era lei, con la sua umanità, a farti capire che al Morphine ci si “spogliava”: niente ego, niente ostentazione, solo la voglia di far parte di un mondo assurdo, bizzarro e preziosissimo, rispettandone gli equilibri e le atipicità.
Ecco, gli ingredienti di questo miracolo sono stati essenzialmente questi. E sono durati dal 1994 al 2007. Successivamente il Morphine ha riaperto per una breve stagione qualche anno più tardi ma era, giustamente, un’altra cosa: una microsala dove vedere dj/producer techno e house di altissima qualità (perfino Mathew Jonson, che ci suonò con un banco mixer che era grande praticamente mezza sala) in contesti non “piramideschi”. Senza offesa per nessuno, ma il “vero” Morphine resta comunque quello della prima versione, anche per le continue trovate architettoniche che lo caratterizzavano: era una sala “migrante”, ha occupato per qualche stagione anche il giardinetto open air al centro del Cocoricò tanto per dire (e nella stagione forse più bella, fu ospitato da uno chalet in legno costruito appositamente all’interno del giardinetto in questione, ricordiamo un incredibile set di chitarra noise in solo di Arto Lindsay mentre dei donnoni cucinavano pasta per tutti visto che sì, c’era un angolo cottura perfettamente funzionante).
Bene: vi stiamo raccontando tutto questo un po’ perché è una storia sempre bellissima da raccontare e da tramandare (e che, appunto, può fare da esempio sul fatto che il clubbing può anche essere un’avventura creativa, non solo il luogo dove i dj vengono a guadagnare in una sera cifre spropositate), un po’ perché giusto questa mattina David Love Calò si è preso la briga di creare un gruppo su Facebook dove raccogliere testimonianze, materiale, aneddoti, ricordi, considerazioni. Già un primo set è stato postato: quello del decennale del Morphine stesso, dove venne chiamato come ospite speciale colui che, sempre da guest, lo aprì dieci anni prima, nel 1994. Quanto suonato da Mixmaster Morris nel 2004 è un po’ più convenzionale di quanto fatto nella sua prima venuta, ma resta un set di qualità, e che rende l’idea di come al Morphine ci si potesse muovere musicalmente liberi. Oggi questa cosa è un po’ più scontata, aver riportato il deejaying “al centro del villaggio” con artisti come Jackmaster o il giro Rush Hour ha fatto del bene alla scena, ma nel 2004 eravamo in piena dittatura minimal e, ve lo assicuriamo, di posti dove sentire un set eclettico di qualità ce n’erano pochissimi in Italia, e in realtà pochissimi proprio in Europa. Avevano infatti scoperto tutti quanto fosse bello “giocare a Berlino”, in quegli anni, dimostrando che in realtà di Berlino avevano capito solo una parte (la ribellione contro il monocolore minimal partì infatti anche dai dj/producer berlinesi doc, vedi Modeselektor), e il risultato fu così un lungo periodo di musica sui dancefloor quasi tutta uguale, una situazione da cui in realtà non ci siamo ancora ripresi del tutto, soprattutto quando a guidare i dj e i ballerini è la droga di consumo e non la voglia di esplorazione e conoscenza.
Ma questo non è mai stato un problema del Morphine. Lì la musica, e in generale il clubbing, sono sempre stati un’avventura, un’esperienza rara, una vertigine bizzarra e preziosa. Davvero: probabilmente il momento più surreale e bello mai vissuto su suolo italiano, per chi c’era, per chi c’è passato. Bello tenerselo stretto, bello ricordarlo, bello tramandarne le basi. Ah: nella foto, l’anno in cui era obbligatorio entrare scalzi, al Morphine, e tuffarsi grazie alla musica di David Love Calò nel più intenso degli “horizontal dancing”, in totale controtendenza rispetto alla selvaggia intensità della Piramide o all’accalcata fighettosità del Titilla. Quanta bellezza. Ancora oggi, una bellezza difficile da rendere a parole, ma meravigliosa da aver vissuto e stimolante a poterla raccontare.