All’inizio di questo giugno, dopo l’eliminazione ai Play Off NBA dei suoi Milwaukee Bucks, Giannis Antetoukoumpo asseriva, in una conferenza stampa destinata di lì a poco a fare il giro del mondo, che nello sport non esistono né successo né fallimento ma solo un lungo percorso fatto di numerosi scalini da percorrere pian piano, in una faticosa sfida contro se stessi per migliorarsi anno dopo anno. Non volendo stare qui a dissertare sulla natura etica dello sport, ci piace immaginare che (anche) a Giannis deve aver pensato il management di Polifonic, quando Hiver e Dirty Love chiudevano Beach e Main Stage dello stabilimento Le Palme, domenica notte.
Già, perché se si guarda all’agosto scorso quando alcuni problemi erano occorsi nella logistica e nella gestione dei flussi, l’edizione del 2023 ha fatto metri in altezza importanti riguardo al proprio percorso di crescita. Perché, lo diciamo subito: Polifonic 2023 – versione pugliese -, è stato un festival pienamente riuscito. Senza dubbio.
Perché se il primo termometro per tastare il successo di un evento musicale può e deve essere la partecipazione e la capacità dell’organizzazione di garantire una guest experience fluida e senza intoppi al popolo festivaliero, il mercurio è sempre rimasto a una temperatura sostenibile: nel dancefloor, nelle code ai bar (con l’app cashless a svolgere il proprio lavoro), nell’area food e nell’area parking (anche se il solito malcostume italiano del pizzo al parcheggio – non imputabile comunque all’organizzazione – ce lo saremmo evitato volentieri).
E non era facile. Perché, anzitutto, diciamolo: la partecipazione alle serate è stata massiva. E poi perché la gestione dei quattro palchi, con l’annessa sfilata di oltre 50 artisti con le loro richieste, i loro capricci e le proprie prerogative, non era assolutamente scontata.
Ecco, quanto detto ci restituisce la portata di quel che è stato Polifonic 2023: un festival che, per quanto la stessa comunicazione interna lo abbia incasellato entro certe etichette, non è e non è stato un Boutique Festival. Non nelle dimensioni di ampio respiro (della timetable, della line-up, della durata delle serate, dello spazio fisico delle venues); al massimo, piuttosto, nella ricerca e nella tendenza costante all’eleganza e alla raffinatezza. Visiva ed estetica, in primis, e poi nella ricercata proposta musicale.
Ce ne rendiamo conto, facendo un primo giro perlustrativo per la Masseria Capece.
L’area pedecollinare, immersa in un oliveto millenario di più di 35 ettari, si sviluppa nell’arco di un sentiero lungo 15 minuti a piedi. Non pochi.
Superata l’area di benvenuto, subito sulla destra si staglia lo stage brandizzato Boiler Room, contenuto come dimensioni, ma centrato in uno spiazzo pronto ad aumentare la propria capacità nelle ore più calde della notte. Andando avanti, una biforcazione ci mette subito di fronte ad una prima scelta. Sulla destra, il Main Stage, mastodontico rispetto alla scala dei suoi “colleghi”; sulla sinistra, un lungo viale acciottolato sale fino a terminare in una cava scavata nella roccia: il suggestivo Stone Stage. Prima, a destra, il Magma; a sinistra, l’area relax griffata Armani ExChange.
Ciò che si percepisce sin da subito è come gli stage riescano a vivere di vita propria come ecosistemi a sé stanti, riconoscibili sia esteticamente che musicalmente. L’attenzione ai dettagli è massima (vestizione grafica dei palchi, piroette di laser nel fumo, set up tecnico, spazi di visibilità per gli sponsor) e confluisce in una composizione armonica lungo tutta l’area della Masseria, dove ogni elemento è perfettamente al proprio posto.
Il pubblico capisce immediatamente dove incontrare i suoi gusti: chi preferisce la stravaganza e la sperimentazione si dirige al Magma -, dove intrigano Giammarco Orsini, le cadenze slow break di Salamanda e dove Sherelle fa “sgabberare” ai ritmi folli dell’Hardcore; lo Stone, invece, è zona di test nucleari techno (apprezzatissimi Z.I.P.P.O e le lavatrici ipnotiche di D.Dan) e la Boiler, la casa della coolness più spinta.
In tal senso, quest’ultimo esperimento risulterà il più riuscito. In entrambe le notti a Masseria Capece, lo stage del broadcaster è costantemente pieno ed animato da una voglia genuina di fare festa. Anche alle 21 di sabato, quando complici la fatica della notte precedente e il concomitante concerto di Fat Freddys Drop a Locorotondo, l’arrivo del grande pubblico è posticipato sino all’una.
L’impatto scenografico è esperienziale. Sembra davvero di muoversi all’interno di un set cinematografico: una bomboniera soppalcata da cerchi concentrici di cordami finemente intrecciati tra loro, luci soffuse che squadrano ad arte amplificatori e monitor dai profili retrò e, ai lati, stendardi rosso fuoco marchiati con l’emblema del brand. Un bijoux, dove è impossibile non nominare le performance di Kink, acclamato a furor di popolo fino ad alba inoltrata; della rivelazione Retromigration (che per ben due volte è stato capace di scatenare il dancefloor declinando un ampio spettro della storia musicale “detroittesca”) e Dj Tennis, che ha stupito per la sua presenza scenica e per la solidità di un set che ha saputo farsi aspettare per poi esplodere nei momenti giusti.
Come diceva Marshall McLuhan il medium è il messaggio. Qui, tutti recitano il proprio ruolo. Tutti sanno di essere, per una notte, protagonisti di un video Youtube o di una storia Instagram che potrà essere visualizzata da migliaia di persone. E’ anche posing, ma fa parte delle regole di quel gioco che si chiama Boiler Room. Un gioco che ci è piaciuto, tanto.
In questo discorso, meno spumeggiante (specie il sabato), è risultato il Main Stage, perché privo di quella riconoscibilità di cui abbiamo parlato rispetto agli altri tre palchi. Discorso a parte per i drittoni di un tarantolato Simone De Kunovich (menzione d’onore per lo stacanovista veneto, presente in tutti i tre giorni finali), e il live dei Nu Genea, una chicca che ha impreziosito l’intera esperienza festivaliera.
L’ultima notte alle Palme Beach Club, invece, non è riuscita a replicare quella magia e quel trait d’union che avevamo respirato nella due giorni alla Masseria, anche se Kerri Chandler, una luna quasi piena e l’ottima Peach ci hanno fatto presto dimenticare la ressa dovuta a una location non propriamente adatta ad accogliere il fiume di fedelissimi giunti anche domenica sera.
Infine, i quattro giorni, ci hanno dato la possibilità di vivere l’evento non solo dall’interno, ma di godere delle bellezze che offre la Valle d’Itria (e la Puglia) a 360°.
Serious Kitchen, VIVA, Locus, Panorama, in arrivo tutti ad agosto, sono testimonianze di una regione incredibilmente frizzante musicalmente e prontissima a fare ospitalità e turismo. Potersi bagnare nelle acque della riserva naturale di Torre Guaceto, assaporare un fritto di pesce a Villanova o ammirare i Trulli di Alberobello sono un plus non indifferente nella cornice di un Festival di musica elettronica. Esperienze in cui Polifonic è stata brava a immergere il proprio prodotto.
“This year we put all our efforts into giving you an indelible experience, there’s still much to be done”, è inscritto sulla caption dell’ultimo post di Polifonic su Instagram.
Alcune volte, la crescita ulteriore può passare anche, paradossalmente, da un lavoro di sottrazione. A tratti, infatti, abbiamo avuto l’impressione che Polifonic ci abbia messo di fronte a delle scelte difficili (soprattutto nella vasta proposta artistica) e ci abbia fatto correre una maratona in cui siamo arrivati con poco ossigeno ai metri finali (vedi le 9 ore dall’inizio del live dei Nu Genea alla fine del set di Marcell Dettmann).
Piccoli accorgimenti lungo la strada verso il successo, per continuarsi a migliorare di anno in anno e crescere: com’è accaduto quest’estate, proprio come ci ha insegnato Giannis Antetoukoumpo (e Polifonic stesso). Perché i veri grandi ragionano così.