Non sappiamo se è solo la nostra bolla. Ma in queste ore, attraversando il web, il cordoglio per la scomparsa di Ryuichi Sakamoto è incredibile. Non solo in quantità, anche in qualità. E sono in tanti – quelli almeno che possono farlo – a mostrare delle piccole reliquie: ovvero momenti di vicinanza col maestro, foto, ricordi, autografi, ma anche semplici immagini di dischi in proprio possesso, ed ancora più semplici ma non per questo meno preziosi ricordi e descrizioni di sensazioni evocate dalla musica di Sakamoto, dalla figura di Sakamoto. Vi vediamo. E ci commuoviamo ogni volta con voi, così come ci siamo commossi con la foto che ha usato David Sylvian per ricordarlo:
Non è solo questione di farsi colpire dalla scomparsa di un artista che viene sentito – o percepito – come un grandissimo a muovere tutto questo. Ci sembra di scorgere qualcosa di diverso, qualcosa di più. Anche perché non tutti avranno avuto così tanta famigliarità con la Yellow Magic Orchestra, un “marchingegno” buffo ed affilatissimo, spesso pazzariello e sperimentale e ben poco accomodante, cosa che resta sottotraccia. E lo si vede appunto da come Sakamoto sia per lo più ricordato per il suo repertorio più “classico”: sia quello filmico, sia quello più legato all’elettronica (sarà la nostra bolla, lo diciamo di nuovo, ma vediamo tantissimi ricordi legati ai progetti in duo con Alva Noto: pure noi ne ricavammo una intervista breve ma molto intensa, di cui andiamo molto orgogliosi), o al pianismo acustico più intimo e raffinato.
Questo tipo di cordoglio forse sta ad indicare che, in mezzo a tutto il frastuono da streaming, da dischi d’oro, da artisti ormai bravi su Instagram tanto quanto negli studi di registrazione, di chiasso e di aggressività dell’industria musicale che in cerca di fatturati stringe oggi alleanze con chiunque gli capiti a tiro (salvo poi occasionalmente litigarci, tipo SIAE e Meta), c’è in molti di noi una sincera ammirazione e soprattutto un sincero desiderio verso eroi più tranquilli, più compassati, più composti. Almeno nell’immagine che proiettano di sé. Nell’associazione che facciamo – suffragata spesso da fatti – con la cultura giapponese, Ryuichi Sakamoto è insomma quel perfetto eroe gentile (al pari di Haruki Murakami nella letteratura) che soddisfa la nostra fame di grazia, di buon gusto. Il fatto che abbia anche attraversato bizzarrie pop (c’è chi lo sa perché accanito ascoltatore, chi lo sa più per sentito dire) non fa che dare ancora più valore e spessore alla figura del compositore giapponese, anche se non è il fuoco della questione.
Tutto questo è veramente molto, molto bello. E’ l’ultimo, prezioso regalo che Sakamoto ha dato al mondo della musica, all’amore per la musica che rende migliori le persone. E che ha dispensato a piene mani anche nell’ultimo decennio, sì, quando sottovoce e quasi vergognandosene ha lottato come un leone contro un male infame che alla fine ha prevalso, continuando a offrirci momenti di bellezza suprema. Semplicemente suprema. E questo partendo (anche) dallo scherzo, dal brio, dagli esperimenti, dall’ironia, dallo sguardo scanzonato – e non affamato di fama – verso il futuro.