Sinceramente: tolto il numero pantagruelico di addetti ai lavori che sono andati a vedersi la bagatella di Ye a gratis, beati loro (inizialmente la parola d’ordine era “Non ci sono accrediti per nessuno” pare, immaginiamo anche per evitare l’assalto alla diligenza che a Milano è la regola, tutti si sentono vip; poi però evidentemente c’era il bisogno di riempire le tante sedie vuote del Forum), per chi ha pagato tra i 107 e gli oltre 200 euro per assistere a questa performance concettuale sul potere della fama abbiamo provato un paio di cose: prima dispiacere, e poi imbarazzo.
Già.
Dispiacere, perché è brutto vedere delle persone farsi rapinare così, posto che comunque ognuno è libero di spendere i suoi soldi come meglio crede (…anche se in qualche caso dovrebbe sentirsi un po’ più responsabile, se i soldi sono dei genitori). Imbarazzo perché superato il dispiacere c’è in realtà solo l’imbarazzo. Imbarazzo accresciuto e meravigliosamente duplicato dalla sindrome di Stoccolma di chi tenta ad evento finito di difendere l’indifendibile: “In fondo, Kanye ha dimostrato ancora una volta di essere unico, di essere un genio, quello che può fare lui non lo può fare nessuno”. Ah sì?
A tutte queste persone vorremmo ricordare che un musicista con un minimo di dignità si rifiuterebbe di estorcere ai suoi fan, nel nome della musica e di se stesso, una cifra così cospicua di denaro per letteralmente il nulla, o poco più, per qualcosa che insomma non è manco un tentativo di playback.
Oppure, questa un’altra ipotesi, non di musica si parla, perché Kanye West non sta lavorando non come musicista, no, ma come creatore del brand di se stesso. Che è quello che Kanye effettivamente sta facendo, con delle derive che al confronto Marina Abramović pare una simpatica compagnona molto alla mano. Col grande equivoco, però, che Kanye dice (e probabilmente proprio pensa) di farlo per la musica. Sì. O almeno: anche per la musica.
vorremmo ricordare che un musicista con un minimo di dignità si rifiuterebbe di estorcere ai suoi fan, nel nome della musica e di se stesso, una cifra così cospicua di denaro per letteralmente il nulla, o poco più, per qualcosa che insomma non è manco un tentativo di playback
Una cosa soprattutto abbiamo trovato curiosa – eufemismo! – del “Vulture’s Listening Experience” andato in scena ieri al Forum di Assago, alle porte di Milano, e che mo’ salvo colpi di scena sempre possibili dovrebbe replicarsi a Bologna: praticamente tutti sono stati d’accordo nel dire che si sentiva veramente di merda, soprattutto nella prima parte. Apperò.
Curioso per una “Listening Experience”, no? E sinceramente siamo propensi a non dare, come si fa di solito, la colpa all’acustica pessima del Forum (che in realtà non è così pessima), o ai promoter italiani che non sanno lavorare (‘sta baracca è stata organizzata da una joint venture di due delle più grandi agenzie di settore, con decenni di attività alle spalle); questo perché “Vultures 1” già di suo suona in modo indecoroso come disco al di là del giudizio sulla musica in sé, con un mixaggio fatto probabilmente da Bianca Censori mentre sceglieva con quale cuscino vestirsi o da qualche ultrà interista che dopo i coretti di “Carnival” ha girato a caso le manopole nello studio con la benedizione di Kanye stesso, e quindi nulla di strano che anche proiettato su un impianto da concerto il suono sia di qualità scarsetta.
Abbiamo anche letto, in giro: “Eh, ma nessuno come Kanye riesce comunque a creare l’’evento’: guarda quanti pezzi grossi del rap c’erano, Ty Dolla $ign ovviamente, ma poi anche Playboy Carti, Freddie Gibbs, Quavo, Rich The Kid, Jaden Smith…”. Boh? Che, davvero? Vi basta questo? Vi basta vedere il personaggio, vedere che è lì fisicamente davanti a voi, per emozionarvi? Ok. Benissimo. Allora però smettete di sfottere e di considerare dei subumani quelli che affollano le discoteche per vedere i tronisti, le veline, i gieffini fare ciao ciao con la manina dal privé; e soprattutto a questo punto prendiamo atto che i vari showcase gratta-soldi in cui i rapper si sono specializzati (trenta minuti di concerti, dieci di selfie, dieci-venti-trentamila euro in banca) sono, al confronto, un’epopea alla Bruce Springsteen. Del resto, è da mo’ che nessuno si scandalizza per il fatto che il grosso dei rapper fa cassa con degli showcase che sono davvero delle grattate.
Quello che si è visto e vissuto ieri al Forum è però, sotto vari punti di vista, ingiustificabile. Perché è stata la celebrazione della musica come scusa per un lavorìo solo su alcune cose ben precise: sul feticismo della fama, del personaggio, della superficialità, della finzione, dell’ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Meno male che la stampa non ha assolutamente messo la polvere sotto il tappeto, a ‘sto giro: dal sempre ottimo Claudio Cabona su Rockol fino ad un affilato Andrea Laffranchi sul Corriere, perché se anche il Corriere inizia a sfottere Kanye (giustamente, peraltro) vuol dire che davvero si sta tirando la corda.
Già è stato difficile spiegare che il rap non è (solo) una musica per adolescenti: l’ondata trap, una musica nuova che giustamente usa un linguaggio che agli adulti sembra rozzo, decerebrato, offensivo e senza senso – come ogni musica nuova che si rispetti: è toccato a suo tempo al jazz poi al rock poi al punk poi alla techno – e spesso effettivamente tale è, come lo era quello del punk e prima del rock o del “selvaggio” jazz e poi l’impasticcarsi abbestia ai rave, ha ovviamente molto confuso le acque, e gli osservatori più superficiali e/o altezzosi hanno fatto fatica a capire come diavolo fosse possibile che il rap non fosse più la musica politicizzata ed impegnata Malcolm-X-E-Le-Pantere-Nere come avevano imparato a considerarlo negli anni ’90 ma, adesso, un ricettacolo di gente che parla di soldi, figa, droga e paranoie brufolose. Il rap in realtà è entrambe le cose, ed è anche molto altro: raccontare la realtà, senza filtri, con un tipo di linguaggio non più aulico come quello dei cantautori ma sintonizzato sulla quotidianità di strada, significa poter e soprattutto dover percorrere diversi registri. Il rap non era solo Malcolm X prima, non è solo deboscia ganghesca microcriminale adesso; è una musica ed una cultura di spessore, con varie sfaccettature.
Ma proprio una figura come quella di Kanye, il modo in cui viene affrontata ed anche supportata, rischia di rendere l’hip hop nel nuovo millennio pericolosamente bidimensionale: una musica/cultura che legge cioè e racconta solo il culto della fama, del successo e dell’egotrip, ponendoli a priorità ontologica: che questo accada al Forum in playback e mossettine o nei Sanremo da affrontare con la canzonetta col ritmo da Luna Park e il ritornello canterino, è la stessa cosa.
Per fortuna può essere molto di più, il rap, la cultura hip hop.
Perché fosse solo questo, ci sarebbe un po’ da vergognarsi a continuare ad amarla, raccontarla, supportarla questa cultura.
Sono tanti i lampi e i momenti in cui il rap e l’hip hop mostrano la loro faccia migliore. Basta cercarli ed evidenziarli, invece di attaccarsi solo alle puttanate e a quello che piace al sistema fashionista-gossiparo. L’ultimo lampo in ordine di tempo è stato questo pezzo di Inoki che vi mettiamo qua sotto. Ascoltatelo attentamente. Guardatevi il video. Ragionate sul messaggio. Una volta che l’avete fatto, se l’avete fatto a modo dovrebbero esservi chiare due cose, anzi tre: l’immenso potenziale artistico e sociale del rap, la sua capacità di riflettere anche criticamente su se stesso e infine la sostanziale stupidità dell’indirizzare ogni sforzo a glorificare qualcuno solo perché è famoso e perché tutti parlano di lui, in un meccanismo imparentato molto di più con le leggi della moda più cinica ed avida che della consistenza musicale e umana. Fate voi.
Ah, un post scriptum: ora che Kanye West è riuscito a far pagare un biglietto tra i 100 e i 200 euri per il nulla, i manager degli artisti che fanno concerti “normali” avranno la strada un po’ più spianata per chiedere 250 e passa euro ad ingresso per dei concerti standard. E lo faranno. Così, giusto per farlo notare a chi ha scagliato i soldi nel water – lecitamente, per carità – per vedere poco più del nulla, poco più di una farsa: riguardasse solo voi libera scelta, invece purtroppo ‘sto caravanserraglio rischia di riguardare a breve tutti.