Chissà. Viene quasi da dire che era meglio quando i Murazzi erano stati ammazzati: “Una stupidità tutta italiana“, scrivevamo, osservando addolorati (e, sinceramente, pure alquanto incazzati) quanto Torino buttasse nel cesso un potenziale incredibile di storia, di presente, di futuro, di aggregazione, di energie creative e sociali, il tutto nominalmente sotto la spinta del decoro e delle legalità ma, sinceramente, anche solo e semplicemente per il terrore di fare qualcosa che fosse “vivo”, che fosse cioè pulsante, imprevedibile, che mischiasse le carte e creasse energie difficili da catalogare, difficili da addomesticare.
“No, ma tranquilli, i Murazzi riapriranno, Giancarlo riaprirà“, rassicuravano i vari amministratori cittadini che si sono succeduti. I più onesti sibilavano a denti stretti, senza farsi sentire troppo, “…ma non sarà più come prima“. Ora: è vero che certe magie non si ripetono più, certi intrecci di energia non sono per sempre; lo sappiamo. Ma accidenti, quello che si sta servendo a Torino è un piatto scentrato e pure annacquato. Se non proprio avvelenato.
Si scrive infatti sul Corriere della Sera, parlando della riapertura in questi giorni dei primi esercizi pubblici sul lungo Po murazziano (ora il Porto Urbano e il “nuovo” Giancarlo, a breve una – ehm – vermuteria):
“La vermouteria, come tutti gli altri locali sotto le arcate, ha l’ambizione di far rivivere i Murazzi di notte ma anche di giorno. Dal prossimo mese saranno dunque almeno tre i dehor che si vedranno da piazza Vittorio, dalla prossima primavera tutte le arcate saranno aperte al pubblico. Tra i problemi più grandi che stanno incontrando i vincitori dei bandi c’è la ricerca del personale, sempre più difficile da trovare. Intanto però qualcosa si muove e riapre, da lunedì sera un altro angolo della città è stato illuminato”
E’ stato illuminato, sì, ma come? Con quale consapevolezza di quello che è stato il ruolo storico dei Murazzi negli ultimi decenni? Lo diciamo chiaramente: zero. Oppure: mille, se l’intenzione era quella di ammazzarli. Certo, al bravo cittadino benpensante dà fastidio che esistano luoghi affollati, aperti fino all’alba, dove si mescolano persone normali e poco di buono, dove succede di tutto, dove la cultura è anche bastarda e talora etilica e stupefacente (come molto spesso la cultura è, guarda caso…), dove il tagliagole si mescola col cabinotto (questa i torinesi la capiscono…). Rispettabile, la posizione del bravo cittadino. Bravo, il bravo cittadino. Ma domanda: perché il bravo cittadino vuole imporre a tutto e tutti il suo stile di vita, il suo modo di vedere le cose, peraltro intriso di profondissima ipocrisia visto che i prodotti culturali di cui spesso si nutre arrivano in origine proprio da quei mondi che tanto disprezza e vorrebbe cancellare per amor di decoro?
E il bravo cittadino, e l’altrettanto bravo amministratore, non si è poi posto la domanda di come, quando e perché Torino sia tornata ad avere un ruolo da protagonista e ad essere desiderabile, attirando quindi un minimo di economie e sfuggendo al destino di essere una gigantesca, buia cattedrale abbandonata e scarnificata dalla fuga degli Agnelli verso la fiscalità olandese e i capitali francesi? Il bravo cittadino e il bravo amministratore hanno capito quanto Torino sia stata salvata dalla musica e dagli immaginari che ruotano attorno ad essa, visto che le altre forme di dinamicità culturale ed imprenditoriale sono affidate solo a chi è (ancora, e per ora) ricco di rendita? E tutto questo con una “chiave torinese”, che anche qua abbiamo più volte provato a raccontare ed evidenziare, chi ci legge lo sa: una città con una “intelligenza diffusa” pazzesca per quanto riguarda la musica, una città dove un festival profondamente alternativo e sperimentale come Club To Club diventa un’eccellenza, una città dove puoi fare uno dei più grandi e popolari festival techno/house al mondo (il bravo cittadino manco sa cosa sono techno e house, ed è contento di non saperlo, ci mancherebbe), una città dove il jazz è vivo come non mai (col suo festival jazz “ufficiale”, il Torino Jazz Festival che inizia oggi, o con la sua controparte scura, oppositrice e rabbiosa Jazz Is Dead), una città dove è il pop è di un livello superiore (un tempo Traffic, oggi ToDays), una città dove abbondano competenze ed intelligenze.
Tutto questo valore aggiunto dove va? Va nel cesso. Complimenti, bravo cittadino; complimenti, brava amministrazione.
Siamo troppo catastrofici? Allora, fate voi, decidete un po’ voi: una amministrazione che avesse una minima consapevolezza della storia e dell’identità più intensa dei Murazzi permetterebbe mai la riapertura di Giancarlo affidandola a persone che annunciano che sì, ci sarà elettronica, ma ci sarà “anche del reggaeton“? O che dicono che “Qui sotto servirebbe un presidio fisso di polizia. Come associazione di gestori abbiamo già deciso di avere degli steward in pettorina, ognuno avrà i suoi, per mantenere un’immagine di pulizia e ordine lungo la passeggiata“? Tutto questo con però prima una pelosissima serie di richiami all’identità storica di Giancarlo e sue supposte valorizzazioni, quindi nemmeno c’è la scusa dell’inconsapevolezza. Fonte: l’articolo oggi uscito su La Stampa, da sempre il “termometro” cittadino (o per qualcuno, “La Busiarda”…).
Tenetevi il reggaeton. Tenetevi la pulizia e l’ordine. Tenetevi una città mitriditizzata, che anela al nirvana della banalità e dell’uniformità innocua, standardizzata. Ma sappiate: non saranno le decine, centinaia di locali carinissimi e buonissimi per mangiare&bere che si stanno aprendo a rotta di collo a rimettere in pari la bilancia dell’impatto sociale, economico, culturale, identitario. Però a voi, in fondo, non frega granché.
Ma per far capire ai medio-men torinesi benpensanti e più neghittosi quanto sia grave la situazione, la buttiamo lì: se non ve ne siete accorti, in questa maniera tutte le buone e belle idee che nascono a Torino appena possibile sempre più fuggiranno a Milano (o, in misura minore, altrove), per riuscire a camminare con le proprie gambe – visto che Torino sarà solo la terra di un grigio e noioso decoro che pialla ogni vitalità e personalità intellettiva e sociale. Una enorme, anonima, spenta provincia. Oh sì. Torino è storicamente tanto ossessionata da Milano che manco il bravo cittadino e il bravo amministratore accetterebbero di sentirsi dire “Milano vi sopravanza, vi svuota in tutto, ormai valete un decimo di Milano e sarà sempre peggio, voi sarete sempre più provincia“: l’ultima speranza di dare una sveglia al sabaudismo interiore e deteriore è insomma far capire che in questo modo e con questo andazzo Torino non sarà più l’antagonista snob e intelligente di Milano, ma sola una Vercelli o una Novara un po’ più grande.
E i cabinotti, non solo i tagliagole brutti e sporchi!, andranno a Londra o a Berlino. Cercando quello che poteva essere – e già c’era – a Torino.
Il reggaeton da Giancarlo. Ma pensa te.
Davvero: ma pensa te.
E sia chiaro, non abbiamo nulla contro il reggaeton e chi lo balla. Ognuno sia libero di scegliersi il loisir e il suono che preferisce. Sempre. Ma esiste una capacità di analisi e di prospettiva; e – come già scrivevamo – aver prima “ammazzato” i Murazzi e ora il provare a resuscitarli con una morbosa attenzione a smussare gli angoli e a “normalizzarli” è la dimostrazione plastica si quanto non si stia capendo nulla di nulla di ciò che è stato. Bravo, cittadino. Brava, amministrazione.
Avanti così. Fino all’irrilevanza.