Ogni tanto ci sono delle idee vincenti. Attenzione, non arrivano per caso. E poi, non è detto che siano ripetibili ovunque. Altavoz, per chi ancora non lo conoscesse, è davvero un caso più unico che raro: lo è per il suo successo, visto che vanta un seguito che lo pone assolutamente al top fra gli eventi di clubbing in Italia (e non solo in Italia), però al solito se si vanno solo a guardare i numeri si perde la parte interessante della faccenda. “Altavoz nasce in un centro sociale, il Rivolta di Marghera, alle porte di Venezia, e non in un club. Non so quanti dei nostri frequentatori se ne rendano veramente conto, ma questa è una grande differenza di fondo e, per noi, un valore aggiunto. Significa infatti che ci si trova in un posto dove i contenuti sono importanti: dove cioè si fa informazione e non solo divertimento, dove le persone non vanno abbandonate a se stesse ma invece seguite e assistite, dove si può parlare serenamente e coscienziosamente delle politiche di riduzione del danno”. Conosciamo Max Di Blas da tempo immemore, ed Altavoz l’abbiamo visto crescere, passo dopo passo, queste sue parole quindi le possiamo confermare per esperienza diretta: è effettivamente così.
“I risultati si vedono, credo: nella scorsa stagione non è mai dovuta intervenire l’ambulanza per nessun tipo di malore, gli unici piccoli problemi sono stati legati a gente che aveva bevuto troppo e in modo stupido”. Non una cosa da poco, considerando che stiamo parlando di un evento che ogni mese a Marghera al Rivolta, alle porte di Venezia, raduna 3000/4000 persone (“Persone che erano e sono abituate ad andare nei club, per loro andare in un centro sociale è stata una inedita scoperta”). Stiamo parlando anche di un evento che nel 2009 ha avuto anche il coraggio di fermarsi: non era successo niente di particolare, nulla che non si veda ad un qualsiasi evento di quelle dimensioni, ma era comunque troppo. “Perché ci teniamo a far capire che andare ad ascoltarsi e ballare musica elettronica non significa devastarsi. Dopo una serata che ci aveva dato troppi problemi, apertura stagione del 2009, il mese successivo abbiamo deciso di sospendere eccezionalmente tutto rimpiazzando l’evento con una giornata dedicata ad incontri e workshop su effetti negativi delle droghe, politiche di riduzione del danno, gestione del rischio. Centinaia di persone hanno partecipato, un’affluenza anche oltre le previsioni che ci inorgoglisce, è stato un momento importante”. Quel sabato di due anni fa forse si è rinunciato lì per lì ad un corposo guadagno facendo saltare l’evento, ma Altavoz è diventato definitivamente adulto. Maturo e consapevole. Consapevole infatti della sua diversità: pur essendo un evento di clubbing in tutto e per tutto (non un rave quindi, ovvero ciò che negli anni ’90 poteva entrare nei centri sociali quando si parlava di techno o house: Altavoz non ha quel clima, non ha quel piglio, è molto più vicino come atmosfere al Cocoon che al Teknival), non però è esattamente quello che potreste incontrare andando in qualche superclub, di quelli che conoscete tutti.
Ecco. Questo è un dicorso molto importante. Spiega anche perché il clima si respira ogni mese al Rivolta sia così seducente (e, numeri alla mano, seduca). Perché sì, c’è la musica, ci sono i dj, e tra l’altro la stagione 2011/12 promette di fare un deciso salto di qualità (“Avremo Matthew Dear, Martyn, Ramadanman, Luke Slater, Craig Richards, Martin Buttrich, Margaret Dygas, Jackmaster”, spiega Max ed è un elenco che va ben al di là dei “soliti” dj emergenti marchiati Cadenza, Cocoon, Desolat eccetera, che pure non mancheranno assolutamente), ma la carta vincente di Altavoz è proprio quel “qualcosa” – quasi subliminale – che si respira. E’ clubbing, sì, ma è anche qualcosa di più. Qualcosa che tocca la sfera dei contenuti, già. Certo, l’eccezionalità del Rivolta come venue aiuta (grandissima, a più sale, con molti spazi aperti); ma già da qualche anno si esce anche da questo guscio originario per andare a toccare Bologna, Firenze e Milano con risultati quasi sempre invidiabili. Pure quest’anno sarà così. “Il nostro pubblico si fida di noi, ormai, e sparge anche la voce. In più, cerchiamo di rispettare per ogni città la sua storia, la sua tradizione, i suoi gusti consolidati negli anni: ci sono nomi che a Venezia non funzionerebbero ma a Bologna sì, idem con Firenze o Milano, di questo siamo consapevoli e non vogliamo minimamente arrivare col piglio di quelli che vogliono imporre qualcosa a qualcuno, c’è sempre una stretta collaborazione con organizzazioni che lavorano lì da anni”.
Non è ripetibile il modello Altavoz, secondo noi. O lo è molto difficilmente. Pochissimi possono infatti partire da un posto come il Rivolta, pochissimi possono avere la capacità di incrociare e saper far convivere la sensibilità e le dinamiche da clubbing con quelle tipiche dei centri sociali: indicare Altavoz come “modello da seguire” è una posizione insomma da maneggiare con cura. Ma nonostante questo – o proprio per questo? – è un modello da tenerci ben stretto. Non abbiamo comunque bisogno di sottolinearlo più di tanto: a premiarlo ci stanno già pensando, ogni mese a Marghera e più volte in giro per l’Italia, migliaia e migliaia di voi. A partire da questo sabato, 8 ottobre.