Fate una prova, aprite il suo calendario per curiosare un po’ su dove andrà a suonare nei prossimi mesi: non c’è dubbio, Marco Faraone è uno dei big della scena italiana. E il bello è che lui non fa nulla per “menarsela” o per sottolineare quanto, da diversi mesi a questa parte, i risultati siano davvero dalla sua; nemmeno un accenno di polemica nei confronti di chi – volete che negli ultimi anni non sia successo? – magari in passato gli ha pestato volutamente i piedi o non gli ha dato la considerazione che il tuo talento e la sua perseveranza hanno sempre meritato. Perché una cosa va chiarita, a discapito di qualsiasi dubbio: non c’è nessun problema nell’ammettere che un dj non incontra i propri gusti, ma è un peccato mortale non riconoscere i sacrifici e l’abnegazione di chi, dopo tanto lavoro, ha finalmente trovato lo status che merita. E Marco Faraone, non per la sua residency al Tenax – a cui è terribilmente legato, lo leggerete – e nemmeno per la sua musica, di cui la sua label Uncage è recente testimonianza, meritano tanto, tantissimo rispetto.
In attesa di ballarcelo proprio al Tenax sabato prossimo al fianco dell’amico Gaetano Parisio, oggi è sulle nostre pagine con un’intervista tanto densa quanto lunga. Buona lettura!
Vorrei partire da uno dei temi ricorrenti nell’attuale music business: sei uno dei dj italiani protagonisti della scena internazionale, eppure non sembri vivere – e sfruttare – il mondo dei social network come tanti altri illustri colleghi. Come mai?
Penso che fare lo spettatore di ciò che fanno gli altri, specie se colleghi, faccia correre il rischio di un condizionamento inconscio. Ti ritrovi lì a pensare quanto sia figa una determinata cosa, o quanto anche tu vorresti avere una data in un certo locale, senza però che tutto questo sia veramente “maturato” anche per te: non è detto che tutto vada bene per tutti, o che per ciascun dj valgano le stesse regole. Questo è un aspetto molto negativo, a mio modo di vedere, perché bisogna sempre aver ben presente chi siamo, cosa si è fatto e dove si sta andando…e social rischiano di minare questo tipo di consapevolezze.
Il rischio di perdere il contatto con la realtà, fossilizzandosi su quegli artisti che, proprio attraverso questi nuovi strumenti, hanno raggiunto una rapida notorietà è effettivamente dietro l’angolo…
Esatto: non possono diventare un riferimento o un metro di paragone, sarebbe assurdo. Così come sarebbe sbagliato pensare che chiunque, con a disposizione certi strumenti, abbia certamente l’avvenire spianato e il futuro scritto. Provassi io, a puntare tutto su Instagram, probabilmente non farei nemmeno un metro; questa è la ragione per cui io continuo a pensare che il mezzo per noi dj per attirare l’attenzione siano i dischi e i dj set. Ecco: mi piacerebbe che in futuro tornassero a contare soprattutto i dischi e che fossero loro a determinare le nostre sorti.
Concordo.
Tempo fa si conoscevano i dischi di un dj e poi la sua faccia. Oggi è purtroppo, spesso e volentieri, il contrario.
Come detto, non sembri essere un dj che ama porsi al centro dell’attenzione quando non è in consolle, per questo non è semplicissimo “conoscerti”. Quanto sei cambiato in questi oltre quindici anni di carriera?
Sono cambiato tanto e sono cresciuto tantissimo da quando ho iniziato mettendo i dischi al Frau, un locale che è stato per me uno dei primissimi punti di riferimento, insieme al Kama Kama e al Tenax, permettendomi di farmi ascoltare e amare molti dj che altrimenti non avrei potuto ballare.
Tu sei stato resident di tutti e tre i club, o sbaglio?
No, non sbagli, per questo sono molto dispiaciuto che ad essere rimasto aperto sia solo il Tenax mentre gli altri abbiano chiuso. Qui a Firenze, però, sono più una “regular guest”, perché per me il dj resident è quello che dentro al club ci sta tutte le settimane o quasi, e che ne cura il suono da vero e proprio padrone di casa.
Un tempo, poi, al resident tocca il compito “fare la serata”, perché era davvero raro avere una guest invitata a suonare.
Nel caso del Tenax c’era Alex Neri.
Alex faceva tante, tantissime serate da solo, mettendo i dischi dall’inizio alla fine. Così riusciva a dare al Tenax un’impronta e un’identità davvero personale e forte, cosa che un po’ si sta diffusamente perdendo andando alla rincorsa di guest in grado di vendere col loro nome il maggior numero di biglietti.
A proposito di guest, tu quanto stai viaggiando in questo periodo?
Fortunatamente lavoro molto all’estero e riesco ad avere più di otto date al mese, fino alle oltre venti di agosto.
C’è stato un momento in cui hai realizzato che il gioco si stava facendo serio e che quello del dj poteva diventare un impegno serio e a tempo pieno?
È successo tre o quattro anni fa, quando mi misi a leggere il mio calendario estivo e lo trovai pieno zeppo di impegni. Lì capii che sì, ero destinato a fare questo lavoro. Ma non ci sono solo le feste: per me è altrettanto fondamentale anche il lavoro in studio.
Come sta andando Uncage, la tua label?
Sta andando bene. Piano, ma bene. Ci metto tanto, ma davvero tanto a metabolizzare cosa voglio far uscire: ascolto e suono i demo un’infinità di volte prima di ultimare una release, questo perché facciamo un sound che non è semplicissimo da vendere. Ciò che stampo su Uncage non è necessariamente ciò che propongo poi nei club o nei festival: il mio percorso è molto lungo e caratterizzato da molteplici influenze, input che mi hanno portato a rilasciare materiale molto vario, ma oggi Uncage è qualcosa di piuttosto unico per me.
Tu sei stato uno dei protagonisti di Etruria Beat, di cui, sono onesto, pensavo fossi addirittura socio. Mi distraggo un attimo e ti ritrovo con una label tutta tua…cos’è successo?
Con Luca Agnelli c’era di base un’amicizia e una grandissima stima personale, ma l’idea di fondare e lanciare la label è stata principalmente sua. Io mi sono “limitato” a supportarlo, aiutarlo e a mettere a disposizione i miei contatti esteri, dato che avevo già pubblicato qualche EP per importanti etichette internazionali, oltre a suonare con regolarità fuori dall’Italia. L’investimento economico, ci tengo a sottolinearlo, è stato tutto e solo suo visto che all’epoca non avevo la forza per sostenere una cosa simile. Questa è la ragione per cui, una volta che io e Luca, dopo tanti lavori fianco a fianco, abbiamo un po’ smarrito la visione comune di dove portare Etruria Beat e nostri rispettivi sound, ho fatto un passo indietro e ho cercato una nuova sfida tutta mia.
Mentre sull’estero eri abbastanza coperto dalle tue uscite, Etruria Beat ti ha dato grossa visibilità a livello nazionale.
Assolutamente, devo molto a Luca e ad Etruria perché nel periodo della nostra collaborazione ci siamo aiutati tantissimo in studio e questo ha rappresentato un momento di grande crescita, sia umana che musicale, quando ero solo un “progetto” di dj.
Da cosa deriva il nome “Uncage”?
Dal fatto che, proprio per non aver potuto prendere parte all’investimento iniziale per far nascere Etruria Beat, io mi sentissi un po’ in gabbia in termini di decisioni da prendere. In fondo, come potevo non sentirmi in difficoltà a vincolare Luca nelle decisioni che riguardavano la label? Così il nome Uncage: fuori dalla gabbia e senza catene.
Ti aiuta qualcuno? Hai un Marco Faraone a farti da spalla?
No, nessun “Marco Faraone”. Con me lavora come AR Norman Methner, che ha portato in Uncage tanti anni di esperienza maturati in Gigolo Records International al fianco di DJ Hell. Con la label supportiamo tantissimo giovani artisti italiani – non ultimo Mattia Trani, che è stato sulle vostre pagine con la premiere di una traccia del suo EP -, ma non c’è nessuno che mi aiuta come io ho fatto con Luca.
Quando parli di Mattia Trani con noi sfondi una porta aperta.
Mattia è bravissimo e non potevo non credere nel suo EP! Poi c’è stata l’opportunità di far remixare “Collider” da Donato Dozzy, che fa pochissime cose, soprattutto per label italiane…insomma, ti è chiaro quanto ci tenessi a quell’uscita!
Hai detto che non suoni spessissimo le cose che pubblichi, come mai?
Perché si tratta di materiale che non sempre si presta agli stage delle big-room o dei festival dove suono sempre più spesso. Per questo non voglio perdere in alcun modo la mia residenza al Tenax: mi aiuta a non perdere il contatto con il pubblico e a mantenere i piedi ben saldi a terra, oltre all’ovvio legame affettivo che mi lega a quelle mura.
Interessante il discorso dei piedi in terra…
È così: suonare al Tenax, mettendomi al servizio dell’ospite della serata, tiene a freno il mio ego. Tutti i dj, e gli artisti in generale, ne hanno uno e essere per una volta la figura che cura il warm-up non può che aiutare a controllarlo. Fare apertura, poi, è un’esperienza diversa che completa il nostro mestiere: i set al Tenax sono infatti molto diversi da quelli che faccio altrove, perché conosco il locale, l’ho vissuto negli anni sia da cliente che da dj. Conoscere il vibe di un locale è una cosa che riguarda prevalentemente il resident, non l’ospite che va una volta l’anno: può sapere se un disco è forte in senso assoluto, ma mai conoscere davvero il suo effetto su un determinato dancefloor! Spesso i resident suonano meglio degli ospiti…
E tu nove volte su dieci sei guest!
Ma infatti so perfettamente che devo aspettarmi sempre un altro dj che conosce meglio di me il locale e che è nelle condizioni di massimizzare l’effetto dei suoi dischi…ecco perché ti dicevo dell’importanza di mantenere una residenza, si torna al discorso dei piedi per terra!
È una cosa che non fanno tutti, ma mi rendo conto che tutti i dj che nella loro storia hanno avuto a lungo la residency in un club prestigioso alla fine hanno qualcosa in più degli altri, soprattutto in termini di esperienza. Consideriamo il caso opposto, quello dei produttori che da un momento all’altro si ritrovano pieni di date: loro avranno sempre un gap da colmare, in termini di djing, con chi negli anni ha fatto tanti warm-up.
A volte, però, non è così semplice accedere a una consolle come quella del Tenax.
Assolutamente, per riuscirvi conta tanto anche la fortuna…oltre alla perseveranza! Io negli anni sono stato resident del Frau, della Canniccia, per un periodo del Kama Kama e poi del Tenax. Oltre al Café d’Anvers ad Anversa e a diversi locali a Madrid: tutto questo mi è stato di grande aiuto, facendomi sempre sentire attaccato al club e alle sue dinamiche. Essere resident ti fa sentire più vicino al pubblico, ecco.
E con Firenze che rapporto hai?
È speciale, incredibile! Pensa che ad ottobre ho avuto il piacere di fare un’all night long e di suonare per sei ore. Erano anni che avveniva che un resident al Tenax suonasse tanto…forse l’ultimo è stato Alex Neri!
Sei stato al party con Coccoluto, Alex Neri e Ralf?
No, ero via a suonare, ma mi hanno riferito che è stata divertentissima. Un party del genere è “importante” e in qualche modo rappresenta la conseguenza al successo che ha avuto Farfa tutte le volte che in questi mesi è stato chiamato a mettere i dischi.
Ora tra l’altro è entrato nell’Academy, dico bene?
Sì, l’Academy aveva bisogno di una figura come quella di Francesco, col suo carisma e la sua esperienza. Pensa che cosa fantastica è, per tutti quei giovani che entrano nella scuola, oltre ad aver a disposizione i mezzi di un locale come il Tenax, avere la possibilità di confrontarsi con un dj con un talento simile. Io non ho avuto una fortuna simile, Alex Neri e Francesco Farfa potevo solo sognarmeli! Credimi: se ami mettere i dischi, è qualcosa di eccezionale.
Ora vorrei fare un passo indietro: qualche tempo fa ho scritto un pezzo in cui ponevo l’accetto su un problema enorme che sta vivendo la nostra scena: i locali in provincia stanno morendo. Tu come vivi questo fenomeno?
Oggi lavorano solo le grande città, dove tra l’altro i club sono sempre meno e fanno meno serate che in passato. I promoter, poi, rischiano molto meno, affidandosi spesso e volentieri a quei nomi che fanno vendere i biglietti…
Ma tu sei uno di questi!
Io sono tanti anni che faccio questo lavoro e solo da poco posso dire di vivere un buon momento! Nonostante quello che sto per dire possa sembrare contro i miei interessi, penso sia fondamentale che la scena trovi il modo di rinnovarsi ciclicamente, immettendo nuove idee e nuove energie: credere e ascoltare cose nuove, quando si ha a che fare con musica di nicchia, è importantissimo.
È tutto un po’ troppo superficiale, non trovi?
Per me, quando avevo quattordici anni, era impensabile poter andare a ballare. Questa sorta di “privazione” mi ha fatto crescere il desiderio, la voglia e il bisogno di vivere un certo tipo di esperienze non appena fosse stato possibile. Si trattava di una sorta di percorso che ci preparava e rendeva più consapevoli di ciò che andavamo ad ascoltare. Io ricordo che quando c’era un dj che volevo ascoltare, a me la “fotta” veniva già dal lunedì…non ci stavo dentro! Non vedevo l’ora! Oggi invece il pubblico è cambiato, pretende (e ottiene) tutto e subito, spesso troppo prematuramente. Sai quanti ragazzi a vent’anni già si dicono scocciati dei locali? A vent’anni!
Certo che se a vent’anni sei già scocciato, forse la musica elettronica non fa per te!
Chiaramente, ma ciò non toglie che è sbagliato non ci siano più gli step. La crisi della scena di cui parlavamo prima non è solo economica, ma proprio sociale e culturale. Dire che i locali faticano ad esser pieni perché i ragazzi hanno meno disponibilità è far finta di aver analizzato il problema: se così fosse, perché per prenotare una cena in certi ristoranti occorre chiamare giorni e giorni prima?
Dove ti vedi tra dieci anni? C’hai mai pensato?
Ancora no, ma mi immagino ancora dentro al mondo della musica. Sono sempre stato una persona che non ha paura di cambiare e di evolversi, tanto che da un paio di mesi ho scelto di trasferirmi a Barcellona. Si sta da Dio, avevo bisogno di nuove sfide e nuovi input, ma Berlino e Londra sono troppo grigie e fredde per me, così ho ascoltato i consigli di Gaetano Parisio, una persona che mi è stata molto vicino in questi mesi, un buon amico, e l’ho raggiunto in Catalogna.
Barcellona, oltre a essere più viva di Firenze, ha senza ombra di dubbio un aeroporto più comodo per te che prendi quasi venti voli al mese.
L’aeroporto di Firenze è una vergogna: metà dei voli che ho preso da lì hanno avuto problemi. Sempre gli stessi.
Con Gaetano Parisio ci sono progetti in ballo?
Oltre ad essere con me al Tenax sabato, ci sono diversi discorsi aperti in studio di registrazione: lui è in un momento molto positivo e prolifico in cui sta cercando di recuperare vecchi progetti che non erano stati ultimati…davvero un bel sentire! Per me sarebbe un onore poterlo avere su Uncage, ma dovrà decidere in base a quello che reputerà più giusto visto che è diverso tempo che non esce materiale con la sua firma. Mi auguro per lui che riesca a ripartire subito fortissimo.
Tornando a quanto mi chiedevi prima, tra dieci anni vorrei continuare a fare ciò che mi piace, sempre cercando di impegnarmi in progetti contraddistinti dalla qualità: oggi è troppo semplice improvvisarsi e pubblicare materiale, ma la verità è che a “rimanere” sono solo i dischi fatti bene e i progetti con un’identità.