Le chiacchiere private possono durare ore, ma negli impegni professionali il tempo è tiranno: con Apparat, amico da anni, lo slot per l’intervista è ridottissimo. D’altro canto lo si è ricavato a fatica, nelle prove serratissime con la band che precedono l’avvio del nuovo tour. Un tour speciale, anche difficile: il primo in assoluto, dopo il lungo stop da pandemia. Ci sta quindi che si debbano ridurre al minimo le escursioni fuori dalla sala prove. Ma sarà l’amicizia di vecchia data, sarà (soprattutto!) la grande ricchezza umana di Sascha Ring come persona, questi pochi minuti diventano oro – e diventano una serie di risposte e considerazioni non banali, molto sincere, molto intense, quando serve anche appuntite. Apparat torna sui palchi, e lo fa partendo proprio dall’Italia: un po’ una sua “nazione adottiva”, considerando quanto gli vuole bene il pubblico di casa nostra ma considerando anche che sua moglie è italiana. L’esordio è domani 31 agosto a Porto Recanati, per poi spostarsi il 2 settembre a Caserta, il 3 a Firenze grazie a Lattex Plus (in una data che siamo felici di evidenziare non solo per la presenza di Gigi Masin come act di apertura, ma anche per il talk promosso dall’Associazione Andrea Mi – bellissima iniziativa), il 4 settembre a Genova e infine il 5 a chiudere la prossima edizione di Jazz:Re:Found, nel Monferrato, per la precisione a Cella Monte. Se conoscete ed apprezzate già la sua musica, probabilmente avete già il vostro biglietto in mano (o state per farlo: occhio, tira aria di sold out); ma se avete qualche dubbio e siete indecisi sul da farsi, allora provate a leggere questa chiacchierata. Sentirete davvero “vicino” il musicista tedesco. E capirete forse ancora meglio perché crei un legame così intenso col suo pubblico: delicatezza, classe, sincerità, umanità.
E insomma, rieccoci qui, a parlare di tour, di concerti… e a parlarci mentre sei in una sala prove, rifinendo il live set da portare in giro.
Sai che erano quasi due anni che non prendevo in mano una chitarra?
Davvero?
Già. Che poi, non è che in due anni abbia staccato dalla musica e basta, ho continuato a comporre, a creare. Ma non con la chitarra. Che per me è strano. Ad ogni modo, per fortuna una volta ripresa in mano sono tornato subito a sentirla un “mio” strumento. Un po’ come andare in bicicletta. Meno male.
Ma senti: questo tour che sta per iniziare lo stai vivendo come il primo passo di un ritorno alla vita “normale”, o hai l’impressione che sarà solo una parentesi, o potrebbe essere tale, perché nel frattempo chissà che piega prende la situazione?
Sai, è tutto molto strano. Molto, molto strano. A partire dall’idea di tornare a salire su un tour bus, e attraversarci delle frontiere, per poi suonare di fronte a delle persone, molte persone: mi sembra tutto così inverosimile, così “lontano”, così astratto. Sono cose che ho fatto per tutta la vita, almeno per vent’anni di filia, e poi improvvisamente bastano due anni di stop e boh, ti sembra tutto così remoto, così distante, così quasi inverosimile. Fa pensare questa cosa. Prima non avrei mai pensato che sarei potuto staccarmi così tanto da certe dinamiche e farlo in modo così, come dire?, semplice, ovvio. E’ anche vero che nel frattempo sono successe tante cose nella mia vita, a partire dal fatto che sono diventato padre: durante il lockdown e in generale lo stop da Covid ho potuto passare tutto il tempo con mia figlia, tutto, senza perdermi un attimo. Anche ora ne passo parecchio, ora che ho ripreso un minimo di routine da musicista, ma prima era proprio una cosa totalizzante, è stato veramente d’impatto ritrovarsi all’improvviso a passare tutto il tempo a casa. La sensazione mentre lo facevo è stata ambivalente: da un lato ti sembrava quasi di essere stato licenziato dal tuo lavoro, e questa non è mai una bella sensazione; dall’altro però stavo guadagnando una consapevolezza importantissima: non ho (più) bisogno di un palco per sentirmi una persona soddisfatta di sé. Per – diciamolo pure – soddisfare quella dose di narcisismo che ho in me. Da giovane e per lungo tempo io sono stato una persona molto insicura: salire su un palco è stato il modo migliore per combattere questa insicurezza e lavorare sulla mia autostima. Ad un certo punto però questa dinamica ha rischiato di diventare una vera e propria dipendenza, e questo è pericoloso. Ecco, essere fermo per due anni, causa pandemia, mi ha aiutato a riflettere molto su tutto questo. E c’era qualcosa che mi rassicurava in modo decisivo: ero a casa, sì, bloccato, senza potermi esibire, eppure… non mi sentivo male. Non mi sentivo una persona fragile e mutilata. Tutt’altro. Anzi: ho fatto molte cose belle, e altrettante pure me ne sono successe. Super. Ma questo, attenzione, non significa che ora possa o voglia fare a meno della musica o del suonare dal vivo. No. Significa invece solo che non ne sono più così tanto dipendente come prima: significa che non li “uso” per questioni di ego, ed autostima.
Che poi già da un po’ di tempo avevi la tendenza non dico a “scomparire”, ma di sicuro a non sgomitare pur di essere presente e al centro dell’attenzione, quello sì: vedi ad esempio il fatto che da anni il tuo uso dei social era limitatissimo, quasi nullo, giusto qualche annuncio pratico ogni tanto. So che era stata una tua scelta precisa. E allora ti chiedo: ora che con la pandemia l’attenzione attorno a te si è proprio quasi azzerata, rispetto a tempi “normali”, che effetto ti ha fatto?
Eh, questa è una domanda interessante. In effetti la scelta di allontanarmi da un uso sistematico dei social network è nata ed è stata messa in pratica prima della pandemia. Non lo nascondo, però: nel momento in cui non suoni più in giro, inizi davvero a sentirti sconnesso col tuo pubblico. E non è una bella sensazione. Ma cosa dovevo fare? Da un lato, a tornare ad usare i social potevo tornare a connettermi con esso; sarebbe stato il modo migliore (anzi: l’unico). Dall’altro però dopo che avevo annunciato che smettevo di usarli, ora che facevo, con la scusa della pandemia dicevo “No, dai, abbiamo scherzato, rieccomi qui amici!”? Ehi: quanto sarebbe stato patetico? Che poi sì, ogni tanto avevo le dita sopra la tastiera che mi prudevano, “Dai dai, rimettiamo in pista il vecchio Apparat, quello molto nerd che continua a scrivere e commentare sul web, che vuole fare sapere la sua opinione su tutto e farsi notare, sì sì sì”, ma sai cosa? Sono cambiato. Non sono più quella persona lì. Ora devo trovarmi un altro hobby, qualcosa che non sia internet o i social. Che so, il giardinaggio? Che ne pensi? Può funzionare? (risate, NdI)
Fino a nemmeno tanto tempo fa pensavo davvero che un giorno della musica mi sarei proprio stufato, mandandola affanculo e ritirandomi da tutto… anzi, ad un certo punto la cosa è sembrata proprio dietro l’angolo
Non so quanto tu ne abbia parlato pubblicamente, ma so che ad un certo punto stavi seriamente pensando di mollare Berlino e trasferirti a Los Angeles.
Beh sì, un po’ di tempo fa sì. Ora non più. Sai, è che tutta la mia vita è stata contrassegnata dal sogno di voler “scappare da qualcosa”: sono sempre stato attraversato dalla sensazione che dovevo essere da un’altra parte, rispetto a quella in cui mi trovavo nella realtà. Ora però questo istinto si è molto, molto affievolito, mi sento molto più pacificato con lo stare a Berlino: anche perché ora non sono più da solo, ho una moglie, una famiglia. Una cosa però è rimasta, la curiosità di vedere cosa c’è e cosa succede nel mondo; e mi sento incredibilmente fortunato a poterlo fare, grazie al mio lavoro. La cosa che più mi è mancata nel momento in cui si è fermato tutto è stato infatti proprio il poter accumulare scambi, esperienze e conoscenze raffrontandomi con persone e culture diverse. E’ una grandissima ricchezza, questa. Però sì: ora sento Berlino come “casa“, come la mia base. Detto questo non escluso assolutamente di fare magari un’esperienza di qualche mese o di un anno intero da qualche parte nel mondo; ma, a differenza del passato, con l’idea di tornare poi comunque a “casa”, e la “casa” ora è davvero Berlino.
Beh, quando ti farei questo “qualche mese” o “anno” in giro, la chitarra te la porti dietro?
(ride, NdI) Dici se torno a considerarlo come strumento fondamentale per creare? O intendi proprio la musica in generale?
Considerando che ‘sta chitarra l’hai abbandonata per un paio di anni, parliamo intanto di lei…
Ma io non ce l’ho con la chitarra! (risate, NdI) Anzi, ti dirò: vorrei poterla suonare meglio. Ma la suonerei meglio se la usassi di più – quindi entriamo nel classico circolo vizioso… (sorride, NdI) Di sicuro, da qualsiasi parte mi trasferisca temporaneamente farei il possibile per portarmi dietro tutto il necessario per creare (…sì, chitarra compresa!). Non solo: ho maturato la consapevolezza che se per vari motivi un giorno non potrò più fare il musicista per professione, uno cioè che per campare fa uscire dischi, io comunque la musica la continuerò a fare. Fosse anche solo per me stesso, per ascoltarla solo io. Sono arrivato a questa consapevolezza e guarda, c’ho messo un po’. Perché fino a nemmeno tanto tempo fa, pensavo davvero che un giorno della musica mi sarei proprio stufato, mandandola affanculo e ritirandomi da tutto… Anzi, ad un certo punto la cosa è sembrata proprio dietro l’angolo.
Sì, me lo ricordo, ne parlammo anche in privato.
Ora però non penso succederà mai una cosa del genere. Davvero. Perché mi sono proprio riappacificato con una serie di cose e, credo, proprio con me stesso – con una parte di me.
Cosa vedremo in questo tour? Uno show sulla falsariga di quelli precedenti? O qualcosa di piuttosto diverso?
Una cosa è certo: di sicuro io con la band non potrei suonare lo stesso show dell’ultimo tour pre-pandemia, sarebbe qualcosa di incredibilmente noioso: forse lo sarebbe per il pubblico, e per noi lo sarebbe sicuramente. E’ anche vero però che molto del nuovo materiale che ho composto nel frattempo sono creature sonore molto “delicate”, intime ed intimiste: qualcosa che andrebbe benissimo in contesti molto raccolti e teatrali. Ma credo che ora la gente, soprattutto con l’idea di uno show all’aperto, in contesti molto belli e sotto la luce delle stelle, voglia qualcosa di altro: dopo tutta questa paura che ci ha attanagliato, c’è comunque voglia di qualcosa che sia intenso, coinvolgente, che sappia trascinarti ed entusiasmarti. No? E allora, giocoforza abbiamo dovuto rinunciare a mettere in scaletta molti pezzi che ho composto nel frattempo. Ma ci sono comunque alcuni inediti che ho inserito che – credo – cambiano veramente la dinamica dell’intero show, lo rendono molto più scorrevole e, sì, più coinvolgente. Penso che abbiamo fatto dei passi in avanti. Non abbiamo stravolto l’impianto originario, ma lo abbiamo cambiato. Anche perché mi conosci: non l’avessimo fatto, non avrei retto a lungo. Perché sì, sono uno che si annoia in fretta.