Una cosa si può dire dal principio: il Weather Festival 2014 ha avuto un salto qualitativo clamoroso rispetto alla prima edizione, sia a livello di line up (che già l’anno scorso era piuttosto interessante) che a livello di location e allestimenti. Ci sono state diverse cose che sicuramente potevano essere fatte meglio, ma andiamo con ordine.
Giorno uno (Institut du Monde Arabe).
Giornata di apertura. Grande fermento nella bellissima cornice dell’Institut du Monde Arabe nel centro storico della capitale francese. Apertura delle danze affidate al francese Rouge Mecanique, personaggio ‘notturno’ parecchio conosciuto in città. Segue il live di Mount Kimbie, inizialmente a volumi forse un po’ bassi, probabilmente perché siamo all’aperto e in prossimità di diverse abitazioni. In ogni caso i due inglesi suonano bene un live completo (anche batteria) e la gente sembra apprezzare, ma la vera attesa, stasera, è per l’Underground Resistance che presenta il progetto live Timeline. I volumi si alzano nel momento in cui dj Konspiracy sale sul palco, seguito a ruota da De’Sean Jones al sax, Jon Dixon ai synth e solo in ultimo, nel boato della gente e delle mani al cielo, l’altra metà del cuore degli UR, Mike Banks. E’ un live emozionante che sprigiona un’energia rara, qualcosa che poche volte nella vita riesci ad immaginare più consistente. Pesante. I ragazzi ballano e i ‘veterani’ sorridono e muovono la testa in segno di assenso. È quella sensazione di avere davanti la leggenda, le basi di molte cose, il sapore e la passione, il soul, l’hip hop, il funky e soprattutto la techno Detroit. Quella techno. Per un’ora la gente surfa sulla musica della Resistenza Underground.
Viene allestita anche un aperitivo VIP, aperto inspiegabilmente per soltanto un paio d’ore, sulla terrazza dello stabile, con meraviglioso belvedere sulla skyline della città. Suonano dj locali e si servono cocktail e spuntini. La particolarità è che la consolle è alimentata ad energia solare.
Giorno due (Parc Des Expositions de Bourget).
Nel report stilato da Soundwall per la prima edizione, sul finale dell’articolo, veniva riportata questa frase: “Quello che è certo è che il connubio club+festival, già ampiamente sperimentato in altri parti d’Europa, funziona benissimo perché lascia ampi margine di scelta al clubber, tramite un’offerta strutturata che riempie ampiamente il weekend e non si limita a spazi giganti e tante sale in un solo giorno.” Ecco, diciamo che per il secondo giorno della seconda edizione, le cose sono cambiate un poco e ci ritroviamo in programma, per l’appunto, una non-stop, con quattro sale distribuite in un’area enorme. La cosa positiva, è che il tutto è stato perfettamente gestibile. Ci si sposta in periferia, dunque. Se c’è una cosa che il Weather Festival 2014 ha fatto veramente bene, è la scelta di questa location. Il Parco delle Esposizioni è un’area immensa, adiacente all’aeroporto di Charles de Gaulle. Ci sono esposti aerei di linea, shuttle e missili, giusto per quantificare. Per l’occasione sono stati allestiti quattro palchi, due outdoor e altri due indoor. Ovviamente per quanto riguarda la programmazione all’interno degli hangar, si parla di sonorità scure e techno.
Nel palco principale indoor suona il nostro Donato Dozzy, sono le tre del pomeriggio, fuori c’è il sole, ci sono trenta gradi e sui palchi esterni c’è la musica dell’estate, ma noi restiamo e ci proviamo. Dozzy pare ispirato e costruisce strutture complesse e cupissime, ma che lasciano la possibilità di chiudere gli occhi e pensare che, in fondo, c’è ancora tempo per uscire e godersi la luce. Cosa che facciamo con Motor City Drum Ensemble, il quale, come spesso accade, lascia da parte la deep delle produzioni e preferisce il suo solito set ‘disco-funkettoso’ che ti costringe a muovere il culo. Solito sguardo furbo per Danilo Plessow, forse il set più azzeccato del pomeriggio. Ancora meglio di Villalobos sul Scène Printemps, il palco principale esterno. Solito mare di gente sia sopra che sotto la consolle. Discutiamo con un altro collaboratore di Soundwall presente al festival, di quanto Ricardo riesca a tenere in loop una traccia per una quantità di tempo che per chiunque altro sarebbe bolsa sbordando nella noia, ma che per lui questa regola non valga. Vuoi per il delizioso gusto con cui sceglie ogni traccia. Vuoi perché lui si chiama Ricardo Villalobos, semplicemente. E tant’è. All’interno, sui palchi Scène Automne e Scène Hiver suonano, nel medesimo istante, rispettivamente Marcel Fengler e Terence Fixmer. Ci accorgiamo immediatamente che il settaggio dei volumi sul palco principale indoor (quello di Fengler) pecca un poco sulle frequenze. Sarà una costante per tutta la notte, oltre che un peccato, perché su quello stage si esibiranno parecchi degli artisti che più aspettiamo. In ogni caso Terence Fixmer imbastisce un live set perfetto, accattivante, duro ma inebriante. Fino a quando il palco si spegne. Esatto, la corrente salta su tutto lo stage. Niente più visuals, niente più luci, niente più suono. Si riprenderà solo dopo dieci minuti, perdendo parte del pubblico e parte del fascino guadagnato durante il set. Fixmer resta in ogni caso tra i migliori act dell’intero festival. Insieme a Rødhåd, per esempio, sul palco principale, che riesce quasi a far sentire bene un impianto che nessuno riuscirà a far suonare meglio. Parte con il solito ‘intro spaziale’ e poi comincia a picchiare e a far ballare tutti.
Torniamo all’esterno, da un Floating Points che ci sembra un tantino sottotono ed ad un Moodymann nel suo solito splendente ghetto-style e auricolari dell’ipod per selezionare e mixare le tracce. Il tramonto sulle piste di atterraggio e tra i due palchi è meraviglioso e vale gran parte della fatica di raggiungere una location fuori città.
La palma d’oro la vince Adam Beyer, però. Senza ombra di dubbio. Crea e distrugge un set a tratti disarmante dalla completezza. Noi che ci chiedevamo come avrebbe fatto a stare dietro al velocissimo di Manu Le Malin, prima di lui in line up, ci siamo dovuti ricredere. Lo svedese fondatore della Drumcode cattura completamente la scena, portando a sé un pubblico entusiasta, rubando un po’ di scena ad un Ben Klock (in contemporanea sul palco principale e in ogni caso assistito dal grande pubblico) menomato un poco dall’impianto. Stessa cosa vale per Luke Slater e il suo Planetary Assault System, sullo stesso stage del tedesco; probabilmente il suo live poteva essere fra le cose migliori se avesse suonato sul secondo palco Scène Hiver. In ultimo, un Chris Liebing mitragliatore, un trattore. Il papà di CLR Records non si fa nessuno scrupolo e spara a zero. Abbattendo.
Altra nota di demerito, che esula dalla musica, ma colpisce l’organizzazione: non si può pagare una ‘birra media annacquata’ dieci euro. Ripeto: dieci euro.
Il Weather è un festival dalle grandissime potenzialità, anche se non ha ancora la forza di un festival internazionale, difatti gli stranieri erano in netta minoranza rispetto all’oceano di francesi presenti. Già dalla prima edizione ha gettato le basi di un grande lavoro volto a portare grande pubblico e grandi introiti. Una line up vincente e di altissimo livello, che strizza l’occhio come già fu per la prima edizione, ad un’impronta molto più clubbing, nonostante il tentativo con Mount Kimbie e Moritz Von Oswald Trio & Tony Allen. Una location che ha da invidiare a poco altro. Palchi enormi, video-proiezioni e mappature bellissime. Il Weather Festival, insomma, è una di quelle realtà che potrebbe iniziare a pesare sul serio. Staremo a vedere.