E’ iniziato tutto prima con un passaparola di quartiere e fra chi c’era o conosceva chi c’era lì quella sera, sul fatto che “a Macao sono entrati dei tizi provenienti dalla palazzine attorno, hanno fatto un gran casino, hanno praticamente occupato il posto, è stata chiamata la polizia per mandarli via“; poi è arrivato un articolo de Il Giorno ad ufficializzare tutto. Un quotidiano mai proprio tenero – e non sempre attendibile – quando si è trattato di parlare di temi relativi alla sicurezza pubblica, ma questo articolo aveva ed ha l’aria di essere informato ed equilibrato. In sintesi, confermava e conferma il “si dice“: prima un maghrebino (già noto in passato per non essere facilmente gestibile) è entrato negli spazi di Macao durante una mostra iniziando a far casino, una volta respinto è tornato poi alla carica portandosi dietro cinque connazionali che hanno iniziato a devastare tutto quanto, terrorizzando i presenti. Ne è nato un fuggi fuggi generale (o c’è chi si è barricato nelle stanze interne del centro sociale), culminato con una chiamata alle forze dell’ordine per provare a ristabilire, appunto, l’ordine. Quando le forze dell’ordine sono arrivate davvero, non hanno più trovato traccia dei maghrebini. Però ecco, il casino c’era stato. Questo è il riassunto, in breve, di quanto successo.
Non poteva non colpire l’occhio questa cosa de “Macao chiama gli sbirri per farsi proteggere“, ovvio. Peccato che sia un falso problema, o un problema molto relativo. Però sì, cattura l’occhio, c’è poco da fare; ed è strano che nel comunicato uscito ieri sera in cui Macao stesso ricostruisce l’accaduto questa cosa non sia confermata ma, a dirla tutta, nemmeno smentita, lasciando l’onore e l’onere della smentita a qualche suo appartenente isolato che va a commentare sotto ai singoli post di altri utenti. Scelta strana: perché era chiaro che questa cosa de “Macao chiama gli sbirri” sarebbe stata un oggetto del contendere.
La verità però è che non ci appassiona più di tanto tanto il gioco se a Macao abbiano chiamato o meno la polizia loro in prima persona, per capire se sono dei vigliacchi e degli ipocriti o meno, oppure se invece sia stato qualcuno di esterno che era presente alla mostra e si è spaventato, facendo il fatidico numero al cellulare. Il gioco dei buoni e cattivi non ci ha mai appassionato, in questi casi, su questi piani.
E male ha fatto Macao negli anni a iscriversi sempre dalla parte dei “buoni“, trattando sprezzantemente da “cattivi” tutti quelli che non erano allineati ad esso, come abbiamo provato a spiegare in passato: ora questo atteggiamento gli sta tornando indietro sotto forma di malanimo e di ostilità. Basta dare un’occhiata ai commenti sotto il post che hanno pubblicato, ma anche in giro per varie bacheche più o meno importanti.
…che poi, in realtà: chi se ne frega dei commenti. Sono un indicatore, ma nemmeno così affidabile. E’ tuttavia vero che anche tra chi dovrebbe essere dalla parte di Macao (diciamo così: chi non è per il law&order di stampo oscurantista, benpensante e conservatore) c’è spesso molto ma molto scetticismo nei confronti dello spazio occupato milanese. E non stiamo parlando del ridicolo derby sotterraneo tra Tempio Del Futuro Perduto e Macao stesso, alimentato dagli stessi appartenenti alle due realtà, ennesimo display della ridicola capacità a sinistra di dividersi sulla rivendicazioni di “…chi è più a sinistra” (per chi non sapesse di cosa stiamo parlando: in sintesi, le due realtà occupate milanesi che più lavorano sul mondo della musica – che è il più fruttifero, quello che tiene economicamente in piedi le occupazioni – si detestano cordialmente praticamente da sempre, lanciandosi accuse e frecciatine). No. Parliamo di come a Macao siano così orgogliosi di quello che fanno e delle idee mettono in campo (e, se chiedete a noi, in parte fanno bene ad esserlo: avercene, di persone e realtà che si schierano per un certo tipo di istanze culturali e non solo) da diventare però un po’ tronfi, arroganti e semplicemente sprezzanti verso chiunque non segua la loro strada, non sia insomma ritenuto alla loro altezza o, peggio ancora, provi a criticarli.
Non sono tutti così, a Macao? Forse. C’è gente che lì in mezzo si sbatte e non “insegna” però la vita agli altri? Probabile, per non dire sicuro. Ma la percezione diffusa in città – e lo diciamo ai non milanesi – è che a Macao comunque se la tirino oltremodo, partendo sempre dal presupposto che in qualsiasi confronto l’interlocutore sia “inferiore” a loro: esattamente come hanno fatto quando hanno dato del “morto” al Comune di Milano, nell’articolo che già citavamo, e in generale quando si pongono nelle varie discussioni pubbliche ma un po’ anche nelle comunicazioni ufficiali. Di esempi ce ne sono parecchi. Opinabile? Certo. Ma lo pensano in molti. Oscurando meriti e pratiche virtuose.
Poi però arriva la realtà, a tirarti le sberle in faccia. Succede che nell’area attorno a Macao, non certo direttamente per colpa di Macao, la situazione diventi piano piano ingestibile: palazzine occupate, che raccolgono povera gente che non ha altri posti dove stare così come criminali senza scrupoli. Nell’attesa di capire come verrà rilanciata, l’intera area è stato infatti del tutto abbandonata, lì dove prima c’erano invece ancora uffici e presidi vari: terra di nessuno ora, alla mercé di chiunque. Non lo diciamo noi, lo dice Macao stesso (…e come non potrebbe: è la realtà dei fatti). Una situazione a cui Macao ha provato a dare pure una piccola soluzione concreta, un aiuto tangibile, lì dove altri magari parlano parlano e non fanno altro; soluzione che però è come tentare di arginare una cascata con un secchiello, al di là dei buoni propositi.
Avere in gestione un posto è un casino. Avere in gestione un posto decidendo di mettersi al di fuori della legalità è un casino ancora maggiore: vuoi farlo? Sei in grado di farlo? Hai idea di quali sono i problemi a cui vai incontro? Sì? Delle dinamiche che si scatenano? Davvero davvero?
L’idea che si possa risolvere tutto con l’autogestione e non con la repressione è una bella idea, ma ha dei costi altissimi. Perché arriva sempre il momento in cui la realtà ti chiede il conto, e l’eccesso di libertà inizia a presentare il pegno da pagare: spesso non sei preparato a pagarlo. L’idea che le istituzioni e il sistema capitalista siano il nemico a prescindere ci può anche stare, ma arriverà sempre qualcuno che ti chiederà conto – ed anche giustamente – di come fai a sostenerti, e non puoi offenderti se arrivano da più parti a chiedertelo (…e se devi confessare qualche compromesso). La libertà sull’uso di stupefacenti – e si possono tranquillamente portare avanti idee antiproibizioniste – comunque non può non vedere come ci siano degli effetti collaterali sul breve-medio termine che vanno messi in conto: appetiti esterni della criminalità, scarsa lucidità interna, varie ed eventuali.
Tutto questo non significa che si debba reprimere alla prima legalità, che il capitalismo speculatorio turbofinanziario sia l’unica alternativa, che sulle droghe l’unica soluzione sia arrestare tutto e tutti con tolleranza zero: no, per niente. Significa solo che la realtà è complessa, e questa complessità non si risolve a colpi di “ACAB“, di slogan e di soluzioni semplici. Bisogna avere l’umiltà di ammetterlo e di affrontarlo come situazione.
La strada lanciata da Macao nel post che hanno pubblicato è assolutamente quella giusta: “Siamo in difficoltà, parliamone, confrontiamoci, aiutiamoci“. Avrebbe da ricevere solo applausi, questo post, perché è la via migliore ed il modo migliore di porsi, non fosse che la percezione di molti è che quando invece erano altri a porre il problema della legalità, del controllo, della gestione sempre più difficile dell’ordine pubblico in un contesto di illegalità diffusa, allora venivano dagli stessi occupanti di Macao fatti passare per “fascisti” o “schiavi del PD” (che per certe menti semplici antagoniste è un po’ la stessa cosa), più altre accuse simili.
Non è importante se sia stato qualcuno di Macao o meno a chiamare la polizia. Non è così importante. Anche perché come ha commentato una persona, “…fosse stata anche chiamata da qualcun altro e non da gente del centro sociale stesso, col cazzo che ci poteva mettere piede dentro, mai gli sbirri in uno spazio occupato“: sì, c’è sempre qualcuno che è più duro e puro di te. Ma a fare la gara a chi ce l’ha più duro non si va mai da nessuna parte sul lungo periodo, la storia dovrebbe averlo dimostrato (…e anche un sacco di teorie intersezionali sulle nuove questioni riguardo alle identità di genere).
C’è un problema da risolvere, a Milano, in quella zona. E Macao può essere un formidabile attore per risolverlo al meglio. Se ne ha voglia; se ne ha l’umiltà; se accetta di confrontarsi anche con chi non la pensa esattamente come lui. Perché da solo – e sta iniziando a vederlo, sta iniziando a rendersene conto – non ce la fa.
E’ un posto controverso, ma che ha reso comunque Milano più ricca: quindi è, o potrebbe essere, un patrimonio di tutti. Difendiamolo. Ma con consapevolezza e con idee plurali, non con slogan o fervore cripto-religioso: sennò poi si riduce tutto, nel dibattito pubblico, alla questione su chi e perché ha chiamato gli sbirri…
…ed è triste. Limitato. Limitante. Mentre i problemi continuano ad esserci, e non si risolvono da soli.