Ho cominciato a sentire parlare con insistenza di un nuovo disco del Colle Der Fomento da quando “Anima e ghiaccio” era ormai uscito da circa tre anni. Nel 2010. In città, a Roma, girava la voce che questa volta i Colle avrebbero fatto le cose in fretta e un nuovo album sarebbe arrivato in tempi brevi, una specie di reazione agli otto anni che avevano separato “Scienza doppia H” da, appunto, “Anima e Ghiaccio”. Non è successo, ma circa tre anni dopo – nel 2013 – l’arrivo di un nuovo singolo (“Sergio Leone”) aveva scosso ancora una volta gli animi. Questa volta ci siamo, questa volta esce.
E invece niente.
Non è uscito.
Gli aggiornamenti quotidiani sul quarto album dei CDF (cit.) sono poi continuati inesorabili nel corso degli ultimi cinque anni.
Ricordo che ero allo Strike alla presentazione di “Coup De Grace”, l’ultimo album di Kaos (anno domini 2015), quando mi venne detto che il disco nuovo si sarebbe chiamato “Adversus” e che, sì, insomma, c’erano delle discussioni in merito alla copertina ma ormai mancava davvero poco.
Il 9 dicembre del 2016, invece, furono proprio Danno e Masito e DJ Baro, al Jazz: Re: Found di Torino, che dopo avere fatto saltare un’intervista mi dissero direttamente: “Aspettiamo l’uscita, tanto ormai ci siamo. È davvero questione di pochi mesi”. Già, mesi. Ventitré, per la precisione.
Altri due anni, in pratica.
Tutta questa cronistoria serve per inquadrare temporalmente “Adversus” e provare a fare una domanda: “Cosa hanno fatto i Colle Der Fomento” in tutto questo tempo?
Sono andati a letto presto, verrebbe da rispondere citando in un colpo solo “C’era una volta in America” e quindi “Noodles”, il brano del nuovo album che più di ogni altro prova a dare una risposta. In realtà non sono stati di certo con le mani in mano: da soli o in versione Good Old Boys non si sono mai fermati. Hanno continuato a macinare i palchi di tutta Italia con sempre buoni riscontri, finendo per diventare una vera e propria anomalia: perché non c’è nessuno, non solo nell’hip hop italiano, ad avere avuto una carriera paragonabile a quella del Colle, nessuno che con soli 4 dischi per ventidue anni di storia è riuscito a cavalcare epoche e generazioni senza mai risultare anacronistico, vecchio, un sottoprodotto che tira a campare grazie alla nostalgia. Chiunque abbia visto il trio esibirsi dal vivo nel corso di questi undici anni di silenzio discografico lo sa: nonostante un repertorio immutato, quando sale sul palco il Colle Der Fomento non è mai uguale alla volta precedente. Un approccio, quello alla musica live, che appare marginale per tutto l’universo che gira intorno al rap italiano contemporaneo, ma che per il Colle è sempre stato vitale.
D’altronde è sul ring che i grandi pugili sono abituati a dare il meglio.
E loro, nel corso di tutti questi anni, hanno dimostrato di fare gara a sé, di essere soli nella corsa verso la meta e giocare in un campionato senza compagni di squadra o avversari.
Sono diventati un classico della musica italiana senza fare niente per esserlo.
Fedeli alla linea e sempre in trincea anche quando la guerra era ormai finita.
Ma siamo sicuri che la guerra davvero sia finita?
Perché “Adversus” è esattamente questo: un bollettino di fine conflitto.
Il manifesto denso, cupo e in parte anche arreso di chi non ha mai smesso di combattere, ma che sa di doversi arrendere. È il kamikaze che grida “Tora! Tora! Tora!”e prova a far saltare tutto in aria.
Perché, OK, noi abbiamo perso, ma non è che i vincenti se la passano tanto meglio se è il sistema intero a uscire sconfitto, corrotto, piegato.
Sono le stesse ragioni per cui siamo scesi in battaglia a non valere più niente, umiliate e tradite da nuove schiere di combattenti che hanno approfittato della stessa bandiera per compiere scempi e malefatte. Perché se battersi per un principio è sacrosanto, cosa succede se è quello stesso principio a non valere più e smentire se stesso?
In parole povere: i Colle Der Fomento con questo disco mettono in discussione il loro ruolo all’interno dell’hip hop italiano e se ne chiamano fuori. Ma non solo: il loro non è un discorso da iniziati, non è la scena che parla alla scena e neanche il vecchio che si oppone al nuovo per proteggere uno status quo. Il senso di sconfitta è presente e travolge tutto: la sfera pubblica, quella politica, ma soprattutto quella personale, privata e quotidiana.
Per questo sono esemplari le due tracce che aprono il disco e che in qualche modo sembrano essere legate l’una con l’altra: “Storia di una lunga guerra” è la presa di coscienza, la risposta alla domanda delle domande: “Chi siamo?”, mentre “Eppure sono qui” rilancia e anche quando sembra inneggiare alla resistenza in realtà suona come un’ammissione di sconfitta.
Ho perso, ma non mollo. E ancora ci credo.
Il continuare a remare contro in un momento storico dove il business ha completamente rubato l’anima all’arte, sembra essere il motore dietro “Nulla Virtus”, “Lettere d’argento” e la stessa “Noodles”.
Tre brani in cui Danno e Masito rivendicano il loro sentirsi pesci fuor d’acqua all’interno di un lago che loro stessi hanno contribuito a costruire e in cui però fanno fatica a specchiarsi.
Sensazione che aumenta a dismisura in “Penso diverso” con da una parte l’Italia che accoglie di nuovo i conservatorismi a braccia aperta e dall’altra chi proprio non riesce ad adattarsi a questo nuovo ordine. A spezzare il disco in due arriva l’unica traccia già nota insieme a “Musica e fumo” (già presente nel disco dei Loop Therapy e qui riproposta in una nuova versione), l’ormai storica “Sergio Leone” che, arricchita della strofa che Kaos esegue dal vivo con i Good Old Boys, ha il compito di creare discontinuità all’interno di una scaletta che brilla per densità e compattezza e dove, invece, “Cuore più cervello” arriva in stile classico e originale (cit.) a ricordarci perché da ragazzini uscimmo tutti così fuori di testa quando ascoltammo “Odio Pieno” per la primissima volta.
Ma “Adversus” non è e non vuole essere un disco di banger e all’immediatezza preferisce senz’altro la riflessione. Non a caso le tinte, già cupe nella prima parte dell’album, diventano scurissime nella seconda metà dove emerge chiara l’ombra della morte.
Intesa come paura della, ma non solo. Quello che resterà di noi dopo che non ci saremo più è il tema intorno al quale ruotano sia “Nostargia” che “Miglia e promesse” (ancora featuring Kaos) ed è impossibile non vederci dietro le perdite e le mancanze, gli amici che non ce l’hanno fatta e Primo Brown a cui è direttamente dedicata “Polvere”, con la tromba e il flicorno di Roy Paci. Peraltro l’uscita in quasi contemporanea del nuovo disco del Colle insieme all’ultimo Cor Veleno, per quanto probabilmente casuale, ha il compito di ricordarci una cosa che forse negli ultimi anni è stata un po’ messa da parte: il rap è prima di tutto musica, non solo stile, o swag, attitudine e starpower. Musica.
E “Adversus”, proprio come “Lo spirito che suona”, è davvero “musicale”, originale nelle produzioni e molto suonato. Merito anche di DJ Craim che, a esclusione di “Sergio Leone” (prodotta da David Nerattini) e “Nostargia” (prodotta da Bassi Maestro), si è occupato di tutte le tracce dell’album dando all’intero lavoro un filo conduttore sonoro molto personale e particolare, andando a “saccheggiare” atmosfere e sonorità dal mondo delle colonne sonore e delle library italiane come in una sorta di “riappropriazione culturale”. Un’operazione molto simile a quella di certo rap conscious americano che ha fatto del recupero delle radici (un certo afrocentrismo, la riscoperta del jazz e quella del blues e del funk) una bandiera da rivendicare nel presente. Cosa che accade, per esempio, nel celebratissimo “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar ma che in realtà era uno dei tratti tipici di certo hip hop americano figlio dei ’90 e di cui Danno, Masito e Baro sono diretti eredi.
E infatti è impossibile ascoltare “Adversus” senza pensare all’ultimo – bellissimo – “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service” degli A Tribe Called Quest con cui condivide non solo l’attitudine ma pure un certo senso di “chiusura del cerchio”.
Provate voi ad arrivare alla fine di “Mempo” senza pensare che “Adversus” sia l’opera definitiva del Colle Der Fomento. L’ultimo tassello del puzzle.
Il pezzo che mancava. I titoli di coda che una storia così bella e, lo ripetiamo, unica meritava.
Grazie ragazzi, è stato bello avervi al nostro fianco per tutto questo tempo.
Alla prossima vita.
Foto di Daniele Peruzzi