“Un tempo, quando affrontavo la routine promozionale, ero uno che andava al macello. Oggi invece me la godo proprio…”: è un Inoki “radicalmente diverso dall’originale” (citazione da “Dainamaita” dei Casino Royale, qualcuno la coglierà…) quello che incontriamo via Zoom qualche giorno fa. E’ in pieno giro promozionale per “Medioego”, l’album uscito per Asian Fake che lo ha riportato nell’orbita non della autoproduzione ruspante e (troppo) sotterranea ma nell’essere di nuovo al centro dell’attenzione. Era già successo oltre dieci anni, fa quando era stato messo sotto contratto dalla Warner – era la prima ondata di interessa al rap post Fibra e Mondo Marcio, dopo un lungo periodo d’oblio, e ogni major voleva mettere un rapper sotto contratto – e all’epoca non era andata benissimo. In realtà per gli standard del tempo il disco non andò nemmeno così male, ma finì abbastanza a pesci in faccia. Ed Inoki, invece di entrare nel “salotto buono”, tornò nell’underground più impietoso, diventando una vera e propria mina vagante. Diventando anche “…quello dei dissing”, contro tutti, contro tutto. Ecco: oggi, anno 2021, è un Inoki completamente diverso. E a questo ci si è arrivati dopo un percorso ben preciso. Che lui ha voluto raccontare con grandissima lucidità, con perfetta consapevolezza, con chirurgica precisione. E’ una chiacchierata veramente bella, quella che leggete qui sotto; come bello è “Medioego”. E fateci poi dire una cosa: Inoki, con tutti i pregi e difetti, è comunque uno di quei pochissimi artisti hip hop puri fino al midollo. Dovessimo raccontare la vera essenza di come questa cultura respiri, del da dove nasca e di come si sia sviluppata in Italia, lui è sempre un passaggio inevitabile. E oggi, con questa rinnovata pace con se stesso ed una rinnovata consapevolezza, diventa pure un esempio di come potrebbe (e dovrebbe?) svilupparsi in futuro.
Trovo che “Medioego” sia davvero un gran bel disco. Un disco che da un lato suona perfettamente contemporaneo ma dall’altro ha assolutamente il sapore tuo classico, come rap.
Ma sì, io ho anche provato a sperimentare un approccio più melodico al rap, come funziona spesso adesso, c’ho provato; ma poi ci guardiamo tutti in faccia e… mi viene detto irrimediabilmente “Ma no, dai, rappa come sai”. Alla fine la gente mi conosce e vuole bene per quello, ed è giusto che io lo porti avanti. Però sì, un cambiamento c’è, oggi. Un cambiamento inevitabile, che nasce da un fatto molto semplice: sono diventato un uomo, finalmente non ho più voglia di fare il coglione. Guarda, lo dicevo qualche giorno fa parlando a Radio Raheem: mi commuovo un po’ quando vedo la FSK, perché mi ricordano esattamente i momenti in cui anche io ero come loro. E’ che ad un certo punto bisogna smetterla, darci un taglio. Smettere di essere ragazzini, e diventare uomini.
Ma è anche importante essere “ragazzini”. Boh, io quando vedo un eccesso di moralismo attorno al rap, “Eh ma non hai contenuti”, “Eh ma dici cose diseducative”, ho sempre una strana sensazione, pur trovando sensate molte osservazioni di questo tipo…
Infatti bisogna trovare una via di mezzo. E in questo società ci devi vivere, con tutto quello che ciò comporta. Ricordi che ne avevamo già parlato io e te anni fa, in altre interviste? Mi avevi fatto una domanda tipo “Ma tu, come ti rapporti con le istituzioni?” e la risposta era stata: “Male!”. Ora finalmente le cose sono cambiate. Ho aperto la partita IVA, mi sono messo in regola, sono riuscito a fare quello step di “normalizzazione” che, credimi, è uno dei più difficili in assoluto. Mettersi in regola col mondo, con la società. Una volta che ci riesci, tutto il resto è in discesa… (sorride, NdI)
La cosa fondamentale è trovare un buon commercialista, insomma! (risate, NdI)
La cosa fondamentale è trovare un qualcuno di cui ti fidi. Di commercialisti ne trovi quanti ne vuoi, di persone di cui ti fidi molto meno. Qualcuno cioè che sappia aiutarti in quelle cose di cui un artista, quasi sempre, ci capisce gran poco.
Ecco, appunto: quanto è difficile trovare persone di cui fidarsi, e quanto è invece facile sbagliarsi?
Bravo: il mio errore a lungo è stato questo. Attorniarmi di persone che in realtà non erano all’altezza delle cose che dovevo fare, che dovevo portare avanti. Ma ci sta. E’ difficile trovare la gente giusta. Quando però poi i pianeti si allineano… zac! Ma poi se uno ci pensa bene, capisci che dipende sempre prima di tutto da te. Se tu ti metti nelle condizioni di lavorare bene, allora lavori bene davvero; se invece ti metti nelle condizioni di perderti dietro a qualsiasi delirio ti capiti addosso, beh, dietro a questi deliri ti perdi. E’ anche divertente perdersi nei deliri, sia chiaro, ma…
…non puoi farlo all’infinito. Diventa alla lunga un gioco al massacro.
Spesso si fa una brutta fine.
Cosa che tu hai rischiato di fare. Sbaglio? Possiamo dirlo?
Assolutamente possiamo. Ci sono andato vicino parecchie volte, e proprio fisicamente, o anche solo psicofisicamente: e non parlo di carriera, che quella in realtà non è la cosa più importante…
Proprio a livello personale.
Esatto. Ma ad un certo punto Dio ha voluto che mi rimettessi in sesto – e ci sono riuscito. Non è stato facile, eh. E’ stato un percorso abbastanza duro. Però sì, ora ci siamo, ora credo di esserci riuscito.
Qual è stato il momento simbolico che ti ha fatto dire, dentro te stesso, “No, cazzo, basta, qui le cose devono cambiare”?
Non c’è stato un momento preciso, è stato tutto step by step. Negli anni tu mi hai visto in varie condizioni, no? Dalle migliori alle peggiori. Ci sono stati dei momenti in cui, credimi, ero veramente finito. Ma parlo di cose tipo vivere in strada, capisci? Poi piano piano la risalita: dal cominciare al dire “No, basta, devo trovarmi una casa”, allo smettere di drogarmi, al rimettersi in sesto con la musica. Step by step, davvero. In questo ultimo album c’è un brano che è davvero cruciale, “Duomo”: non giriamoci attorno, parla del problema della cocaina. Parliamoci chiaro, se hai quel problema e riesci a venirne fuori hai già fatto tredici al totocalcio. Ed è un problema che hanno veramente in tanti, oggi: è molto facile caderci, è molto difficile venirne fuori. Secondo me è anche peggio dell’eroina, sai? E’ più subdola, almeno. Ti suca tutti i soldi, non ti dà un cazzo di creatività e soprattutto ti fa sentire un supermegaeroe quando, in realtà, sei un coglione. Poi chiaro, vedere che c’è ancora gente giovane che finisce dentro all’eroina è bruttissimo pure quello… Poi oh, sia chiaro, ognuno deve fare il suo percorso. Ci mancherebbe. Ma fammi dire che da un lato l’eroina dovrebbe essere fuori moda già da tanto tempo, e invece ancora qui; mentre la cocaina, beh, la cocaina sarebbe ora che iniziasse ad andare fuori di moda…
(Un gran bel viaggio nel “Medioego”; continua sotto)
Parlando sempre di “Duomo”, è comunque una canzone che parla di Milano. Perché la metropoli è così al centro dell’immaginario collettivo, in Italia? E, secondo te, continuerà ad esserlo ancora a lungo?
Sai qual è il problema di Milano? Non ne parla mai nessuno: l’aria. Io da Milano sono scappato perché, credimi, non riuscivo praticamente più a respirare… Questo è un cazzo di problema: eppure la prendono tutti troppo alla leggera. Per il resto, è una città che ti dà tantissimi stimoli. E’ una città che ha il “groove”, ecco. E’ l’unica città oggi in Italia che ti elettrizza, che quando esci di casa ti fa sempre venire voglia di conquistare il mondo: altrove non succede. Ti dà quella motivazione, ti dà quella potenza di fuoco che è fondamentale. E per lavorare come artista, poi, è l’ideale: ci becchi tutto, ci becchi tutti. Penso che poi io ci ero manco finito non per questi motivi “artistici”, ci ero capitato diciamo un po’ per caso, seguendo le mie peripezie dell’epoca: ma vedendo che era così, che aveva questo “groove”, alla fine ci sono rimasto un bel po’. Ho avuto mille avventure e mille esperienze, sia positive che negative. In giro sento dire che la gente di Milano sia fredda, poco ospitale: beh, non è vero: mi sono sentito più accettato qui che da molte altre parti, credimi. A Milano si respira libertà. E’ l’unica città dove non ti senti solo, anche. Non è una cosa da poco.
Ma non ci torneresti a vivere.
Sono dubbioso. Ora è meglio che stia dove sto – almeno finché non è passata questa cosa della pandemia. A me è andata di culo, guarda: credo di aver fatto la quarantena migliore di tutti i rapper italiani, nonostante non è che flexassi chissà cosa… (ride, NdI) L’ho fatta praticamente da vip, stavo divinamente: spazi, aria aperta, possibilità di muovermi! Una pacchia! Vediamo poi quando questa pandemia passerà, come sarà messa Milano. Come riuscirà a rialzarsi. Però ti posso dire che ogni volta che vengo in città, sento sempre lo stesso “groove”. Anche con molta meno gente in giro. Ma se Milano non farà scelte importanti contro l’inquinamento – e non solo Milano, direi tutta l’area padana – io non credo che ci tornerò a vivere. Che vita è alzarsi al mattino e sperare stia piovendo, di modo che hai la speranza ragionevole di respirare un’aria un po’ più decente? No, no, non voglio una cosa del genere. Io a Milano ora come ora ci verrò solo per lavorare. Qua davvero non si capisce che la salute viene prima di tutto, il resto in fondo sono tutte cazzate: e forse il CoVid sta aiutando a comprendere quanto questo sia vero.
Ci sono stati dei momenti in cui, credimi, ero veramente finito: ma parlo di cose tipo vivere in strada, capisci? Poi piano piano la risalita, dal cominciare al dire “No, basta, devo trovarmi una casa” allo smettere di drogarmi, fino al rimettersi in sesto con la musica
E poi c’è l’inquinamento emotivo, oltre a quello ambientale. Lì come siamo messi? Come stai vivendo questa fase di rinnovata attenzione nei tuoi confronti? Come ti gestisci la voglia di arrivare, di avere successo, di spaccare?
Mi gestisco che non mi sento nulla di tutto questo.
No?
Io vivo in campagna: parlo con le pecore! (risate, NdI) …Scherzi a parte, quando vengo a Milano chiaro che sento la voglia di fare bene, ma per quanto riguarda il “successo” non me ne frega niente, te lo giuro.
Però te ne fregava.
Prima ero malato, su questo. Malato. E infatti, guarda caso, alla fine mi piovevano addosso tutte le disgrazie possibili. Ora invece, che non me ne frega un cazzo, improvvisamente le cose arrivano quasi da sole, in maniera molto naturale. Quando ho visto il secondo posto in FIMI, ho fatto un sorriso e stop; sono tutti gli altri che si sono esaltati. Io, no. Io, in questo momento, voglio solo andare avanti a testa bassa lavorando duramente, e stop. Non voglio più cadere nelle trappole in cui sono caduto quando ero più giovane. Successo o non successo, quello che voglio fare ora è buona musica. Perché è quello che so di saper fare, è la cosa che mi riesce meglio. Voglio trasmettere i messaggi migliori che posso trasmettere, e farlo col flow migliore possibile. E sui migliori beat. Ecco, mi interessa solo questo ora. Punto. Giuro! Sai, sono come quei calciatori che pensano solo ad allenarsi ed a giocare: basta cazzate, basta andare in discoteca… Di tutto il resto, di tutto il “contorno”, non me ne frega più un cazzo. Ho la mia famiglia, che nella mia vita personale mi dà tutte le soddisfazioni di cui ho bisogno, e altro non mi serve. Per quanto riguarda la musica, oggi cerco di collaborare esclusivamente con persone che credo abbiano il mio stesso feeling, che mi rispettano e che io rispetto: tutto qui. In questo modo credo si possano fare delle belle cose assieme. Credimi, in questo momento la mia testa è solo su questo.
Quanto tempo c’hai messo per costruire “Medioego”? Sono una ventina di tracce, è tanto materiale…
Ma sai, ora ho raggiunto un livello per cui, se mi dai il beat giusto, in tre ore la traccia è pronta. Questo se mi ci metto, se mi ci concentro. Per riuscirci devo avere la testa sgombra. E ora ce l’ho. Ora, davvero, ho la carica di un sedicenne: e infatti ho scritto un mare di materiale. “Medioego” l’ho creato in meno di due anni e, tra l’altro, ho scartato anche un sacco di materiale. Sai cosa: trovando Asian Fake, ho trovato una realtà che da un lato parla la mia stessa lingua dall’altro è incredibilmente professionale.
Come vi siete incontrati, tu ed Asian Fake?
Te lo dico in una parola sola.
Ovvero?
Karkadan. E’ stato lui.
Sì, eh?
E’ stato lui ad unire il mio mondo e quello della musica fatta in maniera professionale. Devo dirgli un “grazie!” gigantesco: per questo, e per il fatto che è lui a tenermi sul pezzo sulle musiche più nuove, perché è veramente attentissimo a quello che funziona oggi ed a quello che potrebbe funzionare dopodomani. Mi ha dato un sacco di input di cui, credimi, avevo proprio bisogno, per potermi rinfrescare un po’. Gli scrissi ancora un po’ di tempo fa, quando più o meno stavo a Milano, per dirgli “Oh, io sono qua, io ci sono, se c’è un posticino anche per me, senza impegno…”. Lui mi rispose: “Inoki, ci penso”. Poi ha avuto sfighe sue, che comunque è riuscito a risolvere brillantemente, ma la cosa si era arenata un po’ lì. Ad un certo punto però io per i fatti miei avevo fatto uscire “Antifake” al che lui è venuto a dirmi “Oh, questa roba sì. Questa sì. Se inizi a rappare su un sound di questo tipo, mi sa che ci sono cose che potremmo fare assieme”. Da lì, è partita una reazione a catena di input artistici della madonna, io che mi metto lì e inizio a studiarmi per bene tutte le metriche nuove, tutti i flow: le studio, le affronto, le vinco. Questo è stato il modus operandi. E tutto il resto…
…tutto il resto?
Tutto il resto è noia. Ero focalizzato solo su quello, cioè. Mi sono messo lì. Con la voglia di un sedicenne che vuole imparare tutto per spaccare tutto. Ho pensato a quello, e solo a quello. Tutto ciò che è arrivato dopo, bro, non era più affar mio: c’era l’etichetta, c’era l’ufficio stampa. Era roba loro. Una sensazione bellissima. Non dover più pensare a menate che mi portavano lontano dalla musica e mi facevano spendere energia lì dove era meglio non spenderne era necessario, se volevo realmente fare la differenza.
(Eccolo, “Antifake”; continua sotto)
Che poi, a proposito di “differenza”: trovo piuttosto interessante il fatto che quando avevi iniziato tu eri quello del flow molto “basic”, mentre oggi a sentirti l’impressione è quella di un rapper ultratecnico. Eppure, corregimi se sbaglio, il tuo flow non è cambiato così tanto.
Sono gli altri che si sono semplificati troppo! Ormai se parli in un italiano un minimo decente, quando rappi, la reazione stupida è tipo “Ma chi è ‘sto qua, ma è gay?”, cose così… (risate, NdI) Siamo giunti al livello che la gente parla nemmeno a mugugni, talora praticamente quasi a gesti. Uno come me, che ha sempre intenzionalmente voluto un flow semplice, perché per me è sempre stato molto importante farmi capire, oggi passa per complicato. Va bene così, vuol dire che sono ascoltato oggi da chi ha voglia di sentire qualcosa di un minimo articolato.
Beh, per molti però tu sei prima di tutto “Quello che pensa solo a fare i dissing”…
Eh. Purtroppo sì. Ed effettivamente lo sono stato. E’ stata una fase della mia vita…
In realtà in questo disco già all’inizio compare tanto per dire Salmo, che in teoria era una tua storica faida… già questo dovrebbe chiarire molto la prospettiva e l’evoluzione. Ti chiedo però: perché eri diventato così maniacale nel lanciarti di continuo in dissing?
Sai cosa, era il mio modo di litigare con la tecnologia.
In che senso?
Se non ci fosse stata la tecnologia, internet, i miei dissing li avrei fatti a casa mia, con gli amici, e sarebbe finita lì, non sarebbe successo nulla di eclatante. Però visto che la tecnologia c’era, l’ho usata. Probabilmente nel modo sbagliato. A volte ho fatto bene, a volte ho fatto ridere, a volte sono stato simpatico, ma altre volte ho semplicemente fatto incazzare. E’ che non riuscivo ad esprimermi in altro modo. Forse boh, è che stavo vivendo un certo tipo di fase della mia vita e non poteva insomma essere altrimenti; o forse perché, ancora più semplicemente, non avevo nessuno che mi potesse dare dei beat. Magari con dei beat sotto la cosa sarebbe stata capita meglio, avrebbe avuto più senso…? Però sì, ad un certo punto questa cosa mia dei dissing è andata completamente fuori controllo. Ho esagerato. Credo davvero dipendesse anche dalle condizioni in cui mi trovavo. Ma oggi…
Oggi?
Oggi non me ne frega più niente. Sai perché? Perché non ci trovo più nessun sapore, nel dissing. Prima almeno a farne mi divertivo, oggi semplicemente no. Il punto è che io i dissing li ho sempre fatti in modo spontaneo, sincero, “puro” se vuoi, mentre oggi è diventato uno strumento strategico di marketing. E ora che è tale, beh, io non mi ci ritrovo. Prima invece ci sguazzavo…
Ah be’, ad un certo punto te l’eri presa anche con me, che manco rappo (risate, NdI)…
Esatto! Ma è successo praticamente con chiunque (sorride, NdI). Con qualcuno poi abbiamo argomentato e siamo arrivati ad un punto d’incontro: è successo con te come con tanti altri. Prendi Tedua: ora siamo amici, ma ci siamo conosciuti via dissing. Ma pure Joe Cassano, guarda, e non devo spiegarti cosa è stato Joe Cassano per me. Sai come ci siamo conosciuti? Bologna, Livello 57: io rappavo, lui pure. Avevo tipo sedici anni. Col microfono in mano, ci siamo iniziati ad insultare. Ma roba pesante, eh, roba che stava per finire veramente a cazzotti… Poi ad un certo punto, all’improvviso, è scattata l’amicizia per la pelle. Già la terza volta che ci ritrovavamo per sfidarci al microfono eravamo già diventati i migliori amici l’uno dell’altro. Ecco, io sono cresciuto quando le cose nella scena stavano così. Oggi che invece le sfide e i dissing sono diventati un elemento di marketing, io non mi ci ritrovo più.
Senti, ho una curiosità personale: ma Call2Play? Che fine ha fatto? Secondo me era un progetto della madonna. Era, per certi versi, la cosa giusta ma al momento sbagliato…
Vero, vero. Purtroppo è qualcosa che s’è un po’ perso. Mad Dopa ha preso un po’ il suo percorso, io il mio, non siamo stati in grado di strutturare seriamente la cosa, poi sai, tre teste da mettere insieme… perché c’era anche Musta, in Call2Play. Tre belle teste, eh, ma troppo distanti l’una dall’altra, sia fisicamente che strutturalmente. Ecco: se allora ci fosse state un’etichetta dietro, è un progetto che sarebbe cresciuto parecchio. Solo ora mi rendo conto dell’importanza di un’etichetta seria, ben organizzata, che ti aiuta in quello che fai. Puoi avere le idee più belle del mondo, ma se non hai qualcuno che ti aiuta a portarle avanti, beh, ti areni. A meno che tu non sia miliardario, forse. E noi di certo non eravamo miliardari (sorride, NdI).
(Per ora ci si è arenati qui, ma magari prima o poi… Continua sotto)
Senza contare che spesso i miliardari si stufano in fretta.
Tra l’altro. E poi, comunque, devi essere bravo. Anche se sei miliardario, devi essere bravo, deve esserci qualcosa dietro come spessore artistico.
A proposito: il rap è ancora la musica dei figli della borghesia? Perché non giriamoci attorno: la scena rap degli anni ’90, quella storia della old school, aveva per protagonisti per lo più persone di estrazione borghese (in qualche caso altoborghese). Questo è un grande non detto. Anche perché giocavano comunque un po’ tutti a fare quelli “di strada”. Oh, mi ci metto anche io, nel mio piccolo. Quelli che eravano veramente “di strada”, tipo te, erano la minoranza.
Vero. Prima c’erano i ricchi che facevano finta di essere poveri, il trend era un po’ quello. Oh, chiaramente stiamo generalizzando.
Ovvio.
Per un Lugi che arrivava direttamente dalla strada, altri in effetti arrivavano da contesti migliori. Adesso, paradossalmente, è invece il contrario: sono i poveri che fingono di essere ricchissimi. Non accade per caso, sai. Secondo me quello che è successo negli anni ’90 è stato importante: ha generato un sacco di emulazione sulla base del “Se ce l’ha fatta lui, che è uno sfigato quanto me… posso farcela pure io”, non sapendo invece che quasi tutti arrivavano da buona famiglie, o comunque non dal proletariato; oggi è il contrario. Oggi il rap è fatto soprattutto da chi arriva da origini umili, ma vuole fartela credere che sia ricco e potente molto più di quanto lo sia in realtà.
Sì, ho anche io questa impressione.
Speriamo che si arrivi finalmente ad una scena dove tutto sono a posto con quello che sono veramente…
Già.
La vera sfida è con se stessi, forse non lo si capisce abbastanza. Perché quando hai fatto realmente pace con te stesso e con quello che sei, poi tutto il resto arriva da solo, arriva molto più facilmente. Solo in quel momento. Finché sei lì che ti droghi, che vai fuori di testa, che nel cervello hai solo confusione, è normale che ti incasini e ti complichi la vita. Sì, davvero: prima i ricchi che facevano i poveri, ora sono i poveri che fanno i ricchi. L’obiettivo è arrivare ad una scena in cui ciascuno sia a posto con quello che è e si rappresenti come tale. No?
Oh, scusa un attimo: tutta questa saggezza (risate, NdI)… Seriamente, che sapore dà essere passato nella parte della persona – e del personaggio – saggio, maturo?
Beh, ci provo (sorride, NdI). Ogni tanti ho ancora momenti in cui mi scappano di mano un po’ le cose, sai, non sempre è facile. Ci sono dei giorni in cui mi sveglio e mi dico “’Fanculo vorrei andarmene ad Ibiza una settimana”…
(risate, NdI)
…no dai, Ibiza una settimana magari no, ma una sera ad ubriacarmi e tornare a non farmi problemi su niente e nessuno, beh, ogni tanto mi viene da pensarci.
E ritornerai a fare i tuoi dissing.
Ma sai cosa, il punto è che bisogna capire qual è il vero nemico: qual è il vero obiettivo da colpire cioè, quello più significativo. E lì si va a finire in argomenti seri, non in litigi da due soldi tra bambini. Finché dissi un rapper per cazzate, quello come dicevamo è diventato ormai marketing; mentre se vai a toccare argomenti seri, allora iniziano a darti del complottista. “Studia”, ti dicono: va bene, posso anche prendere tre laureee, ma cosa cambia? Perché il punto è che dobbiamo arrivare tutti insieme a migliorarci, nessuno escluso. Questo significa che dobbiamo ragionare tutti assieme, laureati e non laureati. Anche perché il cervello lo abbiamo tutti: usiamolo. Ed usiamolo per migliorare il mondo. Perché l’obiettivo, alla fine, dovrebbe essere quello. Uno inizia a fare rap per migliorare se stesso, chiaro, non è che pensi ad altro; ma ad un certo punto, oh, ti rendi proprio conto che migliore non solo te stesso ma anche gli altri diventa una sfida ancora più interessante. Qualcosa che, come essere umano, ti può dare molto di più. Sì, bello fare il rapper che fa il figo; ma dopo un po’, quando maturi, capisci che non basta. Non ti basta più.
Oggi non me ne frega più niente. Sai perché? Perché non ci trovo più nessun sapore, nel dissing. Prima almeno a farne mi divertivo, oggi semplicemente no. Il punto è che io i dissing li ho sempre fatti in modo spontaneo, sincero, “puro” se vuoi; mentre oggi è diventato uno strumento strategico di marketing. E ora che è tale, beh, io non mi ci ritrovo
Beh, ne approfitto e a questo punto ti faccio la classica domanda che si fa ai “vecchi saggi” di una scena musicale: vedi dei “piccoli Inoki”, all’orizzonte? Qualcuno più giovane di te ma con un’attitudine ed un atteggiamento in cui ti ci ritrovi?
Bella domanda! Effettivamente è una cosa che ad oggi non mi aveva mai chiesto nessuno quindi no, non ho una risposta pronta. Fra i nomi più piccoli, ovviamente chiunque graviti in Rap Pirata è un po’ un “piccolo Inoki”, il problema è che non sono conosciuti, e questo perché io non sono in grado di dargli una struttura solida in cui poter lavorare. Solo ora sto arrivando ad averne una per me stesso, prima di poterla dare agli altri ci vorrà un po’ di tempo. Fra i nomi invece più famosi, direi Tedua, che per me è una specie di “Inoki della trap”. Poi anche Emis Killa, guarda. Uno che all’inizio, come per me, si diceva, “Vabbé, ma quello è scemo e resterà scemo”, invece oggi gli sento dire cose particolarmente sagge.
Oh, io ho sempre pensato che eri molto di più dell’essere lo “scemo”. Anche quando, se mi posso permettere, lo eri e ci marciavi.
Step by step, bro. Non è facile. Non è che uno si ripiglia così, da un giorno all’altro come nulla fosse. C’è un percorso. Un percorso da fare. All’inizio sei un guerriero, anche sconclusionato, dopo…
…incontri il commercialista giusto.
(ride, NdI) Bravo! …no dai, non buttiamola così sul commercialista, sennò sembra che oggi mi interessa solo fatturare! Va bene che sono cambiato, ma… non esageriamo, dai.