Già con l’esordio “Beau Mot Plage” uscito su Playhouse nel lontano 1998 e ancora di più con l’intero “We Are Monster” del 2005 Rajko Müller era diventato l’idolo di noialtri connoissieurs di musica elettronica, ovvero quelli che vogliono far credere di saperla più lunga della massa (e, talora, la sanno). Non è mai diventato Isolée un tipo da folle sterminate, uno da star system dell’elettronica; ma il rispetto da lui goduto era ed è senza macchia.
Tanto più che invece di battere il ferro finché è caldo, come fanno in tanti, è uno che prima di far uscire del materiale aspetta di avere abbastanza cose da dire: solo così si spiegano le pochissime uscite tra l’album della consacrazione del 2005 e questo fresco fresco “Well Spent Youth”. Fra i due pure le uscite di ep sono state centellinatissime. Del resto anche fra “We Are Monster” e “Rest” erano passati cinque anni, e sì che “Rest” – anno 2000 – ancora adesso viene fatto passare da molti come il primo album micro-house in assoluto, una etichetta che all’epoca si poteva ben monetizzare (e che la Playhouse o gente alla Steve Bug hanno giustamente monetizzato).
Ecco. Con tutte queste premesse potete ben immaginare quanto siamo rimasti male al primo ascolto di questo lavoro appena licenziato (sulla label Pampa, faccende di Dj Koze); anzi, per la precisione al primo ascolto della prima metà del disco. Perché almeno fino alla prima metà dell’lp ciò che c’è è non tanto Isolée, quanto una sua copia un po’ più smunta, un po’ più prevedibile, un po’ più loffia. Col risultato che titoli di tracce tipo “Journey’s End” o “Going Nowhere” sembrano lì per lì sinistramente descrittivi: l’ispirazione di Müller finisce qui? Non va più da nessuna parte? Oh, chiaramente anche un Isolée scarsino resta più interessante di un buon 50% della house o techno che c’è in giro oggi: il suo gusto per le idee bislacche, per insert imprevedibili e per certe storture armoniche lo rende sempre diverso dal mucchio, sempre più creativo della media. E pure negli episodi peggiori dell’album questi tocchi qui non mancano, no, vedi il saporitamente sconclusionato basso inserito in “Paloma Triste”.
Ma lì dove veramente si decolla è da “Celeste” in poi, traccia numero sette. Ora: è l’ennesimo suicidio commerciale di Müller, perché solo un pazzo mette le tracce migliori in fondo all’lp e non all’inizio, visto che sappiamo tutti oggi come vengono fatti gli ascolti (e di conseguenza decisi gli acquisti). Ma, contento lui. E’ da quel momento infatti e solo da quel momento che le stesse identiche caratteristiche che connotano le tracce precedenti assumono all’improvviso più incisività, grazie a tanti piccoli particolari che si allineano nella costellazione giusta: la soffice architettura ritmica, certe deviazioni melodiche e armoniche, il dosare psichedelismi e dissonanze digitali. Questione di sfumature, davvero di minime sfumature, ma sono proprio queste sfumature che sommate insieme creano dei gioiellini (“Transmission”, “In Our Country” e sopra tutte “Hold On”) che valgono molto di più dei brani che li precedono in tracklist.
Quindi no, i dancefloor intelligenti non hanno perso uno dei loro campioni. In giro attorno a “Well Spent Youth” c’è qualche perplessità sul fatto che Isolée sia rimasto fermo ai dettami micro-house, ora che la micro-house è la novità dell’altro ieri e a breve la cita pure la casalinga di Voghera. Beh, a noi pare un peccato veniale: le cose fatte bene, non hanno tempo. Il gusto isterico di cavalcare sempre la novità vincente del momento lo lasciamo volentieri ad altri. No?