Calma e gesso ragazzi. Nonostante il titolo dell’articolo possa infatti fuorviare, non stiam cercando nuove leve per il casting del prossimo talent show di Canale 5. Dimenticate quindi pure Maria De Filippi, Gerry Scotti ed anche Belen Rodriguez (ed annessa farfalla). E di che vogliam parlarvi allora? Leggete e saprete…
L’erba del vicino è sempre più verde. Nemo propheta in patria. L’Italia è un paese per vecchi. Discutere il fenomeno “Dance” italiano degli ultimi 15 anni è un continuo ricondursi a clichè come quelli appena citati. E’ un pò come un cane che si morde la coda. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, ci verrebbe da dire, perchè a nostro modo di vedere non ci son trucchi da carpire ne segreti da svelare, c’è solo da far un generale mea culpa seguito da un’immediato reset delle impostazioni della nostra politica locale, perchè se il clubbing italiano è ormai alla deriva, autosoggiogatosi con un atteggiamento che rasenta il masochismo e l’autolesionismo, la colpa è solo degli italiani.
Non crediamo serva poi molta riflessione per giungere a certe conclusioni. Provate anche voi ad incrociare le generalità dei principali artisti house e techno stranieri con l’agenda dei più importanti eventi italiani, credo inizierete presto a cogliere qualche anomalia… Che intendiamo? Che vi rendereste presto conto d’aver a che fare con un fenomeno che funziona secondo una logica inversamente proporzionale. Prendiamo ad esempio le 2 date più importanti del calendario eventi invernale, il 31 Ottobre e Capodanno. Il grande artista straniero, a rigor di logica, in queste date dovrebbe esibirsi nel suo paese d’origine, visto che li è cresciuto, s’è affermato e da li ha poi iniziato a conquistare gli altri mercati nazionali. Certo, non mancherebbero gli esempi a confutar il predetto ragionamento, ma il buon senso ci troverà tutti concordi nel convenire su ciò. Ed invece? Gli headliners dei principali eventi svolti in Italia in quelle 2 notti sono nell’ 85% dei casi artisti con passaporto straniero che per esibirsi nel nostro territorio vengono pagati anche 10 volte quello che percepiscono nei loro paesi d’origine.
Come mai? Gli italiani non hanno forse nulla da dire in tema di musica? Gli italiani sono forse scemi che pagano uno straniero 10 volte tanto rispetto a quanto questi percepisce nel suo paese per far un lavoro che un suo collega italiano potrebbe far pressochè nello stesso modo? La tanto triste quanto grottesca realtà è che la scena italiana non è ancora minimamente paragonabile per mentalità e filosofia a quella inglese, tedesca o olandese. Paghiamo lo scotto di una scena ancorata a dei valori effimeri, incapace di saper programmare, sempre scettica nei confronti delle novità. E’ per via di questa politica che abbiamo un gap abissale sia in termini organizzativi che di scouting artistico rispetto alle realtà straniere. E’ a causa di questa scala di valori effimeri che la nostra scena fatica a costruire dei talenti in casa, è per la generalizzata incapacità in ordine all’organizzazione e alla programmazione che la nostra scena non gode della stessa stima di quelle nord europee, è per via di una mentalità scettica e conservatrice che arriviamo sempre dopo gli altri sulle nuove proposte musicali.
Insomma, il banchetto delle responsabilità è un tavolo a cui dovremmo sederci in tanti, in primis il sottoscritto, che per quasi un decennio ha alimentato questo sistema con la stessa fulgida incoscienza ed irresponsabilità che l’accomuna alla maggioranza degli attori della scena italiana. Il mio coinvolgimento attivo nella scena come promoter e agente di djs prima e come co-proprietario di un locale e di un’etichetta successivamente, m’ha permesso d’affrontare pressochè tutte le dinamiche afferenti questo business ed alla luce di quest’esperienza mi sento di poter dire che se gli organizzatori italiani posson esser tacciati d’integralismo esterofilo e conformista di certo non se la passano meglio la stragrande maggioranza dei loro connazionali produttori, che han passato gli ultimi 10 anni nel più totale immobilismo creativo, cercando di clonare pedissequamente il suono delle grandi label di moda piuttosto che ricercare una propria identità stilistica.
E’ un problema che ha radici nell’approccio che i protagonisti della nostra scena han avuto per molti e troppi anni, un approccio pressochè esclusivamente contemplativo e che solo in tempi recenti ha iniziato guadagnare consapevolezza. Realisticamente parlando, ci vorranno anni prima che il nostro mercato sia in grado, economicamente, culturalmente e socialmente parlando, di tener il passo con l’estero, di reggere l’impatto d’eventi coinvolgenti migliaia di persone e svariati generi musicali. Ci vorrà strenua perseveranza, fiducia ed un’innata predisposizione al disattendimento delle proprie aspettative, ma se dotati dei predetti attributi, un futuro migliore è possibile anche per noi.
Ma andiamo con ordine. Dicevamo, l’erba del vicino è sempre più verde. Da italiani amanti dell’elettronica, l’erba del vicino è sempre stata più verde. Fino ad un paio d’anni fa. Ora non ci sentiremmo più di sottoscrivere tale affermazione, anzi. Infatti, se negli ultimi 15 anni l’Italia del clubbing ha quasi esclusivamente importato, alimentando le economie americane, inglesi, francesi e tedesche, ultimamente s’è iniziato ad avvertire una piccola inversione di tendenza. Pare che gli italiani abbiano iniziato a sviluppare il loro “pollice verde” dedicandosi con sacrificio ed abnegazione ad una propria estetica musicale ed iniziando soprattutto a collaborare, aiutandosi l’un l’altro, sostenendo con maggior vigore le realtà artistiche locali, cercando di creare un tessuto dove s’intreccino artisti, etichette ed eventi, per permettere alla nostra scena di crescere in maniera autonoma ed indipendente. E crediamo infatti sia questo più che mai il momento giusto per supportare lo sviluppo della scena artistica e clubbing italiana, perchè guardandosi indietro agli ultimi 10 anni, non crediam ci sia mai stato un tale fervore, una tensione verso la ricerca e la sperimentazione, condite da un sano anticonformismo e soprattutto, sempre contraddistinte da una costante, la qualità. Dal Veneto al Salento passando per la Toscana, il Lazio e la Campania, un’ondata di produttori con identità e carattere si sta affacciando alla scena con un nuovo spirito, noncurante delle mode del momento, sprezzante del giudizio dei suoi connazionali. Andiamo a conoscerli più approfonditamente.
Partiamo dai Life’s Track, i 2 giovani talenti fiorentini Herva e Marco D’Aquino a.k.a. Dukwa. Lanciati l’anno scorso dall’imprint Bosconi grazie ad una felice intuizione di Fabio Della Torre, Rufus e Mass Prod, Herva e Marco han colto al volo l’occasione offertagli per intraprender rapidamente un percorso che negli ultimi mesi li ha visti esportare il loro live e dj set in quasi tutte le principali città italiane. Herva ha già un album all’attivo sempre su Bosconi e Marco ha appena iniziato a sviluppare il suo nuovo progetto Dukwa, piattaforma dove poter dar sfogo al suo ecletismo IDM.
Dalla Toscana passiamo al Veneto, di questi tempi uno dei vivai più promettenti della penisola. Ai confini tra Padova e Venezia vivono i Die Roh, Luca Segato e Marco Zanin, ed il loro partner in crime, il Chicagoan veneziano d’adozione Steve Murphy (all’anagrafe Mattia Favaretto). Il loro credo old school tutto hardwares e vinile e le loro prime 2 uscite su Chiwax e Vae Victis gli han fatti entrare rapidamente nelle grazie di Blawan e degli Analogue Cops, con cui han da breve iniziato lo sviluppo di un nuovo progetto.
Da Venezia a Verona passando per Padova, dove Simone De Kunovich a.k.a. Dj Kool Dek si sta facendo un nome nella scena tech house con uscite su Be As One, Saved e Suara. A Verona un’altro giovane produttore pazzo per l’analogico e l’acetato è Luca Ballerini, che con la sua etichetta Wax Jam si sta togliendo delle grosse soddisfazioni. Restando al nord, a Milano vive uno degli artisti italiani più avanguardisti e sperimentatori, parliamo di Lorenzo Senni di Presto Records, il cui ultimo album come Stargate “Hexplore Superfluidity” edito da Hundebiss, ha fatto scomodare la critica per importanti paragoni con nomi del calibro di James Ferraro, mica pizza e fichi insomma. Sempre a Milano risiedono John Swing e EMG di Live Jam/Relatives Records, etichette che in Germania ed Oltremanica godono di grande stima e rispetto. Anche loro vicini agli Analogue Cops, con cui condividono il progetto Appointment, uno dei white label techno più acclamati in Inghilterra, ora giunto alla settima uscita.
Spostiamoci ora verso il Centro Italia per poi tirare giu dritti fino al Sud, dove anche qui per fortuna c’è solo che l’imbarazzo della scelta. Prima tappa obbligata è Perugia, dove troviamo il 17 enne Tommaso Pandolfi, il cui amore per i sintetizzatori ha trovato consacrazione nel progetto “Furtherset”. Forse un pò frettolosamente etichettato “prodigio dell’elettronica” da Wired.it, Furtherset è senza ombra di dubbio uno dei prospetti più talentuosi ed interessanti presenti nel mercato discografico contemporaneo. Arrivando in Campania, tra Napoli e Caserta le nuove leve portano i nomi di Davide Carbone e Pasquale Ascione, ai più noti come D.Carbone e Ascion, che stanno dando vita, assieme al palermitano emigrato a Berlino Nino Pedone a.k.a. Shapednoise, ad una delle etichette più chiaccherate della scena techno. Il loro suono heavy/industrial è già divenuto un trademark per artisti del calibro di Ben Klock, Len Faki e Speedy J., giusto per nominarne alcuni. Altro campano emigrato all’estero in ricerca di maggior fortuna è Gabriele De Caprio, meglio noto come “Decas”, la cui prima uscita sulla sua etichetta UAudio lascia molto ben promettere per il futuro. Dulcis in fundo, continuando fino al tacco dello stivale italiano, in Puglia, o meglio, in Salento, non possiam non far menzione del 21enne Okee Ru, altro purista delle macchine e del vinile, da poco impegnato nella realizzazione di un album con la leggenda di Chicago Chez Damier.
Non ce ne vogliano tutti gli altri giovani talenti di cui non abbiam fatto menzione per dimenticanza o ignoranza, speriamo che la nostra omissione possa spronarli per il futuro. Molti dei suddetti nomi son infatti persone a cui son legato da rapporti professionali (Die Roh, Steve Murphy, Herva, Dukwa, Okee Ru, Shapednoise, Ascion e D.Carbone) o d’amicizia e le speranze di successo che nutro per loro le vivo con trepidante attesa sia come loro agente o amico che come clubber o semplice appassionato del fenomeno che rivendica un’identità propria per la scena che vive e alimenta quotidianamente, la scena italiana. Perchè una cosa è certa: questo sistema è da rottamare al più presto e senza alcun incentivo! E l’avvento di questa nuova ondata di produttori italiani andrebbe colta al volo e legata a doppia mandata allo sviluppo futuro del nostro mercato clubbing e discografico. Perchè solamente supportando tutti i futuri prodotti locali meritevoli di nota il nostro mercato potrà soverchiare gli attuali rapporti di forza e permettere agli attori della scena italiana, dai locali ai djs passando per produttori ed etichette, di poter crescere forti e sani, coltivando un proprio credo ed una propria identità.