Sono passati otto anni da quando il francese Jackson Fourgeaud formò la sua band di computer e fece uscire per Warp il debutto “Smash”. Era il 2005 e quel disco un poco si perse tra il ritorno dei Daft Punk con “Human After All” e la ribalta della Ed Banger. Insomma, lo strambo Jackson ha messo in standby la sua orchestra e se n’è stato in un angolino, quasi in silenzio, se togliamo una serie di remix (nemmeno tanti) per Justice, AIR, Kavinsky e un’altra manciataamici. Coloro che ascoltarono attentamente “Smash” però, capirono che tipo di disco era e che valore poteva avere nel panorama elettronico. Tralasciando il fatto che venne pubblicato da Warp direttamente all’esordio, cosa non certo scontata, quello fu un debutto che scosse il pubblico, perché prese gli stilemi della french-touch della seconda metà ’90 e li riadattò ad un più complesso ed “intelligente” approccio, un lavoro parecchio influenzato dalla storia dell’elettronica elettronica e da alcuni dei suoi padrini, definibile come IDM.
Oggi Jackson entra in “sala macchine” e riaccende tutto, come uno scienziato rimasto nascosto nel suo bunker durante un’epidemia letale. Finito il caos, si stropiccia gli occhi e porta la sua banda senz’anima alla luce del sole, davanti ad un mondo che senza più memoria e che probabilmente è cambiato, nel bene e nel male. “Glow” è quello che fu e quello che poteva essere; ne esce un lavoro a tratti confuso, sicuramente speciale, con momenti di alta psichedelia, in una vasca di alterazioni pop e basi di musica tradizionale francese. Un lavoro ambivalente, perché dentro c’è l’IDM e l’elettro, ovviamente, ma ci sono anche la dubstep (“Seal”) e tratteggi sfrontatamente punk. Ci sono le ballate intergalattiche (“Orgysteria”), c’è la gabber (“Blood Bust”), e la “canzonetta” (“Memory”), un disco concepito soprattutto per il live, come pare ammettere lo stesso Fourgeaud in alcune sue dichiarazioni.
Forse è proprio questo che lo rende, nell’ascolto “casalingo”, un po’ sfilacciato, come se non avesse una linea totalmente limpida o come se volesse dichiaratamente ammettere di essersi perso qualcosa, di essere arrivato tardi, di aver mancato un treno. Ora quel treno prova a riassemblarlo, vagone dopo vagone, ma perdendosi pezzi che in questi otto anni sono nati e scomparsi, lasciando solo cicatrici quasi invisibili. Chi però ha avuto la fortuna di assistere ad uno dei suoi recenti live sa che il contatto tra lui, la sua Computerband e il pubblico, è strettissimo, ne esce uno spettacolo coinvolgente e a tratti imponente. Jackson pretende, forse con un po’ di arroganza, di mettere a sedere il pubblico costringendolo ad ascoltare il suo disco, invece che ballarlo.
Nel complesso, analizzando ogni singola traccia, ci si accorge che “Glow” è un album che ottiene la sufficienza piena, ma senza salire e senza scendere. Ben costruito, per esempio, il secondo singolo “Vista”: le linee di voci, che nel complesso del disco spesso annoiano, sono in questo caso trascinanti e bene si fondono con i sintetizzatori e le atmosfere di una certa elettro-revival. “G.I. Jane (Fill Me Up)” è la sintesi di quello che vorrebbe ottenere il disco, la fusione di entrambe le sue anime, “Pump” tirata troppo per le lunghe e “Blood Bust” sembra far parte di un altro lavoro.
Il bizzarro Jackson è tornato, lo segue la sua Computerband e mettono i piedi fuori dalla tana godendosi la loro nuova alba, senza insulti né ovazioni, ma con la consapevolezza di avere cancellato il silenzio, che è già una grande cosa, se si tratta di arte, soprattutto quando è musica. Nessuno mette in dubbio che il nostro “francesino ritrovato” sia un’artista, lo è sicuramente molto più di alcuni suoi colleghi: deve solo sgranchirsi le gambe e prendere il ritmo.
Quindi, al di là di ogni cosa, bentornato Jackson And His Computerband.