“Jacuzzi Boys” è il terzo album omonimo della band di Miami composta da Gabriel Alcala, Diego Monaster e Danny Rojas, in uscita su Hardly Art Records. Il trio, forte delle esperienze precedenti – non particolarmente entusiasmanti a mio parere –, tra cui anche un live pubblicato sulla Third Man Records di Jack White, ritorna alla carica con una mistura di garage rock semplice e immediato che si impregna di salsedine e melancolia, facendo leva sull’atmosfera da spiaggia e sulla ruvidità delle incursioni lo-fi, richiamate da più tracce contenute in questo disco – vedi “Dust”, “Heavy Horse” e “Black Gloves”. Insomma, i Jacuzzi Boys creano una matrice sonora che stagna a metà strada fra qualcosa che suoni veramente incazzato – con annesse sedie spaccate sui muri – e qualcosa di più disimpegnato e “fighettino”, da ascoltare lasciandosi andare, senza porsi troppe domande.
Il punto sta qui, se conoscevate il trio e ne avete già apprezzato il sound in precedenza, potete star tranquilli, in questo terzo LP non ci sono trovate a effetto o sperimentazioni massicce che allarghino l’orizzonte delle sfumature musicali sulle quali esso è intessuto: Gabriel, Diego e Danny, il compitino lo sanno ancora svolgere a dovere. Tutto sommato, è abbastanza ovvio che questa monotonia stilistica, seppur offre un punto stabile da cui ripartire, si paga a caro prezzo. E la carenza di spunti interessanti, che sarebbero funzionali a un evoluzione sonora, rientra nel conto. Le tracce risultano spesso poco trascinanti, perdendo gran parte del loro fascino e della loro vivacità a causa di questa piattezza sonora che, tirate le somme, è riscontrabile anche senza scavare troppo a fondo nella discografia dei ragazzi di Miami.
In ogni caso, non intendo di certo generalizzare, perciò mi pare giusto sottolineare che di squarci brillanti ce ne sono anche in questo self-titled, come già detto, per molti versi contraddittorio: è in tracce come “Dust” e “Heavy Horse” (segnalate già sopra) che ho trovato una solida congiunzione tra gli elementi, spunti abbastanza interessanti – con rimandi all’inquietudine e agli struggenti suoni dei Galaxie 500 –, ma, soprattutto, un flusso sonoro coinvolgente. Io spero vivamente che sarà questa la direzione verso cui il gruppo indirizzerà i propri sforzi, anche se sono di parte e tifo, in modo sfegatato, per il romanticismo melodico.
Purtroppo, quel che si ascolta in questo terzo disco risente in modo pesante sia dell’indecisione sonora che dell’ambiguità stilistica, rendendo discontinua la qualità dei contenuti. Il nomadismo musicale tra spazi sonori non contigui offre tracce dalle sonorità sfaccettate e varie che, tuttavia, lasciano molte riserve, a qualche dubbio sull’indispensabilità di certi passaggi. Ecco cosa sono riuscito a scorgere – sia chiaro, e mi sembra banale doverlo ribadire, che ciò non è la verità assoluta, ma la mia opinione ragionata – dietro i rombanti assoli rock di questo “Jacuzzi Boys”: un disco vario nelle sue tinte, bello a tratti ma che dà, molte volte, la sensazione di non essere necessario.