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[tab title=”Italiano”]Jeff Mills è un alieno. L’abbiamo pensato tutti almeno una volta, vedendo una delle sue performances a cavallo tra DJ set e live, in cui sembra avere quattro braccia per il numero di cose che riesce a fare contemporaneamente, o anche solo scorrendo la lista dei progetti che ha in corso per il prossimo mese o giù di lì: ma soprattutto, l’abbiamo pensato durante la lunga chiacchierata telefonica che vi riportiamo qui, durante la quale l’ammirazione che abbiamo per lui, già alta, ha raggiunto livelli sconfinati. Non può che essere un alieno, infatti, un artista in grado non solo di coniugare progetti in apparenza agli antipodi come “Exhibitionist 2” e una performance con l’orchestra sinfonica della BBC, ma anche di comunicare in maniera così accorata le idee che stanno alla base di ciascuno di essi, e di spiegare come in realtà la distanza che li separa sia molto minore di quanto pensassimo. Parlando con lui, abbiamo capito che c’è un solo grande comune denominatore di tutta la produzione artistica di Jeff Mills: la ricerca, la sperimentazione, il provare a fare qualcosa di diverso anche solo per il gusto di non ripetere quello che si è già fatto, e la gioia della scoperta nell’imparare qualcosa di nuovo, anche (e forse soprattutto) quando il risultato non è quello che ci si aspettava. È per via di questo atteggiamento, e non solo per le sue produzioni e i suoi set, che Jeff Mills è un esempio per le nuove generazioni e che siamo così emozionati nel presentarvi questa intervista.
So che hai un sacco di nuovi progetti in corso o in arrivo a breve, e il primo di cui vorrei parlare con te è “Exhibitionist 2”: ho letto che lo descrivi come “un esercizio di spontaneità”, vuoi dirmi di più sull’argomento?
Sì, ho voluto concentrarmi su questo aspetto perché è qualcosa a cui di solito non si presta tanta attenzione nella musica elettronica, credo per via del modo in cui le macchine sono progettate perché noi le programmiamo e per via del modo in cui produciamo musica in questo genere, ma c’è un aspetto di improvvisazione, in cui suoni le macchine fondamentalmente come se suonassi uno strumento acustico, che è piuttosto raro. Ho pensato che fosse interessante da mostrare e che potesse dare ad altri produttori e DJ delle idee che poi loro potessero estendere.
E’ interessante sentirtelo dire perché avendoti visto suonare più volte non ho mai pensato a te come a un artista che improvvisa, ho sempre avuto la sensazione che tu avessi il controllo assoluto della situazione e che tutto quello che succedeva fosse ragionato meticolosamente, ma quando parli dell’idea di suonare le macchine come uno strumento acustico capisco cosa intendi.
Sai, ho sempre cercato di creare un’atmosfera speciale, ed è una cosa che puoi fare in molti modi diversi; puoi farlo col tipo di musica che suoni, e quella è una cosa che in effetti si può preparare, io stesso preparo la musica che suonerò a seconda delle situazioni diverse in cui mi trovo, ma c’è anche un aspetto di spontaneità e di fare le cose sul momento che in un certo senso va oltre il metodo classico di mixare semplicemente una traccia dopo l’altra. Quando usi una drum machine assieme ai piatti e ai lettori cd, sei in grado di liberarti e fondamentalmente di creare qualcosa di nuovo in quel momento, in tempo reale, e so per certo che la maggior parte dei produttori sono in grado di farlo, e la strumentazione che la maggior parte della gente usa lo consente, solo che forse non hanno mai visto un’idea davvero buona di come farlo, e credo che forse quello che faccio con la mia drum machine potrebbe dare ad altri un’ispirazione di come usarla e di come interagirci. La mia speranza è che il DJ set medio diventi più che solo mixare musica insieme, vorrei che diventasse, credo, qualcosa di più vicino a un live set.
Beh, in effetti è quella l’impressione che ho sempre avuto vedendoti suonare. Un altro aspetto di “Exhibitionist 2” che mi ha incuriosito è il fatto che tu abbia deciso di rilasciarlo come un pacchetto con un doppio CD più un DVD, il che non è esattamente una scelta comune di questi tempi, visto che l’esperienza utente sembra essere ormai diventata quella di andare su un digital store e comprare musica da scaricare, o da ascoltare in streaming, per cui gli oggetti fisici stanno diventando sempre più rari nel mercato musicale. Io in ogni caso non vedo l’ora di avere a casa “Exhibitionist 2”, ma tu perché hai deciso di rilasciarlo con questo formato?
Perché a noi, intendo a me e all’etichetta che gestisco, piace fare le cose, ci piace creare oggetti per la gente, ci piace l’idea di prestare attenzione ai dettagli come i materiali, il design, sai, ci piace proprio l’aspetto artigianale, e oltre a questo sappiamo che per quanto ci riguarda, per quanto riguarda Axis Records, ci sono molti collezionisti, io stesso sono un collezionista di diverse cose, e può essere una cosa bella avere un oggetto che puoi fisicamente tenere in mano, rispetto a qualcosa che scarichi sul computer, avere qualcosa che puoi mettere via, sederti e guardare, da cui ti senti attratto; volevamo avere qualcosa che si potesse aprire, toccare e tirare fuori dalla scatola, pensiamo ci sia ancora del valore in tutte queste cose, per cui abbiamo preferito, credo, fare le cose nel modo più difficile e creare qualcosa, e rilasciarlo, e tutto quello che ci sta attorno.
Ci vedo un legame, tra quello che mi dicevi prima per cui un DJ set dovrebbe essere più che semplicemente mixare delle tracce e l’idea secondo cui produrre un progetto come questo è più che semplicemente produrre l’audio, visto che vi siete presi cura del design, del packaging e di tutto il resto.
Esatto! Voglio dire, è il pacchetto completo, abbiamo passato del tempo a sederci e prendere in considerazione tutto, anche la promozione, abbiamo iniziato a lavorarci mesi e mesi e mesi fa, ma è questo il mestiere della musica elettronica. Sappiamo che la gente è esposta a molti tipi di musica elettronica a molti livelli diversi, ma a questo livello, che crediamo sia il più creativo, cerchiamo di usare le risorse che sono state sviluppate nel corso di decenni su come creare qualcosa, e abbiamo realizzato che gli ascoltatori sono a un livello un po’ più avanzato, più maturi che, diciamo, vent’anni fa, e questo ha influito sul modo in cui diciamo quello che diciamo, sul modo in cui presentiamo le cose, abbiamo speso davvero tanto tempo pensandoci.
Un altro progetto a cui stai lavorando è la tua performance con l’orchestra sinfonica della BBC, e in questo vedo un aspetto piuttosto interessante: abbiamo appena parlato di spontaneità e improvvisazione riguardo a “Exhibitionist 2”, mentre suonare con un’orchestra a me sembra la cosa meno spontanea del mondo, voglio dire, immagino che abbiate fatto un sacco di prove per suonare bene insieme, giusto?
Beh, il modo in cui la gestisco io in effetti è che io improvviso, letteralmente, a tutti gli effetti. Tutta la mia parte è improvvisata, per cui non è mai la stessa due volte; l’orchestra ovviamente segue uno spartito, ma come io interagisco con loro è qualcosa che mi invento sul momento, per cui non è mai la stessa, io ascolto quello che fanno i musicisti e cerco di enfatizzarlo, ma in fondo è esattamente la stessa cosa che faccio con le drum machines nel DVD. C’è ovviamente una certa differenza, però, perché ho un grado di libertà maggiore di quello che si ha di solito quando si lavora con un’orchestra e un direttore, ma nel mio caso io sono completamente libero di fare quello che voglio.
Quindi in un certo senso non sei solo un musicista nell’orchestra ma fai anche tu stesso una parte del lavoro del direttore; voglio dire, i musicisti dell’orchestra si limitano a seguire i loro spartiti oppure devono in qualche modo seguire anche te?
Il tempo dell’orchestra è legato a quello della mia drum machine, che manda un click che va al direttore il quale a sua volta dirige l’orchestra in base al click stesso, e i musicisti possono sentirlo anche nelle proprie cuffie, e ci sono anche momenti in cui suono degli assoli, per cui sono anche un solista oltre a tutte queste cose. Quindi certo, sono un musicista parte dell’orchestra, ma sono anche libero di fare tutto quello che voglio in qualunque momento; inoltre, ho scritto io le tracce che poi sono state arrangiate per l’orchestra, per cui ho svolto molti ruoli diversi in questo progetto.
Un altro aspetto che mi è saltato agli occhi vedendoti suonare con un’orchestra, che è una cosa che ormai fai da un po’ di tempo, è la sensazione che ci sia una specie di, non direi esattamente “attrito”, ma una specie di contrasto tra la techno, che è sempre stata un genere molto futurista, e l’idea che uno ha di solito della musica classica, che è in qualche modo collegata alla storia e al passato, è un contrasto che esiste veramente?
Se c’è un contrasto è probabilmente molto minore di quello che si potrebbe pensare. Voglio dire, entrambi i generi sono strutturati in modo da raccontare qualche tipo di storia, o da creare la colonna sonora per un determinato contesto, o da aggiungere l’aspetto sonoro a un determinato argomento e suonarlo in uno scenario specifico, per cui c’è questa somiglianza. In alcuni tipi di musica elettronica poi, specialmente nella Detroit techno, tendiamo a usare gli arrangiamenti di archi esattamente nello stesso modo in cui li usa un’orchestra, e c’è una sorta di eleganza in alcuni generi di musica elettronica, un certo tipo di struttura nel modo in cui i suoni funzionano insieme; queste sono giusto alcune delle cose che ho scoperto lavorando con un’orchestra che mi hanno fatto capire che la distanza, se c’è, non è poi così grande, e che il dialogo non è così in contrasto come si potrebbe pensare; se penso ad altri generi, come l’hip-hop o il rock, il contrasto è probabilmente molto maggiore. Alcuni pezzi classici sono in effetti piuttosto minimali, sai, non cambiano mai tempo, per cui c’è anche questo aspetto, e poi penso che la mentalità del musicista classico medio, se la paragono al modo in cui noi pensiamo alla musica elettronica, è circa la stessa: entrambi i tipi di musicisti sono molto seri riguardo a quello che fanno, e c’è un certo temperamento artistico che va assieme a questa serietà, per cui è molto facile comunicare per via del modo in cui prendiamo molto sul serio la nostra arte. La prima volta che ho incontrato l’arrangiatore e il direttore dell’orchestra, la conversazione è stata molto equilibrata e consensuale, perché ero in grado di spiegar loro molto bene il motivo per cui la mia composizione è nel modo in cui è, cosa davvero rappresenta ciascun suono, e loro l’hanno capito molto facilmente, per cui è stata una conversazione davvero fluida, come anche l’interazione che ho avuto con tutti i musicisti, e credo sia questo il motivo per cui ho avuto così tanto successo facendo questo genere di performances e sono arrivato al punto che ora sono io a comporre tracce originali per un’orchestra. Ora come ora vedo questa come una cosa che continuerà, potrebbe anche essere che altri musicisti elettronici faranno lo stesso perché ormai le fondamenta di questo tipo di performance sono state costruite e sono sicuro che ci sono molti altri musicisti che hanno idee diverse su come lo farebbero, e che ci sono molte orchestre aperte all’idea, per cui sì, credo che questa sia ormai solo un’altra delle opzioni con cui si può suonare la musica elettronica.
E credo sia anche un buon modo per allargare il pubblico sia della musica elettronica che di quella classica, dato che credo ci sia molta gente che di solito ascolta l’una e non ha mai ascoltato l’altra, e viceversa.
Esatto, voglio dire, nella musica elettronica non possiamo aspettarci che tutto rimanga sempre uguale per sempre, dobbiamo guardare a da dove veniamo e a quali altre opportunità abbiamo per usare questa musica. Non possiamo assumere che tutto sarà sempre come nel 1990, viviamo in tempi diversi, in un’era diversa, le persone comunicano in modi diversi, il mondo gira in un modo un po’ diverso, per cui credo che dobbiamo esaurire tutte le diverse possibilità e che dobbiamo guardare ogni possibile modo in cui questa musica si può considerare; alcune idee non funzioneranno, ma alcune altre rimarranno, e non sappiamo ancora cosa è possibile fare, cosa potrebbe esserci oltre questa idea di mischiare la musica elettronica e quella classica. Forse qualcuno svilupperà l’idea di costruire strumenti classici con delle caratteristiche elettroniche, non sappiamo ancora cosa è possibile fare, ma credo che all’inizio del secolo, che è iniziato da solo quindici anni, dobbiamo assumere che se andiamo avanti in questo senso la cosa si svilupperà, le persone cominceranno a guardare a questi due generi con occhi diversi, ed è proprio questo il motivo principale per cui lo faccio, per cercare di spingere e far progredire il genere, per espanderlo in modo che possa essere interessante per più persone e continuare per sempre.
E poi, come hai appena detto, non sai mai prima che cosa funzionerà e cosa no, quindi penso sia l’approccio giusto quello di sperimentare, provare cose e vedere cosa succede.
Esatto, è come siamo arrivati qui con la musica elettronica, usando le cose in modi diversi, abbiamo iniziato giocando con le drum machines fino al punto in cui ci siamo trovati ad avere questo linguaggio universale e abbiamo notato che un certo modo di fare musica con queste macchine funzionava, perché potevamo parlare con persone diverse in paesi diversi, ed è così che ha iniziato a diffondersi da Chicago e Detroit a New York e oltre, e credo che ci siano ancora molte cose che possiamo fare, e molti altri modi di usare la musica per interagire con le persone.
Parlando della diffusione lontano da Chicago e Detroit, e in generale lontano dagli US, ho letto di recente una tua intervista al Guardian in cui dicevi che il tuo lavoro non ottiene molta considerazione in America.
Sì, beh, in effetti succede solo a me. Credo sia evidente che dipende principalmente da chi, e in alcuni casi da cosa sei, è quello che fa la differenza. Se sei europeo, bianco e maschio probabilmente hai più possibilità di avere successo in America di, ad esempio, qualcuno che è afroamericano e vive a Detroit, e credo che alla fine sia la gente che decide, gli ascoltatori, gli utenti che ascoltano la musica elettronica, l’EDM o qualunque altra cosa. Il mio commento in quell’intervista era basato sul fatto che hai un gruppo considerevole di produttori e DJ che vivono solo a Detroit, nemmeno a Chicago o New York, hai questa grande concentrazione di produttori che fanno questa cosa fondamentalmente da decenni, e quanta poca esposizione abbiano avuto in patria è davvero stupefacente, in effetti è proprio incredibile. Ci sono delle somiglianze tra tutte queste persone – siamo tutti cresciuti nella stessa area, siamo tutti più o meno stati esposti alle stesse influenze, abbiamo fatto più o meno tutti cose simili durante le nostre carriere, e ci sono stati un sacco di successi e di vittorie, ma nessuno di questi ha ottenuto riconoscimento nella nazione in cui abbiamo iniziato. Non è niente di nuovo, perché ho sentito e vedo che succede la stessa cosa con gli artisti inglesi che sembra non siano in grado di ottenere attenzione nella loro nazione, o con i tedeschi, succede – ma quando hai una concentrazione così alta di persone in una città sola, e la città è sulla punta della lingua di tutti e tutti ne parlano, ma non parlano della musica che arriva da lì anche se è uno dei successi principali della città, è qualcosa di davvero incredibile; mi trovo a pensare che sia intenzionale e che sia qualcosa che davvero non interessa alla gente. Forse non è una cosa che avviene di proposito, ma forse è questo stile di musica che è qualcosa che l’americano medio, il giovane americano medio non capisce, quindi è questo che intendevo col mio commento; non è che quello che faccio non vada bene, o qualcosa del genere, è solo che è la credibilità del genere a non esistere, credo; la mia etichetta è comunque sempre negli Stati Uniti, la maggior parte dei ragazzi di Detroit vive ancora lì o nelle vicinanze, lavorano ancora, producono, viaggiano ancora e creano ancora, ma hanno pochissima copertura, anche dai media che parlano di musica elettronica negli Stati Uniti. Volevo semplicemente portare questa cosa all’attenzione del pubblico perché forse molti europei non si rendono conto che quando torniamo nella nostra nazione la situazione è praticamente l’opposto di quello che succede qui.
Parlando del fatto che tutti i produttori di Detroit sono cresciuti in un certo senso insieme, costruendo una scena locale che esiste ancora oggi, è qualcosa che sembra strano per certi versi oggi: ricordo che qualche anno fa sembrava che le scene locali non sarebbero più esistite, che Internet le avrebbe fatte sparire e che tutti sarebbero stati collegati anche a distanza, online, eppure le scene locali esistono ancora, non solo a Detroit.
Detroit è una città enorme, ma proprio grazie alla scena del clubbing ha messo insieme persone da parti diverse della città, ti parlo di fine anni ’70, primi anni ’80; se c’era un party, o qualche evento musicale in giro, sapevi che ci sarebbe stato un certo tipo di gente, ed è stato così che ci siamo conosciuti tutti quanti, è successo proprio così semplicemente. Per com’era strutturata la città, poi, c’erano molti quartieri diversi, ma erano tutti strutturati fondamentalmente allo stesso modo, per cui le influenze che avevi erano più o meno le stesse sia che abitassi nell’East side o nel West side, o a Nord, o in parte anche a Sud, la struttura dei quartieri non era così diversa, per cui se andavi al negozio all’angolo a comprare le caramelle, o cose del genere, la distribuzione di tutte le cose, delle cose a cui potevi essere interessato era la stessa, per cui un fumetto che usciva nel West side si trovava anche nell’East side, e lo stesso vale ovviamente per la televisione, guardavamo tutti gli stessi programmi e gli stessi film che uscivano in un determinato momento, per cui avevamo tutte queste cose in comune, e avevamo in comune anche l’interesse per la musica, nello specifico la musica dance, quindi poi abbiamo avuto in comune anche le macchine a cui avevamo accesso, perchè se sei giovane e non hai molti soldi va a finire che compri sempre le stesse macchine; abbiamo tutti più o meno capito come programmarle, per cui è naturale che ci fosse qualcosa di comune anche nel modo in cui la nostra musica nasceva. Conosco alcuni di questi ragazzi da più di quarant’anni, credo sia abbastanza inusuale che tutti noi abbiamo lavorato in maniera indipendente l’uno dall’altro, seguendo direzioni diverse; ho sempre pensato che se la stessa cosa fosse successa in California, o a New York, o in un’altra parte degli Stati Uniti sarebbe stata più attraente per il pubblico, ma forse è proprio perchè è successa a Detroit e con questo gruppo di persone che è così affascinante per un certo tipo di pubblico…non lo so! Noi, come nazione, siamo molto informati in ambito musicale, perché molti generi sono nati negli US, sai, come il jazz, il blues, il rock, ma anche il gospel, il country e tutte queste cose, e questo è vero, ma quello che ho visto, specialmente con il jazz, è che non ce ne prendiamo davvero cura, non cerchiamo di conservarlo, non gli diamo il tipo di apprezzamento che credo si meriti, voglio dire – anche il caso di Detroit e della Motown, se vai dove c’era la Motown oggi, vedi davvero pochi segni del fatto che ci sia anche solo stata la Motown, che è una pazzia se pensi a quanti successi ha avuto l’etichetta, Berry Gordy e tutti i suoi artisti. Non ha davvero alcun senso: se vai a Nashville, in Tennessee, c’è molto di più sugli artisti country che vengono da lì, mentre Detroit non riesce nemmeno a trovare un modo per capitalizzare quello che la città stessa ha creato. Non ci prendiamo cura delle cose molto bene, non le apprezziamo, non le conserviamo, credo sia semplicemente perché spostiamo l’interesse su qualcos’altro; credo che la musica elettronica, storicamente, sia sempre stata cresciuta e curata dagli europei, non dagli americani, e questo spiega perché passiamo più tempo qui che laggiù.
Beh, dal mio punto di vista europeo, in un certo senso sono più contento di avervi qui che laggiù.
So che molti di noi vorrebbero ci fosse più equilibrio, perché siamo americani, siamo cresciuti là, è una nazione enorme in cui è possibile di tutto, ma proprio grazie alla strana storia che la nazione ha ci sono alcune cose che semplicemente non vengono accettate per via del modo in cui le cose sono sempre andate; qualunque cosa nuova, diversa o semplicemente al di fuori di cosa si aspetta la gente di solito viene ignorata, e purtroppo credo che la Detroit techno sia qualcosa con cui la gente proprio non è compatibile, non la capiscono, fondamentalmente non la vogliono.
Tornando invece ai tuoi progetti correnti e futuri, ce ne sono altri due a cui sono molto interessato, e curiosamente avranno luogo entrambi nella stessa città, Amsterdam: so che comporrai musica nella Rembrandt Huis, il che se ci penso si collega un po’ a quello che mi dicevi prima riguardo alla techno e alla musica elettronica e al loro essere adatte per creare la colonna sonora per situazioni e posti specifici: è questo il tema del progetto?
Sì, è proprio quello, l’idea è proprio il soundscaping, o cercare di creare una colonna sonora per un certo tipo di atmosfera: è qualcosa di nuovo per me, non l’ho mai fatto prima, ma credo che il risultato possa essere piuttosto interessante, trovarsi in un luogo che ha così tanta storia e così tanto significato per una forma artistica in particolare, e usare la musica elettronica per cercare di catturare quest’atmosfera, di immaginare cosa succedeva in questo spazio. È questo che proverò a fare nello studio dove Rembrandt ha dipinto molti dei suoi lavori, che poi lui portava giu al primo piano, dove aveva una specie di showroom in cui la gente poteva entrare e comprare i quadri, era una specie di pittore imprenditore, faceva tutto da sè, dipingeva a un piano di casa sua e aveva lo showroom a un altro, e a un altro ancora viveva con la sua famiglia; questo aspetto di lui che faceva tutto da solo è molto simile a quello che facevamo noi con la musica elettronica, ci prendevamo carico di tutti gli aspetti dal primo all’ultimo, per cui ho pensato che analizzare anche questo punto di vista fosse interessante. E quando lavori in questo modo, il tuo studio diventa fondamentalmente il punto attorno a cui gira tutto, per cui è estremamente importante come il tuo studio stesso, o comunque l’area dove crei, è posizionato, ed è stato questo che mi ha portato all’idea di trovarmi fisicamente in quello spazio, prestare attenzione a come la luce del sole entra dalla finestra, come colpisce la tela, come cambia la miscela della pittura, perché Rembrandt miscelava la pittura da una parte della stanza e poi la portava dall’altra parte per applicarla sulla tela e creare qualcosa, ed è molto simile a come produco musica nel mio studio, per cui è questo quello che cercherò di analizzare.
È un aspetto molto interessante e che credo sia spesso sottovalutato, come lo spazio attorno a te influisce sulla musica che crei.
Eppure lo fa, enormemente. La quantità di luce del sole che ricevi ha un ruolo davvero importante, voglio dire, io di solito cerco di produrre più musica che posso di notte, perché sai, tutti dormono, il telefono non suona, è tutto più calmo, per cui riesco a concentrarmi molto meglio; cerco di mettere il mio studio sempre in una stanza che ha pochissime finestre, se non addirittura nessuna, ed è una cosa che gioca un ruolo importantissimo in quanto riesco a perdermi nello scorrere del tempo. Credo che anche nel caso di Rembrandt il sole fosse molto importante, come la luce del sole entrava nella stanza, perché il sole era più forte tra le otto di mattina e l’una di pomeriggio, e dopo quell’ora il sole si sposta oltre la casa e la luce diventa completamente diversa, per cui credo che lui facesse molto del suo lavoro in quelle ore, ed è proprio in quelle ore che cercherò di comporre musica.
Poi c’è anche l’aspetto di entrare in un posto che non hai progettato tu stesso e darne in un certo senso la tua interpretazione musicale, che poi è più o meno quello che fa ogni DJ quando entra in un club, no?
Corretto, voglio dire, c’è una specie di misurazione che interviene in quel caso, bisogna considerare la temperatura, l’umidità, cos’è successo prima, cos’ha appena fatto il DJ prima di te, cosa succederà dopo che hai finito e così via, ci sono un sacco di circostanze che un DJ deve tenere in considerazione piuttosto in fretta prima di iniziare, ma in un certo senso è la stessa cosa, entri in un posto e inizi a mapparlo, a calcolarlo e a capire da dove iniziare.
Però è vero anche che, una volta che sei un DJ esperto, tutti questi calcoli e queste considerazioni non avvengono nemmeno a un livello conscio; semplicemente “sai” cosa sta succedendo e sei in grado di improvvisare in base a questo senza esserne nemmeno pienamente cosciente.
Sì, esattamente.
Poi c’è l’altro progetto che porti ad Amsterdam per l’ADE, Time Tunnel, che hai già messo in scena per un po’ a Parigi.
Sì, è una residency che ho da due anni a Parigi, dove ho creato e cercato di presentare l’idea, questo è il primo Time Tunnel ufficiale al di fuori della Francia, per cui sarà interessante. È un progetto sulla musica in generale, non solo la musica dance: ogni ora mi dà l’opportunità di esplorare un periodo diverso, un’era diversa e di – non proprio insegnare, ma più o meno portare della musica all’attenzione di altri, e cercare di spiegare come siamo arrivati qui, a questo punto, da un punto di vista storico.
È un aspetto interessante, ripensando a quello che mi dicevi prima per cui per spostare i confini di un genere a volte devi guardare indietro a come siamo arrivati dove ci troviamo.
Esatto, posso immaginare che qualcuno sentirà qualcosa di cui non era a conoscenza, o che non aveva mai sentito, perché suono molti tipi di musica diversi e sai, come DJ credo che non si possa davvero chiedere di meglio, suono tra le sei e le sette ore e ogni ora posso cambiare e suonare qualunque cosa mi venga in mente, è questo il concept della serata, e alla fine potrebbe addirittura succedere che la gente inizi a ballare in maniera incondizionata e capisca che il concept è ascoltare diversi tipi di musica, il che credo che sia quello che ogni DJ vorrebbe, è tipo il concept definitivo, perché ti dà così tanta libertà, è fantastico.
Parlando di libertà nel DJing, a proposito: ti è mai capitato di sentirti vincolato dalle aspettative del pubblico, come se ad esempio il pubblico si aspettasse sempre di sentirti suonare “The Bells” in ogni set?
Beh, so che la gente si aspetta davvero di sentire “The Bells”, è diventata ormai qualcosa che la gente vuole davvero sentire, e in un certo senso è qualcosa che anche io voglio sempre suonare, perché so che genera una reazione che poi mi darà l’opportunità di continuare verso altre cose, ma a parte questo caso specifico…no, penso che se riesco a trovare un modo per farla entrare con una buona transizione, o a programmarla in un modo che sia interessante, allora non sento nessun vincolo, e la cosa la percepisco ancora meno quando compongo musica. Voglio dire, cerco davvero tanto di non rifare sempre le stesse cose, per cui il mio studio è progettato in modo che devo più o meno rimontarlo ogni volta che voglio fare musica, non è una cosa in cui schiaccio un bottone e si accende tutto, ed è così di proposito, perché voglio poter ripartire da zero ogni volta e fare lo sforzo di non rifare le cose allo stesso modo, è questa l’idea che c’è dietro tutta la serie “Sleeper Wakes”, di darmi l’opportunità di esplorare e fare cose diversamente con ogni album e ogni traccia; sto lavorando a un album un po’ diverso ora, che si chiamerà “Freeform”, che conterrà percussioni acustiche, con cui non ho mai lavorato; ce ne sono un sacco, e sono suonate in un modo molto strano, esotico. Cerco di prendermi più libertà possibili, e per quanto riguarda il DJing, cerco di raccontare una storia nei miei set, e spesso penso alla fantascienza, e rispetto a questo scenario, e alle persone nella sala, alle luci colorate, la mia idea è spesso “cosa posso fare per cambiare l’atmosfera nella sala, cosa posso suonare perché continuino a ballare ma si sentano in un modo diverso?”, ed è una cosa che succede non solo durante i Time Tunnel, ma in tutti i miei DJ set, per cui usare una drum machine è un’idea che va in questa direzione, usare più lettori cd o più piatti per sommare diversi strati di musica è un’altra idea, produrre musica specificamente per alcuni DJ set che possa gestire come se fossi in studio è un’altra idea, davvero, è una cosa molto fluida, dipende dalle idee che mi vengono, dalla tecnologia su cui riesco a mettere mano, in generale comunque cerco sempre di pensare a cosa posso fare per fare le cose in modo diverso, questo è poco ma sicuro, ed è anche una cosa che credo sia necessaria.
È un tema ricorrente nella nostra chiacchierata finora, la necessità di provare cose nuove, e mi dicevi giustamente che quando si sperimenta alcune cose funzioneranno e altre no. Come decidi, però, quando qualcosa funziona? Quanto sei perfezionista in questo senso?
Beh, quando le cose non vanno o faccio qualche errore, non ci resto sopra più di tanto, preferisco considerarlo come un insegnanento: se qualcosa non va, di solito sono più interessato a cercare di trovare dov’era il problema e a correggerlo, o comunque a un certo punto ci tornerò sopra e rivisiterò il problema da un altro punto di vista. Quindi alla fine niente è mai davvero un fallimento, sai, puoi vederla come una progressione lunga tutta la vita, è così che vanno le cose, non tutto sarà un successo, e non a tutti piacerà tutto quello che sentono o con cui entrano in contatto, ma io comunque avrò imparato molto da tutte queste esperienze, e per me questo è abbastanza per andare avanti verso il prossimo progetto, oppure per rivisitare l’ultimo fino al punto in cui capisco come farlo. Suonare con un’orchestra classica, ad esempio, è stata una cosa che all’inizio non andava, il direttore e i musicisti non capivano cosa cercassi di creare, proprio non funzionava, ma ho continuato a cercare di portare idee, e alla fine ho avuto un’altra opportunità di riprovarci, e quella volta ha funzionato un po’ meglio, e abbiamo proseguito da lì. È solo un modo, per me, di contribuire alla crescita e al progresso del genere, quello che mi interessa davvero è cercare di creare cose nuove e cercare di mostrare idee nuove alla gente in modo che siano loro poi a poter provare a espanderle e che tutti noi possiamo fare passi da giganti anziché stare sempre allo stesso livello e rifare sempre le stesse cose a oltranza. Credo sia importante realizzare dove stanno le radici da cui proveniamo, ma non sono convinto che tutti debbano restare sempre allo stesso livello e sulla stessa posizione, alcuni di noi possono muoversi in direzioni diverse e alla fine è questo che aiuta il genere perché crea una piattaforma e un pubblico molto più vasti, ed è proprio questo che cerco di fare.
Mi piace molto quello che dici sul fatto che non esiste davvero l’idea di fallimento, perché anche quando qualcosa non funziona tu comunque hai imparato qualcosa in cambio dell’esperienza.
Sì, ed è una cosa che spesso allontana molti produttori e DJ, l’insoddisfazione del pubblico, può essere dura da accettare per alcune persone, quando il pubblico ti dice che odia quello che fai, che non gli piace, e tu fai un mestiere in cui la gente è importante e quello che fai è cercare di fare in modo che le persone apprezzino il momento, ma a volte il risultato non è quello che ti aspettavi, ed è qualcosa che può essere difficile da digerire, per cui posso capire che molti produttori e DJ non se la sentano di prendersi questo tipo di rischi. È una cosa che non è per tutti, non credo che ogni produttore e ogni DJ debba lavorare in questo modo, ma quelli di noi che ne sono in grado e che sono interessati da questo aspetto, credo dovrebbero cercare di esplorare ed esaurire tutte le possibilità in modo da creare qualcosa di nuovo.
Parlando di esaurimento: tu produci uno spettro enormemente ampio di cose, visto anche il numero di progetti che hai in corso di cui abbiamo appena parlato, e immagino che tu abbia un sacco di altre cose in mente che probabilmente non vedremo mai perché alla finiranno con l’essere solo esperimenti che usi per imparare, quindi, come fai a fare così tante cose? A volte ho la sensazione che in un tuo mese qualunque ci siano più cose che nell’intera carriera di un’artista “normale”.
Ho una carriera molto piena, alcune cose il pubblico le può vedere ma molte no, perché molto di questa parte include la pianificazione e la preparazione, per cui ho un’agenda davvero molto piena e intensa, ma in un certo senso è sempre stato così: anche quando ero giovanissimo e lavoravo in radio a Detroit, il mio programma era sei giorni alla settimana, due o tre volte al giorno, che significa che a volte non andavo neanche mai a casa, e anche con Underground Resistance e all’inizio di Axis ho sempre lavorato costantemente, letteralmente ventiquattro ore al giorno, poteva capitare che facessimo sessioni in studio alle quattro di mattina che duravano fino alle quattro di pomeriggio, producevamo una quantità tremenda di musica in tempo brevissimi, avevamo addirittura più setup di registrazione in parallelo in modo da registrare due o tre tracce contemporaneamente. Non è cambiato molto da allora, ho alcune persone che mi aiutano a mettere in pratica le cose e quando lavori insieme per tanto tempo ognuno capisce il ritmo da tenere e cosa fare per alcune cose, il che rende tutto un po’ più facile, ma comunque sul mio calendario giornaliero, in un mese qualunque, c’è molto più di quello che di cui probabilmente la gente si rende conto, e devi tenere conto anche del tempo speso viaggiando da un posto all’altro, però in ogni caso passo la maggior parte del mio tempo lavorando e preparando cose. È piacevole, perché comunque è quello che mi piace davvero fare, per cui a volte non sembra davvero un lavoro, e tutto quello che faccio, credo e ne sono convinto, è mirato all’avanzamento del genere, per cui è davvero dedicato all’idea che ho di quello che facciamo, non conta quanto noioso, lento o complicato possa essere, aiuta la musica elettronica a essere esposta a persone che probabilmente non le avrebbero prestato attenzione se non avessi fatto determinate cose, per cui penso ne valga la pena, e spero di riuscire a mantenere questo ritmo di lavoro per il resto della mia carriera. Sono convinto che troverò un modo di riuscire a produrre musica fino alla fine.
Beh io spero davvero che tu lo faccia. Dato che abbiamo toccato praticamente tutti gli argomenti di cui volevo parlare con te, penso di poterti lasciare alla tua agenda che immagino quindi sarà piuttosto densa, e vorrei ringraziarti per tutto il lavoro e gli sforzi che hai fatto finora per la nostra scena e per questo genere. Come nota finale, non è una cosa di cui davvero volevo chiederti, ma come italiano sento il bisogno se non altro di chiederti scusa di nuovo per quello che è successo nel 2013, quando hai dovuto fermare uno show dopo che dal pubblico ti avevano lanciato un oggetto.
Beh, sai, le generazioni cambiano, e a volte hai persone nel pubblico che sono nuove a questo tipo di esperienza. Quella sera il pubblico era molto giovane, e probabilmente non era molto educato su come comportarsi in quel tipo di contesto, semplicemente non sapeva che non era la palestra di una scuola ma una situazione sociale. Ci sono alcune cose che tollero, e alcune che non tollero: quando un DJ sta suonando, ha la testa abbassata, le luci addosso e la sala è buia, non puoi lanciargli cose, perché in quel momento è così vulnerabile che può succedere di tutto, per cui dovevo chiarire che semplicemente è una cosa che non si può fare, è troppo pericolosa. La musica elettronica non è arrivata dove è arrivata grazie a persone che fanno cose di questo genere, dev’esserci del rispetto, un modo ragionevole di comportarsi quando sei in questo contesto, e credo che quella persona semplicemente non lo sapesse, e che non fosse al corrente del fatto che non puoi fare qualcosa del genere perché è troppo pericoloso. Sai, non era neanche la prima volta, mi è successo un paio di altre volte quello stesso anno, e in un’altra occasione qualcuno mi ha lanciato una bottiglia e mi ha quasi colpito, e so di alcuni altri casi in cui è successo anche ad altri DJ, per cui magari è stato solo quell’anno che alcuni ragazzini hanno raggiunto l’età in cui si comincia a uscire e a socializzare, e forse non avevano ancora realizzato come comportarsi. È stato semplicemente uno di quei momenti in cui devi insegnare qualcosa, che sfortunatamente devono succedere.
Già, per me e per chiunque altro sia stato in un club più di una volta è ovviamente qualcosa di evidente, ma apprezzo comunque lo sforzo che hai fatto per cercare di educare il pubblico.
Credo che a volte molti di noi diano per scontato che dato che le persone entrano in un contesto sappiano già come comportarsi, ma credo che a volte ci venga ricordato che alcune persone non lo sanno, e dovevo chiarire in maniera molto forte che ok, sono il DJ e sono pagato per suonare, ma voglio anche tornare a casa sano e salvo, non conta quanto venga pagato, perché se c’è un rischio che mi faccia del male ci penserò due volte ad andare a suonare in un posto. Deve essere piacevole, non è un concerto punk, per cui se è questo che vogliono dovrebbero semplicemente andare da qualche altra parte, dobbiamo mantenere il controllo, siamo civilizzati anche se siamo animali, semplicemente non si lanciano le cose a quel modo.
Grazie, apprezzo molto il messaggio educativo che hai voluto dare e anche il messaggio educativo che dai da sempre con l’esempio del tuo lavoro, quindi grazie davvero per tutto quello che hai fatto finora e per il tempo che mi hai dedicato.
Grazie a te.[/tab]
[tab title=”English”]Jeff Mills is an alien. We’ve all thought so at least once, seeing one of his performances on the edge between DJ set and live show, where the huge amount of stuff he does makes it it feel like he has at least four hands, or just checking out the amount of projects he has in the works: above all, however, we thought so during the long phone chat we are reporting here, during which the huge admiration we have for him reached unimaginable heights. Only an alien, in fact, can be able not only to take up projects apparently very far apart like “Exhibitionist 2” and a performance with the BBC Symphony Orchestra, but also to communicate with such passion the ideas between both of these projecs, and to explain how the distance between them is actually way less than we imagined. Speaking with him, we understood that there’s one single constant throughout all Jeff Mills’ artistic production: research, experimentation, the idea of trying to do things in a different way if only for the taste of not doing things the same old way, even (and maybe above all) when the outcome is not what you were expecting. It’s because of this attitude, and not just because of his productions and his DJ sets, that Jeff Mills is an example for the new generations and that we are so excited to present this interview to you.
So, you have a whole lot of new projects going on these days, and the first one I’m really curious and excited about is “Exhibitionist 2”: I’ve read you describe it as “an exercise in spontaneity”, do you want to elaborate on that?
Yes, I wanted to focus on that because we don’t usually pay that much attention to it in electronic music, because of the way, I think, machines are designed for you to program and of the way we produce music in this genre, but there is an aspect of improvisation, where you play the machines basically like an acoustic instrument, and that’s really quite rare. I thought that it would be interesting to display, it may give some producers, or some DJs, some ideas to expand upon it.
That’s really interesting to hear because I’ve seen you play live quite a lot of times and I never thought of you as much of a spontaneous artist, it always felt like you were in total control of what was happening and everything was meticulously thought about, but then when you mention the idea of playing the machines like they were acoustic instruments I can understand what you mean.
You know, my attempt has always been to be able to create a very special type of atmosphere, and it can be done in many different ways: it can be done with the type of music that one plays, and that can be prepared, I kind of prepare music for different situations, but then there’s also the aspect of spontaneity and doing things that kind of go beyond the natural method of just mixing one track after the other. When using a drum machine along with the cd players and turntables, you’re able to break away from it, and you basically create something new in the moment, in real time, and I know for sure that most producers are capable of doing that, and the equipment that most guys are using is capable to do it, it’s just that perhaps they’ve never seen a really good idea of how that can be done, and I think that maybe what I was doing with my drum machine might give people some idea of how to take and to interact with it. It would be my hope that the average DJ set is much more than just mixing music together, it can become, I guess, closer to a live set.
Well, that’s the impression I’ve always had when I’ve seen you play live. Another aspect that really got me curious about the “Exhibitionist 2” project is that you’re going to release it as a double cd plus dvd package, and it’s not something that’s really that common, these days, as the typical user experience nowadays seems to just go to a digital store and purchase music to download, so it feels to me like physical objects are becoming quite rare in music, but still, I’m keen to have the “Exhibitionist 2” package at home, so why did you decide for this release format?
Because we, meaning me and the record label we own, you know, we like to make things, we really enjoy creating things for people, we really like the idea of giving attention to detail, like the materials, the design, you know, we really like the craftmanship of that, and we also know that for us, for Axis records, there are a lot of collectors, I’m a collector of many things myself, and it can be very nice to have something that you can physically hold in your hand, as opposed to downloading it on your computer, something you can put away and sit down and look at, you know, something you fall into, rather than something you can stream and download, we wanted to have something that you can open up, and touch, and pull out; we still think that there’s a value in that, so we preferred to, I guess, do it the hard way and make something, and ship it, and that kind of things.
I see some relationship here, between what you said about a DJ set being more than just mixing tracks and producing a project like this being more than just producing the audio, since you have been taking care of all the design, and the packaging, and so on.
Right! I mean, it’s the whole thing, we really take time to sit down and consider everything, even the promotion, we’ve started working on that months and months and months ago, it’s just the craft of electronic music, you know. We know that people are exposed to many different types and levels of electronic music, but this level, we think it’s just the most creative level, and we’re trying to use the resources that have been developed over the decades about how to create something, and we realized that the listener is a bit more advanced, a bit more mature than, say, twenty years ago, so that affected the way we say things, the way we present things, we really put a lot of thought into it.
Then there’s another project you’ve got in the works which is coming pretty soon, which is your performance with the BBC Symphony Orchestra, and I see a very interesting aspect in that: we’ve just said that “Exhibitionist 2” is about spontaneity and improvisation, while playing with an orchestra feels to me like the least spontaneous thing in the world, I mean, you must have been rehearsing a lot, is that so?
Well the way that I’m doing it is that I’m really improvising, literally. My whole part is improvised, so it’s never the same; the orchestra of course is playing on a score, but how I interact with the is something that I’m kind of making up in the moment, so it’s never really the same, and I’m listening to what the musicians are doing and trying to emphasize it, but it’s really basically the same as what I have been doing with drum machines on the dvd. That’s very different, however, as there’s a certain type of freedom that one doesn’t normally get when working with an orchestra and a conductor, but in my case I’m free to do whatever I want.
So in a way you’re not just a musician in the orchestra, but you also somehow act as a conductor for your music and also for the orchestra itself; I mean, do they just play their score, or do they also have to follow you somehow?
The orchestra’s tempo is tied to my drum machine, so the drum machine sends out a click which goes to the orchestra’s conductor who then directs the orchestra, and the musicians can also hear that tempo in their headphones, and then there are times in the performance where I’m soloing, so I’m also a soloist as well. And then of course I’m a musician in the orchestra, but I’m also able to do whatever I want at any time; I also wrote the tracks and they were arranged for the orchestra, so I’ve been playing many different parts in this project.
Something else that strikes me when seeing you play with an orchestra, which is something that you’ve been doing for a while now, is that somehow the feeling I get is that there is a kind of, I wouldn’t say “friction”, but there’s a kind of contrast between techno, which has always been a futurist genre, and what you typically associate with orchestras, which is in a way related to history and to the past, so is this contrast really there?
The contrast is probably not as much as one would think, actually. I mean, both kinds of music are really structured in telling some kind of story, or creating the soundtrack for some type of setting, or applying sound to some type of topic, or subject and playing it out in a scenario, so there is that type of similarity. In some types of electronic music then, especially in Detroit techno, we tend to use string arrangements in very much the same way as an orchestra does, and there’s a certain type of elegance in some types of electronic music, a certain type of structure in the way that sounds work together; these are just some of the things that I’ve discovered in working with an orchestra that made me realize that the distance is really not that far, and the conversation is not as much in contrast as one would think; if I think about other genres, like hip-hop, or rock, the contrast is probably much greater. Some classical pieces are actually quite minimal, you know, where the tempo does not change, so there’s that, and I also think the mentality of the average classical musician, in comparison to the way we think about electronic music, is nearly the same: both are very serious about what they do, and there’s an artistry that goes with it, so it’s very easy to communicate because of the way we take each of our arts very seriously. When I first met with the arranger and the conductor, it was pretty much a consensual and very balanced type of conversation, because I could explain very much the reason way I made my composition the way it is, what the sounds really represent, and they understood it very easily, so it was a very fluent conversation, and it’s a very fluent type of interaction that I’ve had with these musicians, so that’s one of the reasons why I’ve had so much success doing these kind of shows in the past decade and got to the point where I’m now creating original scores for an orchestra. I now see this as something that will continue, it may be very well possible that other electronic musicians do the same, because the groundwork, the foundation, basically has been laid, and I’m sure that there are many other musicians that have different ideas and different ways they would do it, and I know that many orchestras are open to the idea, so yeah, I think that this is just another option for electronic music to be played.
And it also feels like a way to expand the audience of electronic music and of classical music as well, since I guess there’s people used to classical music who never listened to techno and vice versa.
Right, I mean, in electronic music we can’t expect everything to stay the same all the time, we have to look at where we came from and we have to look at how much more opportunities there are for us to be able to use this music. We can’t always assume that everything is going to be the same as in 1990, and we live in different times, a different era, and people communicate in different ways, the world is spinning a little bit differently, so I think we have to exhaust all the possibilities and we have to look at all the different ways of how this music can be considered; some ideas won’t work, but then some ideas may stick and we just don’t know what may be possible, what may be beyond this idea of mixing electronic and classical music together. Maybe someone will come up with an idea of making classical instruments with more electronic music features, we just don’t know what could be possible, but I think that at the beginning of the century we’re just fifteen years in, we just have to assume that if we continue this way, things will be developed, people will start looking at these two genres differently, and this is the main reason why I’m doing this, to kind of push and progress the genre, to expand it so that it can appeal to more people and it can go on, you know, forever.
Yeah, and then as you said, you don’t really know what is going to work and what’s not, so I think it’s a great approach to just experiment and try things out and see what happens.
Yes, that’s how we got here with electronic music, we were just using things in different ways, we were fooling around with drum machines until we got to some point where we had this universal language and we’ve seen that a certain way of making this music using these machines worked, because we could speak to people in many different countries, and that’s how we began to spread it from Chicago and Detroit to New York and so on, and I think that there are many other things that we can do, and many other ways that we can use music to interact with people.
Speaking of electronic music spreading away from Chicago and Detroit and in general the US, I’ve recently read an interview on the Guardian where you mentioned that what you’re doing is not getting much consideration back in the US.
Yes, well that’s actually only in my case. It seems to be apparent that it really depends on who and in some cases what you are, it’s that that makes a difference. If you are European and white and male you probably have more chances of being successful in that country than, say, someone who is afro american and living in Detroit, and I think that in the end it’s really the people who decide, the listeners, the customers that listen to electronic music, EDM or whatever. My comment was based on the fact that you have a very sizable community of producers and DJs living just in Detroit, not even in Chicago or New York, you have a pretty good concentration of producers that have been doing this essentially for decades, and the way they have such little exposure domestically is just amazing, actually it’s unbelievable. There are certain similarities between all these guys – we all grew up in the same area, we’ve all pretty much been exposed to the same influences, we’ve all done pretty much the same things throughout our careers, and there have been lots of successes and lots of achievements, and none of these is really recognized by the country we started in. It’s nothing new, because I’ve seen and I hear that it’s the same with British producers and DJs who can’t seem to get any attention in their country, or German DJs, it happens – but when you have such a concentration of guys in one city, and the city is pretty much on the tip of everyone’s tongue and everyone’s talking about the city but then they’re not really talking about the music that comes from it, although it’s one of the successes that actually comes from the city; how that can happen is just really incredible, I have to imagine that it’s intentional and that it’s something that people just don’t care for. Maybe it’s not the case that it’s done on purpose, but perhaps the style of music is just something that the average american, the average young american doesn’t understand, so that’s what I meant with my comment; it’s not that what I’m doing is bad, or it’s not that it’s not good or something, it’s just that the credibility of this is just not there, I think; my record label is still based in the US, most of the guys from Detroit still live there or in the vicinity of it, they’re still working, still producing, still traveling, still creating things, but there’s very little coverage, even from electronic music media in the country. I’m just raising the point because perhaps many Europeans don’t realize that when we go back to our country it’s almost the complete opposite of what happens here outside the US.
Speaking of the fact that all of the producers from Detroit kind of grew up together giving birth to a local scene that is still there, it feels kind of strange now: I remember some years ago it felt like there were not going to be local scenes anymore, like the Internet, MySpace and so on would disrupt the idea of local scenes forever, but then local scenes seem to be still happening, not only in Detroit.
Detroit is a terribly large city but because of the club scene it brought certain people from different parts of the city together, I’m speaking of like the late ‘70s or the early ‘80s; if there was a party or some type of music event that was happening you were going to have certain types of people, and that’s how we got together to get to know each other, so it happened pretty much like that. The way the city was structured, of course, you would have many different neighborhoods, but they would be structured basically the same way, so the influences you would have would pretty much be the same if you looked to the East or the West side, or the North or some of the South, the structure of the neighborhoods was not too different, so if you would go to your corner store to buy candy or something like that, the distribution of those things, of all the things that you would be interested in would be the same, so a comic book that would be distributed on the West side would also be distributed on the East side, and we also watched basically all the same tv shows and movies that came out at a certain time, and so we all have these types of similarities and our interest was music and specifically dance music, so there would also be some similarities in the type of equipment we would access to, since if you’re young and you don’t have much money you would basically end up buying all the same machines; we kind of all figured out how to program them so there would also be some similarities in the way the music came out. I’ve known some of these guys for more than forty years, I just think it’s quite unusual that we all kind of worked independently with different directions and different agendas, and I always thought that if that happened in California, or New York or any other part of the country maybe it would have been more attractive, but perhaps it’s because it happened in Detroit and with this group of guys that it’s somehow appealing to a public…i don’t know! We as a country are very knowledgeable in terms of music, because so many genres have been born in the US, you know, like jazz, blues, rock, but also gospel, country and everything else, and that may be true, but what I’ve seen, especially with jazz for instance, is that we don’t really take care of it, we don’t really preserve it, we don’t really give it the type of appreciation that I think it should have, I mean – even with the case of Detroit and Motown, if you go to Motown now, you will see very few signs that Motown was even there, which is crazy if you think about how many successes that company and Berry Gordy and all those artists have had. It just doesn’t make any sense: if you go to Nashville, Tennessee, there’s much more about country artists coming from there, but Detroit can’t even find a way to capitalize on what the city created. We don’t take care of things very well, we don’t appreciate things, we don’t preserve things, I guess the interest is just in something else, I guess electronic music has always been nurtured and groomed by Europeans, not by Americans, and that explains why we’re mostly over here and not there.
Well, from my European point of view, I’m kind of happier to have you guys over here than over there.
I know that most of us wish there could be more balance, because we are Americans, we grew up there, it’s a very large country and many things are possible, but because of the strange history of the country some things are just not accepted because of the way things have always been; anything new, anything different and anything outside of what people expect is usually ignored, and sadly I think Detroit techno is something that people are just not compatible with, they just don’t understand, basically they just don’t want it.
Moving back to your current and future projects, there’s actually two more that I know of and I’m really curious about, and they’re actually both happening in Amsterdam: I know you’ll be composing music in the Rembrandt Huis, which kind of relates with what you said earlier about techno and electronic music being suited to soundtrack situations and places, so is that the case for this project?
Yeah, it is, the idea is the occasion of soundscaping, or soundtracking a certain type of atmosphere: it’s something new for me, I haven’t done that before, but I think the result can be quite interesting, to be inside a space that has so much history and so much significance for a particular art form, and to use electronic music to try and catch that atmosphere, to try to imagine what went on, what happened in that space. This is what I’m going to try to do in the studio where Rembrandt was painting many of his works, which he would take down to the first floor, where he had kind of a showroom, where people would come in and buy them, he was pretty much an entrepreneurial painter, he did everything by himself, he painted on a floor of the house and had his showroom on another, then he also lived on another floor, his family was there too, and his doing pretty much everything himself is kind of what we do in electronic music, we take it upon ourselves to draw all the aspects of it, so I thought this was quite interesting. And when you do something like that, your studio becomes basically what everything revolves around, so it’s extremely important how your studio or your area where you create is positioned, so that brought me to the idea of being in the space, looking at how the sunlight comes into the window, how it affects the canvas, how it changes mixing the paint, since he mixed the paint on one side of the room, than he brought it over to the other side and applied it to the painting, to create something, and it’s pretty much the same as how I produce music in the studio, so this is what i’m trying to do.
That’s really interesting, because in my opinion it’s something that’s often overlooked, how the space around you affects the music you create.
Yeah, it does, greatly. The amount of sunlight that you get really plays a role, I mean, I typically try to produce as much music as I can at night, because, you know, everyone is asleep, the phone isn’t ringing, everything is more calm, so I can concentrate much more; I usually put my studio in a room that has very little to no windows at all, and that really plays a role on how much I’m able to kind of lose myself in terms of time. I think in Rembrandt’s case the sun was very important, the sunlight in the room, and the sun was the strongest on the windows between 8 AM and 1 PM, so after that the sun then moved over the house and the sunlight became different, so I would imagine that he would probably do most of his work during those hours, and it’s in that hours that I’m going to compose music.
Then there’s also a component of getting into a space that you didn’t design yourself and providing your own musical interpretation of it, which in a way feels to me like what you usually do as a DJ when entering a club.
That’s correct, I mean there’s a bit more measuring going on in that case, there’s the temperature and the humidity involved, there’s what happened before, what the DJ before you just did, what’s going to happen after you and so on, you know there’s many different circumstances that a DJ has to calculate kind of quickly before he starts, but in a way it’s the same, you get into a space and you begin to map it, to calculate it and figure out where to start from.
But then probably, once you’re an experienced DJ, all these calculations don’t even happen on a conscious level: you just kind of know what’s going on and you’re able to improvise based on that without actually consciously being aware of it.
Yeah, exactly.
Then there’s another project you’re about to run in Amsterdam which is taking the Time Tunnel project there, which you’ve already been running for a while in Paris.
Right, I’ve had a residency for two years in Paris where I tried to create and to present the idea, and this is really the first official Time Tunnel outside of France, so it’s quite interesting. It’s really about music in general, not just dance music: every hour gives me the opportunity to explore a different time, a different era, and to – not teach, but to kind of bring music to the attention of others, and to kind of explain how we got here, up to this point, from a historical point of view.
And that’s interesting thinking of what you said earlier when you mentioned that to push the boundaries of a genre sometimes you need to look back to how you got to the point where you are.
Right, I can imagine someone hearing something that they just weren’t aware of, or that they never heard before, because I’ve been playing so many different types of music, and you know, I think a DJ can’t really ask for much more than that, I’m going to play six to seven hours and every hour I’m able to change to whatever I can dream of, that’s the concept of the night, and eventually it may end up that people start dancing unconditionally, and they just realize that the concept is about different music and that’s really what I think any DJ would like to have, it’s really like the ultimate type of concept, because you have so much freedom, it’s just amazing.
Speaking of freedom when DJing, by the way: have you ever felt constrained by the audience’s expectation, as if the audience kind of required you to always play “The Bells” in every set?
Well, I know that people really anticipate to hear “The Bells”, it’s become something that people are really wanting to hear, and in a way it’s something that i always want to play, because I know that that reaction will give me the opportunity to go on to other things, but other than that…no, I feel if I can find the way to make the transition into it, or to program it in a way that it feels interesting, then I don’t feel any constraint, and it’s even less so in composing music. I mean, I try really hard not to do the same thing over and over again, so my studio is designed so that I kind of have to piece it together every time I want to make music, it’s not something where I just flip one switch and then everything comes on, and I do that purposely because I want to be able to start from scratch every time, so I actually make an effort not to make it too much the same, that’s the idea of the whole “Sleeper Wakes” series, to give me the opportunity to explore and do things differently with every album and every track; I’m working on a different album now called “Freeform”, and it will encompass acoustic percussions, which is something I’ve never really worked with, there’s a lot of them in it, and they’re played in a very exotic and strange way. I try to take as much liberty as I can, and as far as DJing is concerned, I really like to try to storyteller in my DJ sets, and I’m often thinking about science fiction, and looking at the scenario, and the people in the room, the flashing lights, so my idea is often “what can I do to try to change the atmosphere in this room, what can I play to keep people dancing but make them feel different?”, and that happens not just with Time Tunnel but also in my average DJ set, so using a drum machine was one idea, using multiple cd players or turntables to layer music was another, making music specifically for certain DJ sets that I can treat like I’m in the studio was another idea, really it comes and goes, it really depends on the ideas that I have, what I can get my hands on in terms of technology, but I’m always thinking about what I can do to make it different, that’s for sure, and that’s something that I think is necessary.
I see a recurring theme now in our conversation, which is the necessity and the desire to “try new things”, and you mentioned that some of the things one tries will work, while some won’t. How do you decide that something is actually working? How much of a perfectionist are you?
Well, when things don’t work or I make a mistake, I don’t really hang on to it much, I generally prefer to think of it as learning; if something doesn’t work I’m generally more interested in trying to find out what the problem was and then to correct it or anyway I will definitely revisit it at some point. So in the end nothing is really a failure, you know, it can be basically be a lifelong progression, it’s just the way things work, not everything is going to be a success, and not everyone is going to like everything that they hear or everything that they experience, but I probably will have learned a lot from that experience, and that’s enough to make me able to move on to the next thing or to revisit it at some point once I figure it out. I mean, playing with a classical orchestra was one thing that didn’t work at first, the conductor and the musicians did not understand what I was trying to create, it just didn’t work, but I kept trying to bring ideas, and eventually I had another opportunity to do it, and it worked, and then we went on from there. It’s just a way of contributing to the enhancement and the progression of the genre, I’m very much interested in trying to create new things and trying to put new ideas in front of people so that they can try and expand upon them so that we can take giant steps and not just stay at a certain level and do the same things over and over. I think it’s important to realize the roots of where we come from, but I’m not convinced that everybody should always stay at the same level and stand at the same position, some of us can move on into many different directions and in the end it really helps the genre because it creates a much wider platform, so I think that’s what I’m trying to do.
That’s true, especially the fact that there’s really no such thing as a failure, because even when something doesn’t work out in the end you get to learn something in return from that experience.
Yes, and something that actually turns off a lot of producers and DJs is the disappointment from your audience, and that’s kind of hard for some people to accept, when your audience tells you that they hate it, that they don’t like it, and you’re in the people business, and you’re trying to make people enjoy the occasion, sometimes that doesn’t come out that way, that can become hard to take, so I would imagine that a lot of producers and DJs aren’t willing to take that type of risk. So, it’s not for everyone, I don’t think that every producer and every DJ needs to work in this way, but some of us that are capable and interested in it, I think we should exhaust all possibilities for any chance to create something new.
Speaking of exhaustion, you have a very wide range of output, we just mentioned the upcoming projects you have, and I assume you also have lots of other stuff going on that we probably will never see because it will turn out to be just experiments you used for learning, as we just said, so how do you handle doing that much stuff? Sometimes it feels to me like in your average month there’s more than what’s in entire careers of “normal” people.
I have a very full career, some things the public can see and many things the public cannot, because most of it entails a lot of planning and preparation, so I have a very full, healthy and strong schedule of work, but in a way it’s always been like that: even when I was very young and worked on the radio in Detroit, my radio show was six days a week, two or three shows a day, which meant that I never went home, so even throughout Underground Resistance and the early days of Axis I’ve always worked constantly, literally around the clock, we would have sessions at four o’clock in the morning that lasted until four PM, we would produce a tremendous amount of music in a very short time, we had multiple recording setups so that we could record two or three tracks at the same time. Not much has changed, I have a few people that help me materialize things, and working with people for so long everyone kind of understand the pace and what to do for certain things and it gets a little easier, but on my day to day calendar, in an average month, there’s really much more than people probably realize, and then the traveling between places also takes time, but I really spend most of my time working and preparing. It’s enjoyable because it’s really what I like to do, so at times it doesn’t really seem like a job, and all of, I believe and I’m convinced, it is working towards the enhancement of the genre, so it’s really dedicated to the idea of what we’re doing, no matter how tedious, how slow and how complex it can be, it’s helping electronic music to be exposed to people that probably would not have paid attention to it if I had not done certain things, so I think it’s worth it, and I hope that I can keep up this pace and manage this throughout the rest of my career. I’m convinced that I’ll find a way to be able to produce music until the end.
Well, I sure hope you do. So, since I touched all the topics I wanted to cover, I think I can probably leave you the crowded schedule you just mentioned and not take any more of your time, but before that I wanted to thank you, a lot, for all the work and the effort you put so far in our scene and in this genre. As a final note, I didn’t really want to ask you anything about this, but as an Italian I feel the need to apologize for what happened back in 2013, when you had to stop playing after being hit by an object thrown from the audience.
Yeah, you know, generations change, and sometimes you have people in the audience that are new to this, that night the audience was very young, and they just probably were not very educated on how to be in that type of situation and they just didn’t know it was not a school gymnasium but it was a social situation. There are some things that I tolerate, and some things that I don’t: when a DJ is playing, his head is down and the light is position on him and the room is dark, you cannot throw things, because that person is so vulnerable that anything can happen, so I just had to make the point that you just cannot do this, it’s too dangerous. Electronic music did not get this far by people doing things like that, there had to be some respect, some reasonable way to act when you get in that setting, and I think that person just didn’t know, and they weren’t aware that you can’t do things like that because it’s just too dangerous. You know, that wasn’t really the first time, it happened a few times throughout that year, and in another case someone threw a bottle at me, and it almost hit, and I heard of a few cases where it happened to a few other DJs, so perhaps it was just that year when some kids were coming of age and starting to socialize, and they probably did not realize how they had to behave. It’s just one of those teachable moments, that unfortunately had to happen.
Yeah, to me and to all other people who had been in a club more than once what you just said was of course already evident, but I still appreciate the time and the effort you spent to try and educate people.
I think maybe many of us assume that since people get into that setting they already know how to act, but I guess we are reminded that sometimes some people don’t, and I had to really make a point that I am the DJ, I am hired to play, but I also want to go home safe, and it doesn’t matter how much I’m getting paid, because if there’s a risk of me getting injured, I’m going to second think about even being there. It’s supposed to be enjoyable, it’s not a punk concert, so if they want that they should really go somewhere else, we have to be in control, we are civilized even if we are animals, so you just don’t throw things like that.
Thanks, I really appreciate the teaching message you wanted to gave as well as the teaching by example you’ve always been doing with your work throughout your career, so thanks a lot for that and for the time we just spent talking.
Thank you, take care.[/tab]
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