“Sono affascinata dall’infinito che è in noi e che racchiude idealmente una libertà creativa sconfinata”
Jerrilynn Patton, in arte Jlin, è una persona bellissima. In occasione del Sónar Festival 2017 abbiamo avuto l’occasione di intervistare la giovane produttrice americana di casa “Planet Mu”, scoprendo una donna che ci fa entrare nel suo personalissimo modus operandi, fatto di profonda creatività e condotto da un senso di spiritualità che non era del tutto deducibile dall’ascolto del suo ultimo album “Black Origami”. L’album, che consideriamo non meno di un moderno capolavoro di stile, si muove – è proprio il caso di dirlo visto che il movimento sarà una delle parole più citate da Jlin – su coordinate stilistiche assolutamente trasversali, rielaborando i paradigmi elettronici degli ultimi dieci anni. Si approfondisce la genesi del lavoro ma sopratutto si fa un discorso più generale su quanto conti seguire le proprie pulsioni più profonde.
Sei molto attiva sulla tua pagina facebook: parli di ciò che ti accade e dai anche consigli musicali ai tuoi sostenitori.
Sì, mi piace interagire con le persone che mi seguono su facebook. Per me è importante avere uno scambio di opinioni su ciò che faccio, lo trovo stimolante. I social network facilitano la cosa, quindi è un modo come un altro per comunicare.
In uno dei tuoi ultimi post hai scritto che sei una produttrice intuitiva più che una che bada alla tecnica. Questo approccio libero si sente molto nella tua musica, trovo che “Black Origami” sia un disco spericolato.
Grazie, mi piace questa tua descrizione! Ti confermo che metto in musica tutto ciò che sento, è qualcosa che accade naturalmente. Non intendo solo l’umore del giorno, ma proprio l’essenza del mio essere in un determinato periodo. Nel mio ultimo album, “Black Origami”, c’è proprio la Jerrilynn di oggi, la traduzione dei miei sentimenti in suoni, nel modo più naturale e libero possibile.
Sento che in “Black Origami” c’è anche molta creatività, oltre che libertà compositiva. C’è dentro qualcosa che sa di footwork, il break-beat, la musica tribale, persino certa IDM, ma il risultato è più della somma delle singole parti.
“Black Origami” sono io, nel mio stato attuale. Sono contenta di sentirti dire queste parole, perché io non mi sento una produttrice footwork, né riesco a catalogarmi in qualche altro modo particolare; mi piace avere a disposizione illimitate possibilità di composizione, sono affascinata dall’infinito che è in noi e che racchiude idealmente una libertà creativa sconfinata.
Qual è la tua posizione nei confronti della scena footwork di Chicago?
Io vivo in Indiana, quindi mi sento un po’ come la vicina di casa dei ragazzi di Chicago. Questa distanza mi ha permesso di entrare in contatto con il loro foorwork, pur rimanendo esterna alla comunità, che ha i propri confini proprio nella “windy city” (uno dei soprannomi di Chicago NDR). Probabilmente, il mio stile è frutto di questa particolarità geografica: ho avuto la possibilità di elaborare il ritmo a modo mio, senza essere influenzata in modo diretto da alcuna scena.
Raccontami come sei finita su “Bangs and Works” dell’etichetta Planet Mu; i due volumi della compilation furono una sorta di primo faro che illuminò il footwork, facendolo conoscere a una platea più allargata.
Anche a quei tempi vivevo in Indiana, quindi comunque al di fuori della comunità footwork; i miei pezzi nemmeno rientravano compiutamente nel genere, ma fui comunque molto grata a Mike Paradinas (il fondatore di Planet Mu NDR) per avermi considerata nel progetto. Mi contatto perché avevo caricato della musica sulla mia pagina facebook, gli piacevano i pezzi e mi propose il progetto “Bangs and Works”. Come puoi immaginare accettai subito! Se oggi riascolto quella musica, sento che il mio suono era già in evoluzione verso qualcosa di diverso, probabilmente proverò la stessa cosa tra qualche anno quando riascolterò “Black Origami”.
Il tuo album di debutto sulla lunga distanza, uscito nel 2015, si chiama “Black Energy” mentre da poco hai dato alle stampe “Black Origami”. C’è un richiamo al nero in entrambi gli album. A cosa ti riferisci? Forse alle tue origini afroamericane.
No, non ha a che fare con l’Africa né con l’America, piuttosto è qualcosa che riguarda la mia parte più nascosta, il mio spazio personale nel quale mi rinchiudo quando produco. Non saprei descriverlo bene a parole, è un processo in cui mi leggo nel profondo, delle volte è anche doloroso, come immergersi in una zona d’ombra per creare qualcosa di luminoso.
“Immergersi in una zona d’ombra per creare qualcosa di luminoso”, suona come una roba molto spirituale.
E’ così, si tratta proprio di questo, la spiritualità fa parte di questo mio processo creativo, assolutamente. Il mio spirito è in tutto ciò che faccio, se dovessi darti delle percentuali direi che per il 98% riguarda me e il rimanente 2% è musica. Ma sarebbe così anche se facessi altro, ho la necessità di creare un dialogo profondo e spirituale per comunicare davvero, altrimenti non ci sarebbe processo creativo ma solo calcolo.
C’è stato un momento in cui hai compreso che saresti stata nient’altro se non una musicista?
Sì, nel momento in cui sono scappata dalla mia vita. Quando frequentavo l’università ero sempre giù di corda, depressa, la musica era il mio unico rifugio. Mi feci forza e abbandonai gli studi, di colpo, per dedicarmi a quell’unica cosa che mi faceva stare bene, che mi rendeva libera. Ma non rinnego nulla del mio trascorso, perché credo che ogni tappa sia stata importante per rendermi ciò che sono ora: le cose buone, quelle spiacevoli, anche quelle più che spiacevoli, sono servite per comprendere chi fossi davvero. Questo processo di immersione in me stessa non si è ancora concluso, credo che proseguirà così fino a quando vivrò.
Tra le tue fonti d’ispirazione per la realizzazione di “Black Origami” c’è anche la danza, vero?
Sì, ti racconto com’è andata: era il 2015 e avevo appena dato alle stampe “Dark Energy”. Mi contattò l’artista e danzatrice indiana Avril Stormy per dirmi che era stata ispirata dai miei suoni a tal punto da aver costruito su di essi dei balletti. Quando assistetti ad alcune sue prove rimasi così colpita; lei riesce a trasformare il mio suono in movimento! Siamo diventate amiche e ci siamo ritrovate così tanto l’una nell’altra che in “Black Origami” c’è della musica che è stata prodotta pensando a lei, in una sorta di tributo inconscio.
Nel pezzo “Holy Child”, contenuto in “Black Origami”, hai collaborato con William Basinski. Ci racconti com’è andata?
Un amico in comune ci ha fatto conoscere, William Basinski è un vero mito, quindi puoi immaginare il mio imbarazzo iniziale. E’ una persona speciale, venne a trovarmi in occasione di un mio show senza dirmi nulla, mi si presentò davanti dopo l’esibizione, mi abbracciò e mi disse che dovevamo collaborare. Poco dopo mi mandò una sua base molto eterea che sembrava perfetta per “Black Origami”, aggiunsi del mio e gliela restituii. Passarono tre giorni in cui non pensavo ad altro che alla sua risposta, poi arrivò e fu semplicemente un suo “wow”. Mi sento ancora emozionata per com’è andata!
Invece nel pezzo “1%” collabori con Holly Herndon.
Holly è come una sorella per me, è fantastica. L’idea di essere io e lei in una traccia ci elettrizzava! Anche in questo caso la collaborazione è avvenuta dalla distanza, rimbalzandoci il pezzo via e-mail. Ci piacerebbe molto collaborare dal vivo e magari fare qualche data assieme; abbiate fiducia che ci stiamo lavorando.
Quando produci hai tempo di ascoltare anche altre cose, magari produzioni di tuoi amici, oppure no?
No, cerco di isolarmi completamente; poi è inevitabile ascoltare qualcosa che magari ti mostra percorsi prima impensati, che ti cattura. Però di base sono più interessata a quel processo di lettura del mio io più intimo del quale parlavamo prima. Inoltre, l’ispirazione può arrivare da qualunque cosa, l’acqua per esempio è una mia grande ispiratrice, perché è in continuo movimento, anche quando appare immobile in realtà scorre, si adatta oppure è distruttrice, ha una variabile amplissima di stati e di forme.
Cosa possiamo aspettarci dalla tua esibizione al Sónar 2017?
Non so cosa suggerire, l’importante è che non vi addormentiate…
Beh, con la tua musica non è mica possibile!
Grazie (ride NDR), Jlin darà tutta sé stessa e scoprirete la sua essenza.