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[tab title=”Italiano”]Prendiamo un luogo, diciamo Stoccolma, fulcro di quella Svezia che insieme all’Olanda sembra essere regina incontrastata dell’industria della musica dance degli ultimi anni. Prendiamo un ragazzo cresciuto in una famiglia dalla rispettabile tradizione musicale. Diciamo che siamo a cavallo del millennio, il ragazzo ha più o meno 15 anni, e scopre la musica elettronica: il gioco sembra fatto. Inizia così la storia di John Dahlbäck, che si trasformerà presto in una solida carriera costruita a suon di produzioni, passo dopo passo, senza eccessiva ambizione, ma con grande personalità. Oggi, a 30 anni, si appresta ad aggiungere un nuovo album alla sua già lunghissima discografia, e ci è sembrato un ottimo pretesto per farci una chiacchierata.
Hai iniziato a fare musica da giovanissimo, suppongo tu sia stato fortemente ispirato dal tuo ambiente familiare: in che modo la tua famiglia ha contribuito a sviluppare il tuo interesse per la musica?
Si, mio papà è un batterista e mia mamma è una cantante, quindi naturalmente sono cresciuto ascoltando un sacco di musica a casa. Lo facevamo spesso in salotto, credo non sia una cosa che fanno in molti. Solitamente la si tiene come sottofondo, ad esempio mentre si cucina, per noi invece è sempre stata il focus. Ascoltavamo un sacco di musica classica, jazz, soul, rock, ero un grande fan dei Guns’n’Roses, mi piaceva anche l’hip hop, poi intorno ai 13, 14 anni ho scoperto l’elettronica, soprattutto grazie a mio cugino, Jesper Dahlbäck, che mi diede un album che aveva prodotto. Quella è stata la prima house che abbia ascoltato, e l’unica che ascoltavo in quel periodo. Ho iniziato a fare musica da piccolo, ma all’inizio era più hip hop e beats (più o meno). Dopo essere venuto a contatto con l’house tramite Jesper, come dicevo, ho semplicemente iniziato a produrre elettronica. La mia famiglia è sempre stata di grande supporto, non hanno mai provato a spingermi in particolari direzioni, ma mi hanno sempre incoraggiato a fare ciò che volevo, e la musica che sentivo. Li ho anche introdotti un po’ all’elettronica, e credo che mio padre abbia compreso molto bene la house grazie al suo background, che in sostanza si basava sul progressive rock degli anni ’70, molto sperimentale e melodico, con ritmiche ripetitive e senza cantati. Era uno stile molto libero, non si basava sui testi, come gli altri generi, diverso da qualsiasi altra cosa, quindi credo che gli fosse venuto in qualche modo naturale comprendere la musica elettronica. Ancora oggi gli mando le mie tracce per un feedback “dall’esterno”.
Com’è stato lavorare insieme a Jesper? Farete ancora qualcosa insieme in futuro? I vostri sound sono ancora compatibili?
Tutto è cominciato con lui, perché mio padre aveva un piccolo studio in casa, con un computer e qualche strumento, ma il primo vero studio in cui abbia mai messo piede è stato quello di Jesper. Qui in Svezia, a scuola abbiamo una cosa chiamata “work practice”, che sostanzialmente consiste in un paio di settimane che i ragazzi trascorrono in un luogo di lavoro a scelta, per imparare il mestiere. A 14, 15 anni sono riuscito a convincere la mia insegnante a farmi fare il “work practice” in studio con Jesper, ed è stata una figata. E’ stata la miglior esperienza lavorativa che potessi immaginare, ricordo di aver imparato tantissimo sulla produzione, sugli arrangiamenti etc… Mi sono sempre divertito un sacco a scegliere i suoni più strani per rendere la musica più interessante. Non so se torneremo a fare musica insieme perché ormai siamo molto lontani come sound, ma chissà…
E’ dal 2005 che sei uno dei producer più prolifici in circolazione, hai pubblicato una quantità impressionante di EP, molti dei quali suonano ancora incredibilmente attuali: qual è il segreto di tanta produttività? Cosa ti ha inspirato così tanto?
Sono stato semplicemente molto produttivo, nel tempo che ho trascorso in studio. Ma più che altro, ero davvero molto veloce. Al tempo non badavo troppo ad arrangiamenti etcetera, l’unica cosa che contava era finire le tracce. Ricordo periodi folli in cui rilasciavo anche un paio di EP al mese! L’importante, per me, è sempre stato fare buona musica, ma credo anche nella semplicità della musica stessa, specialmente per quanto riguarda l’aspetto melodico. Forse dieci anni fa non ero particolarmente attento alla cura dei suoni come lo sono ora, e credo che questa sia la differenza principale. Ora sono molto più concentrato sul fare suoni perfetti, esattamente come li ho in mente, ed è il motivo per cui non sono più così veloce. Cioè, una traccia dritta e senza tanti fronzoli riuscirei comunque a produrla comodamente in un’ora, ma non è assolutamente ciò che mi interessa, in questo momento. Non rimpiango niente di quel primo periodo della mia carriera, perché ciò a cui miravo era far uscire più roba possibile, raggiungere quante più etichette riuscissi, farmi sentire in ogni angolo del mondo, e in fin dei conti credo che ne sia valsa la pena.
Credi che ad un certo punto la tua carriera abbia avuto una svolta decisiva?
Non direi di aver avuto grandi hit in rotazione in radio o cose di questo genere, credo piuttosto che sia stata una progressione naturale. Sono passati quattordici anni, ormai, da quando ho fatto uscire la mia prima traccia, ho fatto un sacco di musica, e spero che la maggior parte sia stata buona, quindi direi che quello fosse il giusto percorso per me. Non mi interessa essere il più grande produttore del mondo, perché se ti trovi ad essere il numero uno dall’oggi al domani, il giorno dopo potresti essere già stato dimenticato. Preferirei restare sulla scena per molto tempo, lavorando giorno per giorno. Da qualche anno a questa parte, il gioco è retto dai festival, tutto è in loro funzione, ce ne sono ovunque e tutti vogliono parteciparvi, perché possono vedere venti o trenta dj’s per un prezzo poco superiore a quanto spenderebbero in un club per sentirne uno, forse due. Una delle conseguenze è che molti tra i dj più giovani non si sono esibiti al di fuori del contesto dei festival, ed ora che i questi stanno avendo un forte calo, insieme all’EDM, le giovani generazioni saranno costrette a reinventarsi in fretta, o molto probabilmente presto spariranno dalla scena.
Ho ascoltato il tuo nuovo album, “Saga”, che uscirà nelle prossime settimane, e l’ho trovato piuttosto interessante e contaminato: ho sentito molte melodie, declinate in uno stile tutto tuo, tra deep, house, progressive, indie e dub: mi pare di capire che sia fondamentale, per te, rimanere sempre aggiornato sugli ultimi trend, non è vero?
Beh si, volevo che suonasse fresco, ed è stata l’unica regola che mi sono imposto quando l’ho cominciato. Sono davvero soddisfatto del risultato, mi piace molto la musicalità dell’album. Non è un disco pesante, è piacevole da ascoltare. Cerco sempre di sorprendere le persone, di dimostrare che sono in grado di esprimermi in diversi generi e stili. Non voglio mai fare una traccia uguale ad un’altra che ho appena fatto, non ci trovo soddisfazione. Produrre un album ti rende libero di fare ciò che vuoi: quando ho iniziato “Saga”, avevo davanti a me solo quattordici spazi vuoti da riempire, e in quel momento puoi decidere di essere chi vuoi, di dare libero sfogo alla creatività. Fare un album è profondamente diverso da buttare fuori un EP dopo l’altro, perché al giorno d’oggi, un singolo dura forse un paio di settimane, ma un album è un prodotto che puoi portare con te per molto più tempo. Quando lo riascolto ora, mesi dopo averlo finito, mi sento di dire “Ok, ho fatto ciò che credo essere buona musica”, e questo per me è la cosa più importante.
Hai messo a segno release su alcune delle principali etichette nell’industria della musica elettronica, dalla Toolroom alla Defected, passando per Ultra, Kompakt, Cr2 e mille altre, ed ora sei approdato in Armada: come è nato questo sodalizio?
E’ stata una serie di coincidenze, direi. Ho fatto disco che è uscito con loro, e da lì abbiamo iniziato a parlare di un album. Tutto il processo è andato alla grande, è un’ottima label con cui lavorare.
Cosa mi dici della tua, di label, invece? La porterai con te sotto l’ala dell’Armada?
Non ci sono piani in quella direzione, al momento. Voglio solo focalizzarmi sui nuovi artisti, e dare a tutti la possibilità di una release. A patto che spacchi, ovviamente.
La Svezia in questi anni sta giocando un ruolo fondamentale nell’industria, sia nel mainstream, con grandi nomi come Eric Prydz, Axwell & Ingrosso, Alesso, Avicii e Dada Life, che nell’underground, con Adam Beyer, Jesper Dahlbäck, Ida Engberg, i Pleasurekraft etcetera: come descriveresti la scena elettronica svedese di oggi? Cosa significa, per un artista, crescere in un ambiente tanto attivo e creativo?
Anni fa eravamo molto più uniti rispetto ad ora, perché c’era un solo club che faceva serate house, quindi eravamo sempre tutti li, come una specie di crew. Era molto divertente! Ci sentivamo parte di una grande famiglia, ci conoscevamo tutti, condividevamo idee e suoni… Credo che crescendo, le cose siano cambiate, ora alcuni hanno famiglia, e siamo tutti sempre in giro per il mondo in tour. Sembra che si siano formati tanti piccoli gruppi, ad esempio intorno ad Avicii, o ad Axwell e Sebastian, con Otto Knows e tutti gli altri… Alcuni di loro li considero amici stretti, con molti sono regolarmente in contatto e non ho nessun nemico, ma non siamo più il gruppo consolidato che eravamo qualche anno fa.
So che ti piacciono parecchio i video games: hai mai provato a combinare questa passione con la musica, magari esplorando il sound design per qualche soundtrack?
Mi piacerebbe molto! A dire la verità sono molto preso dagli spara-tutto, una volta che inizio a giocarci non riesco a staccarmi. Penso che l’house music potrebbe starci bene, ad esempio nei giochi di macchine, ma se dovessi mai cimentarmi con la soundtrack di un gioco, probabilmente uscirebbe qualcosa di molto diverso da quello che compongo di solito, qualcosa con meno beat del solito 4/4. Ogni tanto giochiamo anche in studio, il che forse non è il massimo, per la produttività![/tab]
[tab title=”English”]Let’s choose a place, for example Stockholm, in that Sweden that, alongside Holland,
plays an essential role in the last few years’ dance music industry. Now let’s take a boy raised in a family with a great musical tradition. Let’s say we’re crossing the millennium, the boy is around 15 and gets into electronic music: it seems a done deal. This is how John Dahlbäck‘s story begins, and it will eventually turn into a solid career, built up record after record, step by step, without an exaggerate ambition, but with a great personality. Now, at the age of 30, he’s about to add a new album to his impressive discography, so we took the chance to have a chat with him.
You started making music very young, I guess you’ve been deeply inspired by your familiar environment: how your family supported you developing your interest in music?
Yeah, you know my dad is a drummer and my mom is a singer so I grew up listening to a lot of music at home, of course. We used to do it in the living room, and I guess it’s something that not a lot of people do, because usually you have music in the background, while cooking for example, but for us it has always been the focus. We listened a lot of classical music, jazz, soul, rock, I was a big Guns’n’Roses fan but I was also into Hip Hop, then around 13 or 14 I discovered electronic music, mostly thanks to my cousin who gave me an album he did, which was the only house music I’ve ever heard at that time. I started making music at a very early age, but in the beginning it was more Hip Hop and Beats (sort of). After getting into house music through Jesper, as I said before, I simply began making electronic music. My family has always been supportive to me, not trying to push me in any direction they wanted, but always encouraging me to what I wanted to do, and make the music I felt. I’ve also introduced them to electronic music a little bit, and I think my dad understood house music very well because of his background: he was into that 70’s progressive rock sound, very experimental, with repetitive rhythms, trippy melodies and no vocals, it was a very “free” style, not driven by lyrics like other kinds of music, different from anything else, so I think it came somehow natural for him to understand electronic music. I still send them my tracks nowadays for a feedback from the “outside”.
How was working with Jesper? Will you guys set down together in the studio again in the future? Are your sounds still compatible?
It all started with him, because my dad had a small home studio with a computer and some instruments, but the first real studio I’ve ever been in was the Jesper’s one. Here in the Swedish school we have something called “work practice” which is basically a couple of weeks that you spend in a workplace you choose, to get into the job. Then when I was 14 or 15 I convinced my teacher to let me do the work practice in the studio with Jesper, and it was a blast. It was the best work practice ever, I remember I learned a lot production wise and arrangement wise. It was always fun, like we always picked the funniest sounds and wanted to make the music more interesting. I don’t know if we will go back one day to make music again because we are very far apart sound wise, but maybe!
You’ve been one of the most prolific producers since 2005, releasing tons of EP’s, most of them still sound ridiculously fresh today: what’s the secret behind such a huge amount of productions? What inspired you that much?
I was just very productive and creative in the studio. But most of all I was always very fast. Back in the day, I didn’t care that much for arrangements and stuff, I just wanted to finish the song! I remember a crazy time where I released a couple of EPs a month! The main thing to me has always been making good music, but I also believe in simple music, specially when it comes to the melodies. Eventually, ten years ago I didn’t care that much about sounds, and that’s the main difference between then and now. Now I’m very focused on making the perfect sounds, and that’s why I’m not as fast in the studio anymore, I mean, I could easily do a track in an hour, just not focusing so much on details and make very straight-forward music, but it’s not what I’m about at this point. But I don’t regret that first period, because what I wanted back then was putting out stuff, reach as much label as I could, make myself being heard everywhere in the world, and I think it worthed.
Do you think you had a specific breaking trough point in your career?
I don’t think I had big songs on the radio or stuff like that, but I guess it has been a sort of natural progression. Has been fourteen years now since I’ve got my first release out there, I’ve done a lot of music, and hopefully most of it has been good, so I think that was the path for me. I’m not interested in being the biggest producer in the world, because if you’re the number one today, tomorrow you’d be gone, I’d rather be in the game for a long time and I want to do it day by day. I see today the whole scene is so festival-driven, there’re festival everywhere, everyone wants to go to festivals to see twenty or thirty big acts, instead to go to clubs, where you can see just one or two dj’s per night. The consequence is that most of younger dj’s out there have played almost only festivals, and now that festivals and EDM in general are going down, as a natural progression of going back to house music and clubs, they’ll have to reinvent themselves or they’ll eventually blow up.
I took a listen to your upcoming album “Saga”, to be released later this winter, and I found it quite interesting and contaminated: I’ve heard a lot of melodies, declined in your very own kind of future-deep-house-progressive-indie-dub sound: I guess it is crucial for you to keep yourself updated with the latest musical trends, isn’t it?
Well, I wanted this album to sound fresh, that was the first rule when I started. I’m very happy with it, I love how musical it is. It’s not such a heavy album, it’s a beautiful one. I always want to surprise people with new stuff, proving that I’m able to go trough different genres and styles. I never want to make a track that sounds just like a previous one I did. Producing an album does really set you free, when I started making “Saga” I had like fourteen or fifteen empty spaces that I had to fill, and in that place, you can be whoever you want, you’re free to express your creativity at the best. It’s deeply different than releasing song after song, because nowadays a track lives for a couple of weeks, but an album is a product that you can have with you for a way longer time. When I listen to the album now, a few months after producing it, I can say “Ok, I’ve done what I think it’s good music”, and that’s the most important thing to me.
You scored releases on some of the biggest label in the dance industry such as Toolroom, Defected, Ultra, Kompakt, Cr2 and many more, and now you joined the Armada family: how was this fellowship born?
A little bit of coincidence I think. I released a record with them and we started talking about an album. The whole process has been great, it’s an amazing label to work with.
What about your label, then? Will you bring it under the Armada umbrella as well?
No plans like that. I want to focus more on new artists. To give everyone a chance to have a release out, as long it is banging of course.
Sweden is playing a central role in nowadays electronic music industry, both with big mainstream acts such as Eric Prydz, Axwell & Ingrosso, Alesso, Avicii, Dada Life etc, and more underground artists like Adam Beyer, Jesper Dahlbäck, Ida Engberg, Pleasurekraft and so on: how would you describe the Swedish electronic scene? What does it mean for an artist to grow up in such an active and creative environment?
Back in the days we were way closer than now, because there were only one club that hosted house parties, so we all were there, and we were some kind of a crew. It was a lot of fun in the beginning! It felt like being part of a big family, we shared ideas and sounds and everyone knew each other… I guess it changed a bit when we grew up and got families and started touring around the world. It looks like they made up a few smaller groups, like Avicii has his crew, Axwell and Seb have their crew with Otto Knows and a few others… I consider some of them close friends of mine, I don’t have any enemies, I’m quite regularly in touch with most of them, but I don’t feel like we’re a consolidated group like we used to be some years ago.
I’ve heard you’re quite into video games: have you ever tried to combine this passion with music, maybe exploring some sound design for any game’s soundtrack?
I would love to score a video game! To be honest I’m very focused on one type of games: I love fps games and can’t get enough. I guess house music would better fit driving games, for example, but if I’d ever make music for video games, probably it wouldn’t be the music I make normally, because I think they need a bit less beats than the usual “four on the floor ”. We play in the studio sometimes, which maybe isn’t that good for productivity.[/tab]
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