C’è poco da fare: qando sei capace di comporre buona musica non c’è genere o sottogenere che possa accontentare la tua smania di provare e di cambiare, la voglia matta di spaziare fra le note, il desiderio di viaggiare nelle onde, di dormire su una pausa, di sorridere a un controtempo ben riuscito e, cosa per me molto importante, di riuscire ad arrampicarsi fin dentro al cervelletto di un grande appassionato come me, di quelli difficili da accontentare, di quelli che hanno sentito tanta musica e diversa nella vita ma che, congestionato dalla molta (forse troppa) musica elettronica sta diventando piuttosto complicato da accontentare. Suona un po’ antipatico ma è così per me: non vedo molta buona musica. Ma andiamo avanti.
Negli ultimi tempi ascoltanto e recensendo mi stavo convincendo sempre più dell’enorme gap che c’è fra certi gruppi e producer storici (I Nirvana? I Beatles? Gli Underworld?) e questa nuova orda di producer, della differenza che c’è fra il jazz e la musica techno, fra un cinema e un club. Ci ho pensato bene e la risposta è no. Non sono io che sto invecchiando, è la musica che rischia di avvinghiarsi su se stessa. Non sto invecchiando perché quando alla mia porta bussa un amico e mi regala questo disco di John Tejada io mi rilasso e apro le orecchie. Via le seghe, via tutto. Eccolo qua: “The Predicting Machine”, così si chiama l’ultimo album del quasi quarantenne producer viennese, in usicta sulla gloriosa Kompakt. Dieci tracce imperdibili piene di estro e tecnica, cariche di adrenalina e suoni azzeccatissimi. John Tejada ci regala qualcosa di privato, quasi intimo. Insomma, dieci tracce cariche di significato.
Deep, futuretechno e sperimentazioni varie (giusto per farvi capire qualcosa) si fondono con quel senso di non appartenenza che, con quest’ultima fatica, Tejada sancisce in maniera definitiva. Sì – direbbe lui, forse – non appartengo più a nessuno. Infatti appartiene solo a noi ascotatori la libertà che esprime questo album, un album a dir poco geniale. Un pezzo su tutti? Ve ne dico un paio: “An Ounce Of Perception” (particolarissima, quasi sacra) e “When All Around Is Madness”, l’ultima canzone del disco (che infatti lo rappresenta alla grande), quacosa di simile ad una bevanda mai assaggiata in vita tua, un pezzo pazzo, sciolto e raffinato, qualcosa di speciale e vagamente ironico. No, non è la solita “Coca-Colina”. E’ puro succo di Tejada.