Che Fabrizio Martina abbia in tasca un laurea in ingegneria oramai lo sanno tutti; che abbia un dottorato in dinamica delle vibrazioni è, lo stesso, cosa nota. Che sia un talentuosissimo e ferratissimo “tecnico” del suono è ben evidente, date la partecipazione alla RBMA di NY e la sua attività da dj che lo ha portato nientemeno che sul palco del Sónar. Che sia un perfezionista maniacale, con lo sguardo sempre verso nuovi orizzonti, mai impigrito sulla fortuna del momento, lo si poteva solo intuire, fino ad ora: “Mechanics”, l’album uscito l’8 aprile per Bastard Jazz (che ha rilasciato il vinile) e 42Records (CD e download), è l’apice di un percorso artistico in cui Jolly Mare ha fagocitato esperienze e conoscenze alla maniera di Pac-Man: dalle ore dedicate al bricolage insieme al padre alle colazioni con Flying Lotus, dagli studi universitari alle sessioni in studio con Thundercat.
Chi si aspettava un disco facile, melodie orecchiabili, cassa in quattro e una produzione tutta digitale rimarrà senza dubbio sorpreso: Fabrizio lascia gli automatismi sintetici dietro le quinte e chiama in scena la meccanica (mechanics, appunto) strumentale. Sample ridotti al minimo, nulla di fischiettabile che si ripete all’infinito e nessun bisogno di riverbero per mascherare le voci: in “Mechanics” si suona da musicisti e si canta da professionisti; in primo piano ci sono il basso, la batteria, la voce rètro di Lucia Manca, una Marcella Bella liberata dal suo languore esagerato, il falsetto di Crazy Bitch In A Cave, il canto leggermente folk della giovane irlandese Emma Bedford (QuietDust) e quello ultra pop di Camille Bouvot-Duval, la bella lionese dietro De La Montaigne. A muovere questi meccanismi è la mano di Fabrizio, strumentista e produttore che si è anche occupato del mixing e dell’artwork, dei video e della grafica. Pare che gli sia riuscito tutto molto bene e che il tempo impiegato a maturare l’opera abbia dato un frutto dolcissimo: “Mechanics” è ispirato, complesso, perfetto. Ispirato perché si rifà all’estetica colorata dell’Italia della Riviera, allo scenario profondamente nostrano dei tempi in cui le sottoculture locali hanno cambiato il panorama musicale internazionale a suon di bip, con “quella miscela ai confini del superkitsch, di batterie elettroniche e tecnologia, di pure pulsioni sotterranee e voglia di ballare, di esotismo un po’ cinematografico” (Pierfrancesco Pacoda, Last Night A Dj Saved My Life – Outro); ma Jolly Mare è più vicino alla “E2 E4” del chitarrista Manuel Göttshing che ai “Problèmes D’Amour” di Alexander Robotnick, e non sembra rimpiangere troppo la bedroom generation: quella era musica per non musicisti, questa no; eppure un innegabile senso di nostalgia tinge le undici tracce con i colori saturi della grafica di fine anni ottanta, e riporta vagamente alla memoria perle indimenticabili come Dirty Talk (Klein & MBO) e Sueño Latino (DFC Team), ma anche le colonne sonore dei poliziotteschi anni settanta.
“Mechanics” è complesso, perché la costruzione delle singole tracce è magistrale, con variazioni talmente elaborate che creano un abisso incolmabile tra questo lavoro e la vera italo disco: si pensi alla favolosa “Hungry Angry”, vicinissima alla “Lunedì Cinema” degli Stadio e con un video che – guarda caso – ricorda quello del Lunedì Film di Raiuno; ma anche a “Temper”, al suo ritmo caraibico fatto di percussioni e xilofoni che in alcuni momenti si dilata al punto da ricordare certe Monte Carlo Nights. Complesso perché dentro questo disco c’è tanta, tantissima roba, che va dal pop al disco funk, dalle esperienze delle hippie band dei primi Settanta alle iconiche composizioni moroderiane. È un lavoro perfetto, dunque, perché celebra e sublima lo sposalizio tra l’estrema orecchiabilità dei suoni ai quali si ispira e una composizione articolata, tra un pop complesso e strutturato e il piede a tempo: “Mechanics” è una moltitudine di sottogeneri che non cede mai alla monotonia.
In conclusione, si può dire a gran voce che Jolly Mare ci ha regalato una bellissima perla della nuova musica italiana: un lavoro geniale, brillante e coerente, che entrerà facilmente nel cuore di tanti, anche di quelli che non vivono di pane e musica elettronica.