Diventa quasi routine di questi tempi parlare di UK, old skool, house. Il che quasi mi spaventa perché le mode, lo sappiamo, sono destinate a scomparire nel processo evolutivo della musica. Nel frattempo godiamoci il presente e, come il buon Orazio ci insegnava secoli fa, cogliamo l’attimo. L’attimo è rappresentato da una classe superlativa di producers anglofoni ma di scuola americana di cui fa parte da diverso tempo Jordan Peak. Se non avete sentito parlare tanto di lui le cose sono due: o non siete tanto informati o odiate la musica house. La sua storia è la classica che sentiamo spesso e rileggiamo in diverse biografie: Jordan è uno di quelli che una volta venuti al mondo invece di “mamma” imparano come prima parola “musica” e cominciano a muovere i primi passi con dischi in mano e cuffie in testa. Ma ora non vogliamo fare il resoconto della sua brillante ascesa, diamo invece spazio a ciò che più importa e a ciò che ci porta oggi a parlare di lui, ovvero alle sue produzioni, in particolare dell’ultima uscita su One Records, label lanciata soltanto nel 2009 da Subb-an e Adam Shelton ma ormai punto di riferimento del movimento house europeo.
L’EP “Mean Streets” (dodicesimo episodio del catalogo) farà la sua comparsa ufficiale alla fine di Gennaio, ma già alcuni fortunati hanno avuto modo di testarlo nei maggiori clubs con incredibile successo. A noi ovviamente non è scappato ed è per questo che ci ritroviamo a dare pieno merito a Jordan, il quale confeziona all’interno due tracce originali davvero notevoli. La prima, “Mean Streets”, racchiude tutta la tipicità dell’house music: drum “classica”, vocali appena accennati in sali e scendi, bassline che seduce fin da subito. Ne deriva inevitabilmente un groove delirante non adatto ai deboli di cuore. “Done Did”, invece, ritrova qualche elemento della traccia precedente arricchita da un loop lungo ben arrangiato di synth e da un abile gioco di percussioni e basso. Risultato meno scontato di quanto si possa prevedere, nel quale un vibe leggero ma insistente accompagna tre quarti di una traccia formidabile.
Non potevano mancare poi le varianti di “Mean Streets” di altri due artisti ormai legati a pieno regime a questo movimento. Chris Carrier (artista del quale parliamo spessisimo e che quindi non necessita di alcuna presentazione) bada direttamente al sodo, aggiungendo quella giusta cattiveria e fornendo un alternativa validissima alla versione originale. I vocali vengono rieditati lasciando quel classico echo e flanger soprattutto nelle pause, ma poi l’effetto nella ripartenza è devastante. Il talento catalano Sishi Rosh è poi l’ultimo a mettere la propria firma su “Mean Streets”, con una versione molto più personale e distante dall’originale. Ne esce una versione dub elettronica, più lenta e con un sottofondo classicamente cupo, adatta a contesti più sofisticati.
Dovessi descrivervi l’intero EP con una sola parola, direi senz’altro “groove”. Uno di quei vortici in continuo movimento dal quale risulta quasi impossibile non venire travolti…provatelo e sono sicuro concorderete con la mia idea!