Poco meno di 7000 km separano Detroit e Berlino ma se si parla di musica è difficile pensare a due città più vicine: l’origine della techno e il suo riconoscimento come genere si perdono nello strettissimo e multiforme intreccio creatosi tra queste due realtà a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. E se è vero che i “padri” sono tutti nati o cresciuti tra le vie della capitale del Michigan, è solo grazie al brulicante laboratorio culturale che è stata Berlino dopo la caduta del muro che il sound techno detroitiano ha trovato una piattaforma per entrare in contatto con contaminazioni europee e affermare la propria identità di genere e di movimento.
Nessuna etichetta più di Tresor è rappresentativa di questa connessione ormai pluridecennale: l’etichetta tedesca può dirsi responsabile dell’importazione della techno americana in Europa ed è anche la base della collaborazione tra due figure leggendarie, personificazione dell’asse Detroit-Berlino, Juan Atkins e Moritz von Oswald. Il primo disco a recare entrambe le firme (oltre a quella di Fehlmann dei The Orb) è “3MB feat. Magic Juan Atkins“, Anno Domini 1992: è qui che inizia il flusso osmotico tra l’approccio black, soulful e sincopato, di The Originator e il sound pulito ma introspettivo di von Oswald, creatore della dub techno e fondatore – con Mark Ernestus – di Basic Channel.
Il filo della collaborazione viene ripreso vent’anni dopo con “Borderland“, primo progetto come vero e proprio duo, in cui i due veterani realizzano un album che sembra riprendere le produzioni di impronta più marcatamente jazz di Atkins e le sonorità del Moritz von Oswald trio, ma che forse non entusiasma chi sperava in un lavoro rivoluzionario: “Borderland” è letteralmente un’opera magistrale proprio perché realizzata da maestri ma priva di vene esplorative o intuizioni compositive che la rendano le pietra miliare che sarebbe lecito aspettarsi dagli autori.
Definire il proprio sound per decenni fino a farne un marchio ma continuare ad esplorarlo e a declinarne le sfumature è un lavoro complesso e il rischio della sterile autocitazione è forte. Sembra invece che i due titani ci siano riusciti con “Transport“, uscito il 29 aprile, naturalmente su Tresor, in occasione dei 25 anni della label. L’album riprende il progetto Borderland basandosi sulle due anime musicali che lo compongono, senza però miscelarle con alcun compromesso: la visione atkinsiana, con le sue radici nere e la sua tensione futuristica, è chiaramente riconoscibile rispetto al sound di von Oswald, granitico e come sempre capace di dilatare spazio e tempo. Il risultato non è però una tracklist schizofrenica, una semplice alternanza dei due stili: pur spaziando – oltre che tra le firme dei due autori – tra sottogeneri diversi, “Transport” è un album estremamente coeso, nel quale la composizione minimalista e l’andamento ripetitivo plasmano un’atmosfera meditativa e (non banalmente) deep, inedita nelle precedenti produzioni del duo. Atkins e von Oswald declinano le formule consolidate della techno da loro stessi scoperte e perfezionate, senza che “Trasport” suoni mai cattedratico. Sembra invece rivelare una sincera ispirazione, sapientemente tradotta in suono da due maestri che si muovono nella loro comfort zone: l’equilibrio tra le scelte ritmiche e il tocco introspettivo ed emozionale che permea tutto il disco è ben lontano dalla tendenza trance, dozzinale e prevedibile, che segna buona parte delle recenti produzioni techno. Il tocco dell’Originator di Detroit e della leggenda di Berlino non si scorge in scelte sorprendenti o innovative, sta piuttosto nella complessità intrinseca della loro musica e nell’ennesima conferma di cosa le loro figure rappresentino, nel mutevole e sovraccarico panorama mondiale.