La musica italiana, soprattutto quella degli anni settanta, è stata ampiamente saccheggiata dai produttori hip hop americani e non.
Più di qualcuno si ricorderà quando Timbaland aveva ripreso Ulisse coperto di sale, brano di Lucio Dalla del 1975 scritto in coppia con Roberto Roversi, nella sua Indian Carpet.
Un campione figlio di un fraintendimento: Timbaland, oltre a usare e rielaborare la strumentale di Dalla, aveva usato anche un piccolo sample di voce su cui aveva costruito il ritornello del pezzo.
Ritornello in cui Dalla ripete “Imbiancate”, ma Timbaland capisce “Indian carpet”, perché, insomma, va bene avere una conoscenza enciclopedica della musica, ma capire l’italiano non è proprio facilissimo, soprattutto se hai trascorso tutta la vita a confezionare beat (e pompare i muscoli in palestra). Di esempi come questo ce ne sono davvero a centinaia, trasversali ai generi: come David Holmes che nel brano Police 69, dalla colonna sonora di “Ocean’s Eleven”, campionava Ad Gloriam, una delle prime canzoni de Le Orme diventata in seguito un classico di tanti dj set di superstar internazionali (aneddoto non richiesto: mi è capitato di parlare lungamente di quel pezzo con Dan Snaith – Caribou/Dafni – durante un viaggio in treno da Foligno a Roma).
Non stupisce quindi che nel nuovo album di Justin Timberlake sia finito anche un pezzo di Amedeo Minghi. Ovviamente tagliato, rielaborato, modificato e reso irriconoscibile.
A essere davvero incredibile è il modo in cui questa notizia è stata accolta dai media italiani, perché OK, l’accoppiata Maestro Minghi-Maestro Timberlake fa rumore a prescindere, sembra quasi l’esperimento folle di uno scienziato pazzo, ma è in questi momenti che viene fuori il nostro essere essenzialmente provinciali. Sempre in cerca di approvazione da parte degli “altri”, dall’estero, come se il “bollino qualità” di un campione usato in un disco pop dal respiro internazionale dovesse essere per forza inteso come un segno di approvazione della musica italiana tutta.
Ed è inutile che facciamo i fighi: siamo tutti colpevoli, nessuno è immune. Noi per primi, che tutto siamo tranne che sciovinisti.
Ora però funziona così: due producer sconosciuti di Vicenza finiscono nel disco di Kanye West e subito tutti i siti e giornali musicali del regno fanno gara per intervistarli.
Giusto, giustissimo, ma non dovrebbe essere nostro compito cercare di arrivare prima e non inseguire sempre la via indicata dalla superstar di turno, scesa tra i mortali per santificare la musica italiana? La risposta non la sappiamo, ma è surreale osservare i titoloni da cui sembra che Justin Timberlake sia stato folgorato sulla via del Maestro Minghi e abbia deciso di inciderne nel suo disco addirittura una cover. Per non parlare di Minghi stesso, che nelle pagine del suo Facebook e in una scoppiettante intervista su Repubblica (in cui rivendica la morte del rock e al tempo stesso la sua appartenenza al genere) parla apertamente di featuring, suscitando reazioni involontariamente comiche tra i suoi fan. C’è chi si dichiara deluso dall’assenza della voce del Maestro nel brano, chi è contento perché finalmente il grande poeta ha avuto il riconoscimento che da tempo inseguiva, ma al tempo stesso si lamenta per la “scarsa Bellezza” (sì, c’è ancora chi lo scrive in maiuscolo come se si riferisse all’idea platonica) del personaggio Timberlake, e chi si vanta di non avere bisogno del riscontro di una pop star per capire la grandezza del nostro – lui sì, gigante – Amedeo.
Amedeo che già assapora il gusto della rivalutazione e magari si prepara, seguendo l’esempio fortunato di Pezzali e Carboni (gente che dalle classifiche di fatto non è mai uscita) a tornare in pista con un album di duetti che ci siamo divertiti a immaginare così:
1) Vattene amore feat. Mietta e Jon Hopkins
2) 1950 feat. Battles
3) Nené feat. Robin Thicke
4) Fantaghirò feat. Caribou
5) Futuro come te feat. Azealia Banks
6) Serenata feat. Justin Timberlake
7) La musica feat. John Talabot
8) Il profumo del tempo feat. Katia Ricciarelli e Zola Jesus
9) Emanuela ed io feat. Kendrick Lamar
10) T’amerei feat. Disclosure e Aluna.
Insomma: ne siamo convinti, un dududu-dadada ci seppellirà. E la colpa è solo nostra.