Ormai sono mille anni e millemila articoli che ci capita di parlare di Jazz:Re:Found, lo sapete, e quasi sempre in termini entusiastici: lo facciamo del festival, lo facciamo delle sue evoluzioni, delle sue scelte, delle sue gemmazioni (che bella l’alleanza “ligure” che ha figliato Transatlantica). Insomma, da oltre un decennio la navicella capitanata da Denis Longhi – perché c’è poco da fare, è lui il primo motore aristotelico di tutto, ma uno dei suoi pregi è aver sempre saputo circondarsi delle persone giuste, umanamente e professionalmente giuste – ha saputo trasformarsi da quello che era all’inizio, un’avventura un po’ folle e un po’ fuori mercato di un visionario capace di trascinare un gruppo, a quello che è oggi, ovvero una realtà forte, multiforme, che sta in piedi, che sa giostrarsi fra le regole del mercato e le opportunità dei fondi istituzionali senza perdere mai anima ed identità: e tutto questo ci ha portato ad essere perfino stucchevoli, ormai, nel parlare di Jazz:Re:Found qui su queste pagine. Lo sappiamo. È che davvero è una case history perfetta di come in Italia si potrebbero e in realtà possono fare i festival.
(Ecco come è andata nel 2023; continua sotto)
Quest’anno però davvero è diverso.
…ed è diverso non perché sia cambiato qualcosa. No. Anzi: è il contrario.
Fateci spiegare.
Il posto è quello magico dove si è planati già da qualche anno, Cella Monte, un paesino meraviglioso nel Monferrato, molto più adatto allo spirito del festival delle “metropolitane” Torino e Milano, o della Vercelli che comunque resta un baricentro emotivo dello zoccolo duro. Il format è lo stesso: prendi un posto con meno di mille abitanti e “conquistalo” tutto, creando così qualcosa di magico davvero, in cui anche andando nella macelleria del paese puoi pagare col braccialetto del festival (e avere un panino con la carne cruda che da solo vale il viaggio), e dove corti, palazzi, giardini, terrazze panoramiche parlano tutte la lingua della musica, di una musica molto sofisticata e particolare (e al tempo stesso coinvolgente). E poi sì, a proposito di musica, anche lì non è che Jazz:Re:Found anno 2024 segni un’inversione di rotta: anzi, è ancora più convinto nel seguire delle traiettorie dove convivono da un lato un’attenzione alla novità – se sofisticata, se qualitativa, se nel mood sonoro del festival – e dall’altro una sana voglia di celebrare dei “grandi vecchi” così come chi in Italia tiene alto un certo tipo di fiamma, ed è come prima più di prima un posto dove la parola “jazz” diventa più un’attitudine che un suono, celebrando così il vero DNA di un genere musicale che nasce da una combinazione viva, vibrante ed anti-snobistica di alto e basso, di complicato e comunicativo, di intellettualmente sofisticato da un lato e profondamente “sudato” e “fisico” dall’altro.
Il punto è che quest’anno Jazz:Re:Found è, almeno sulla carta, diventato al 100% quello che ha sempre sognato di essere. Come mai, mai, mai in passato. E lo ha fatto non per una botta di culo improvvisa, o perché è arrivato un fondo denaroso ad acquisire quote e finanziare con l’idea di farci sopra un pacco di soldi in futuro; no, lo ha fatto come coronamento di un lungo percorso.
(Gli headliner che non ti aspetti; continua sotto)
Non ci sono headliner “facili” e/o “forti”, in questa edizione 2024: in nessun altro festival d’Italia gli headliner potrebbero essere Ezra Collective, Glass Beams e Greentea Peng (anche perché, negli ultimi due casi, parliamo di una prima italiana assoluta), a meno che non si cercasse il suicidio economico e numerico. Ma JZ:RF ha educato il pubblico negli anni, in qualche caso lo ha proprio costruito dal nulla, portando delle persone “sensibili alle mode” a scegliere o a scoprire il jazz, l’afro, il broken beat, gli accordi modali, gli arrangiamenti complessi, il dancefloor che può vivere anche senza cassa dritta. Ma non solo: in nessun altro festival d’Italia potresti mettere in cartellone Gilles Peterson, Goldie, Dj Ralf senza sembrare una replica di Arezzo Wave primi 2000, invece a JZ:RF si può, si può eccome, e sono scelte perfettamente coerenti, perfettamente “vive”, perfettamente avanguardiste (il paradosso è che oggi è molto più conservatore e paludato il dancefloor del 2024 piuttosto che quello del 2004 o 1994), questo perché si è sempre guardato alla sostanza delle cose più che alla moda di esse. A nessun altro festival d’Italia, crediamo, sarebbe venuto in mente di recuperare Charlie Dark (ehi, i meravigliosi Attica Blues ve li ricordate?), ma nemmeno sarebbe venuto in mente di scandagliare così bene gli interpreti del suono “black” di casa nostra con un ventaglio così diverso – e così efficace – come quello costituito da Bassolino, Rosa Brunello, Il Mago Del Gelato, la splendida all star messa su da Basta Session (Goedi, Turbojazz, Veezo, North Of Loreto), Malasartoria Milano che omaggia gli Azymuth, senza per questo perdere la possibilità di visioni può contigue al post rock più raffinato (lo splendido progetto Ant Mill / “Settima estinzione”, l’allenaza tra Carlot-ta e Cecilia in Poor Poetry).
In tutto questo non abbiamo menzionato il grande vecchio Sadar Bahar, lo sfavillante talento di corto.alto (curiosissimi di vederlo all’opera), Lefto, Jamz Supernova, Napoli Segreta, Raffaele Costantino, Nicola Conte… e l’elenco continua, continua a lungo, vedetevelo tutto qui. Dal 28 agosto all’1 settembre, in Monferrato, c’è veramente un festival che ha raggiunto la piena maturità e una identità così forte da poter essere uguale a nessun altro e da prendersi il rischio di realizzare i propri sogni, le proprie utopie, le proprie scelte controcorrente non per sfizio o per irresponsabilità, ma come premio di un percorso più che decennale portato avanti cocciutamente, testardamente, tenendo in equilibrio passione e professionalità.
(Curiosissimi di vederlo all’opera; continua sotto)
In un mondo, quello dei festival non solo in Italia ma in Europa tutta, dove se si vuole crescere e consolidarsi le line up iniziano sempre più pericolosamente ad essere delle “line up fotocopia” o apparenti tali (magari anche bellissime, sia chiaro), e se non lo sono allora vuol dire che sei un kamikaze che rischia l’osso del collo perché te lo puoi permettere in quanto ricco di famiglia o perché sei ingenuo, Jazz:Re:Found è sempre più un’eccezione. Per giunta un’eccezione che è giocata in un luogo magico davvero, come dicevamo. Un luogo che comunica lo spirito e il senso più profondo di “festival”: un qualcosa che sia “altro”, che sia un universo parallelo, che ti permetta per qualche giorno di vivere in una dimensione diversa, una “bolla” di stile, arte e vibrazioni particolari, dove le persone che incontri non sono solo altri numeri e fan di questo o di quello ma veri e propri “compagni d’avventura”, “compagni di scelta”.
Ecco. Sulla carta, Jazz:Re:Found 2024 è tutto questo. E sulla carta è, come forse mai abbiamo avuto in Italia, il “boutique festival perfetto”. Questo ve lo possiamo dire forte e chiaro. Se mentre scriviamo i biglietti non sono già andati sold out, visto che siamo lì lì, cercate allora di esserci, se già non avete fatto vostre le prevendite.
Noi ci saremo; e cercheremo di capire se davvero certe utopie ideali e certe anomalie imprenditoriali possono essere oggi possibili, in un mondo – quello dell’industria dell’intrattenimento musicale – che sempre più vuole diventare uguale alla finanza, all’immobiliare, al tech, a…