Quanti bocconi amari dovrà ancora ingoiare Sacha Winkle, in arte Kalabrese, a causa di chi continua ancora a presentarlo al pubblico semplicemente come “il signore svizzero della minimal”, insistendo ad accostarlo al giro di Villalobos e Plastikman per via del suo passato su Perlon e Stattmusik. Lui che già dallo scorso “Rumpelzirkus” – ed eravamo nel 2007 – era già riuscito a tirarsi fuori dalla nicchia e reinventarsi produttore adatto a tutti, scoprendo una propria personalissima formula ricca di infatuazioni funk e corteggiamenti downtempo che lo ha fatto entrare di diritto tra le file di artisti dell’area elettronica amabili anche (anzi, soprattutto) dall’ascoltatore generalista. Personaggi di una categoria superiore che sono andati oltre la gabbia di genere, gente come Dj Koze, Trentemøller, Gui Boratto, Matias Aguayo, per i quai categorizzazioni come “house” o “minimal” sono platealmente strette eppure non mancano mai di far capolino ad ogni nuova uscita.
Siam pronti a scommettere che accadrà anche stavolta. Si parlerà di nuovo di minimal nonostante il nuovo “Independent Dancer” sia ancora una volta un album che muove dritto verso l’easy listening, si guarda bene dall’apparire complesso e diluisce astutamente il polso house lungo strutture riconoscibili e parti cantate a pioggia, in un perfetto equilibrio tra tecnica ed efficacia. E anche stavolta all’ascoltatore apparirà strana distanza tra il detto e il percepito, tra chi lo pensa ancora dentro a un mondo clubbing ortodosso e la leggera fruibilità di un pezzo come Purple Rose. Perché obiettivo cardine di Kalabrese è abbattere le barriere all’ingresso, e in questa direzione vanno le cordialità house-pop di “Fresh And Foolish” che fanno il filo ai Gus Gus, le fantasie in libertà della titletrack in ripresa delle test di Matthew Dear, le decisioni disco di “Booklyn55” che starebbero benissimo su Todd Terje e anche quelle aperture folky à la Goran Bregović in “Desperate Man”. Riferimenti nemmeno troppo nascosti e su cui anzi il disco scommette, per l’effetto che certe percezioni note possono avere sulla facilità di ricezione dell’album.
La chiamano indietronica perché del sentire elettrofilo estrae le componenti più gentili per un pubblico dalle preferenze indie e tutti i nomi che vi abbiam citato qui sopra han saputo ben interpretare le esigenze di quest’ampia categoria di ascoltatori. “Indipendent Dancer” ragiona sul filo della raffinatezza seguendo queste stesse logiche, sposa i centri di energia della dance riportandola a forme sempre compatibili alla generazione hipster e anche il singolo “Sihltal”, tanto vicino all’electroclash della prima Miss Kittin, risponde in fondo alle aspirazioni pop che l’elettronica non smetterà mai di solleticare. Questo non sarà di sicuro il disco che spopolerà nel largo pubblico, ma è merce di pregio per i palati sofisticati che lì fuori vanno in cerca di nuove sensazioni. Perché accogliere i turisti occasionali è importante tanto quanto prendersi cura dei cittadini di diritto.