La foto che circola sembra una roba d’altri tempi. Tempi in cui ancora la discografia contava qualcosa, e tempi in cui gli artisti sapevano che tutti i loro benefit e le loro ricchezze dipendevano dalla discografia suddetta, prestandosi quindi a sorrisi e salamelecchi coi top manager. I fatti: la Sony ha annunciato di aver messo sotto contratto Paul Kalkbrenner con un contratto, citiamo il titolo di Billboard, “a lungo termine“. Il tutto viene corredato da una immagine – quella a cui appunto ci riferiamo – dove l’intero stato maggiore della Sony si fa fotografare sorridente con l’artista.

Robe d’altri tempi, davvero. Soprattutto, robe che di solito non capitavano e non capitano nell’universo “nostro”, quello più legato alla club culture: dove le major di solito non mettono becco (e se lo fanno, vengono insultate, i Justice per dire avevano parole di fuoco contro la Warner italiana) e dove gli artisti tendenzialmente operano o con etichette loro o con collaudate navicelle indipendenti (Kalkbrenner ad esempio ha iniziato con la BPitch, ha proseguito sull’etichetta sua). Pensavamo che immagini di questo tipo fossero destinate a diventare modernariato, buone solo per qualche dinosauro del rock e del pop ancora in grado di strappare contratti milionari – e di promettere vendite altrettanto milionarie a questo o quella corporation discografica.
C’è poi un altro particolare che deve far riflettere: firmando con la Sony, Kalkbrenner si consegna nelle mani di uno come Patrick Moxey, responsabile mondiale per gli “artisti elettronici” per la Sony e fondatore dell’Ultra Records. Si tratta forse del primo vero esperimento genetico di compenetrazione fra due filoni, quello “berlinese” e quello EDM, che sono sempre corsi su strade decisamente parallele e non comunicanti. Cosa ne verrà fuori? Magari Kalkbrenner tirerà fuori un album eccezionale, o almeno all’altezza dei suoi primi lavori, mantenendo comunque un certo tipo di linea musicale. Ma potrebbe anche succedere che avvenga una EDM-izzazione pesante, con la ricerca di suoni grandiosi, tastiere epiche, ritornelli da cantare tutti in coro, un appeal insomma completamente pop.
Tutto questo è molto strano, considerando che Kalkbrenner è ha avuto una spinta decisiva, nella sua carriera, grazie ad un film che era tutto tranne che pop e mainstream: “Berlin Calling” ha il simpatico sapore della pecionata-fatta-in-casa, per quanto bene si possa volere a quel film (perché riconosci i posti, i personaggi, ti immedesimi nella trama…) come qualità cinematografica è poco più di un “Nonno Libero” prestato alla Berlino del nuovo millennio: qualità della fotografia, della recitazione, della trama sono più o meno simili. Eppure questo prodotto molto amatoriale, lanciato nel momento giusto un po’ per lungimiranza un po’ per caso, ha lanciato Kalkbrenner in mezzo a dimensioni da mainstream vero, come la Sony ha ben notato (e quindi, contrattualizzato). E’ diventato un simbolo, il buon Paul. E’ diventato, tanto per capirci, il nome e l’artista da tirare in ballo quando si voleva spiegare anche ai cinquantenni abituati ai Rolling Stones e a Celine Dion cos’era la techno e cos’era Berlino (oltre comunque a mantenere un indubbio appeal anche fra i clubbers ventenni, sia chiaro).
Ma ora? Ora, con la Sony dietro, con le aspettative dei grandi numeri, con lo stato maggiore di una major planetaria che si aspetta da te grandi cose e lo annuncia pure, non puoi più giocare a fare il simpatico producer di una scena in fondo elitaria e incapace di sfornare hit da classifica come quella dell’elettronica tech-house di stampo tedesco. Devi cambiare qualcosa. Siamo molto curiosi di vedere cosa succederà. Questo tentativo di definitiva “poppizzazione” dell’immaginario berlinese è una faccenda che ci incuriosisce parecchio. Onestamente, ci aspettiamo il peggio; ma se smentiti, saremmo i primi ad esserne contenti.