“Hyper Opal Mantis”, è uscito lo scorso 24 febbraio su Stroboscopic Artefacts ed è il nuovo (e sesto in totale) album di Kangding Ray. Con questo lavoro il produttore francese di stanza a Berlino si conferma, ancora una volta, un fenomeno nella ricerca musicale e ancor di più un fanatico della purezza sonora. “Hyper Opal Mantis” è una raccolta in cui l’autocontrollo viene distrutto dal primo all’ultimo minuto; è lo straripare della passione che inonda i canali uditivi dell’ascoltatore. Il gioco è dato dalla conferma delle sonorità già presenti e apprezzate nei precedenti lavori, – ascoltate “Solens Arc”, per esempio -, con l’aggiunta di dettagli riconducibili meno a Raster Noton e più a Stroboscopic. Il risultato è un disco adatto alle menti tanto quanto ai corpi di ognuno di noi, un flusso continuo di balzi tra l’astratto e il concreto in cui, per forza di cose, alla fine si finisce per perdersi e rimanere confusi, storditi. Kangding Ray è bravo a far apparire il lato dark del suo lavoro il meno oscuro possibile, liberandolo dagli schemi e lasciando agli ascoltatori – caratteristica che abbiamo apprezzato molto – la possibilità di interpretare e vivere l’album a proprio piacimento.
“Hyper Opal Mantis”, è come se scorresse nelle vene di ognuno di noi, si è vero, ma lo fa in un modo silenzioso ed invisibile. È come se ci dicesse “io sono qua, mi senti?“, ma non mandasse nessun altro segnale. David Letellier, vero nome dell’artista, risulta essere bravo e non poco a premere il tasto off in cima alla nostra testa e lanciarci con violenza e noncuranza in un mondo esterno privo di giudizi e aspettative nel quale egli stesso ci sussurra all’orecchio di essere al sicuro. Tutto ciò che viviamo nei cinquanta minuti abbondanti di durata dell’album è soggettivo e personale. Siamo nudi e bendati su una sedia in una stanza vuota, in balia di continui stimoli da forze dell’esterno che ci ricordano di essere si, maledettamente vulnerabili, ma ancora vivi.
Viviamo in un mondo tanto esteso quanto a volte infinitamente piccolo. In un mondo in cui occhi e orecchie sconosciute aleggiano spiando le nostre vite e nel quale siamo obbligati ad imparare a conviverci, a sentirci chiusi in gabbie di sbarre indissolubili con il quale alla fine siamo costretti a diventare amici. Ci sono demoni a loro volta, rinchiusi in gabbie dentro di noi, che gridano e soffrono inascoltati ed ignorati. Ed altri che invece osservano dall’alto ridendo e brindando alla nostra con sorrisi maligni e denti aguzzi assetati di sangue. Tra noi e loro, paesaggi inesplorati.
L’ultimo album del produttore francese è proprio l’intermezzo tra gli uni e gli altri, disegnato da accecanti colori e chiarissime sfumature, dall’aggrovigliarsi su se stessi dell’amore con la passione, in una morsa che fa soffrire ma che non uccide mai.
“Hyper Opal Mantis” è un quadro che mette a confronto le creature imprigionate dentro ognuno di noi con il loro sogno di fuga e libertà, è un disco che racconta una storia catartica a livello emozionale all’interno di un percorso fatale costruito e scandito dalle note che compone ciascuna delle dieci tracce dell’album. Sin dai primissimi secondi di “Rubi”, la traccia che apre il disco, siamo catapultati in un mondo ostile denso di dubbi e conflitti. Siamo in un tunnel nel quale non abbiamo amici né nemici, e il tutto ci impaurisce. Vige l’ansia e la voglia di fuga. Siamo terrorizzati dalla nostra stessa ombra e chiudiamo gli occhi; il mondo esterno è al di là del tunnel dal quale ci sentiamo inglobati. Bolle d’aria, apnea, respiri affannati, siamo minuscoli vermi nel ventre di una mela marcia.
L’ansia e l’affannosa fuga, il timore dell’ignoto e la sofferenza. Le sonorità con le quali Kangding Ray apre presentandoci “Hyper Opal Mantis”, ci trasportano in un ambiente ostile dal quale siamo catturati e nel quale ci sentiamo ostaggi. “Purple Phase”, la traccia numero quattro del disco, con la sua industrialità (accennata) segna la svolta, il passaggio alla fase “X” del disco. Il Pathos che la pervade, grazie al gioco dei synth che la struttura infatti, è in grado immergerci in paesaggi decisamente meno inquieti. Ci piace pensare che il viola, citato nel titolo, stia a significare il nostro nuovo respiro, il rinforzamento della nostra aurea energetica dopo la cupezza delle prime tracce, la puntualità del battito cardiaco che viene scandito delicatamente dal ritmo del basso. A questo punto infatti, il disco è come se si trasformasse, come se iniziasse a raccontarci un’altra storia assumendo una forma ben più razionale e costruita. L’ascoltatore non sente più di essere una vittima o un ostaggio; in “Soul Surfing” e “Outremer” infatti, si viene catapultati in un ambiente dal sapore spaziale e stellare in un sottofondo cullato da paranoia deep-tech e sfumature più metalliche. Da questo momento in poi, il resto del disco è un tripudio di sonorità che ci attraversa da testa a piedi fino all’estremità più estrema dell’alluce, confondendoci, stordendoci e nutrendoci di quelle emozioni che Kangding Ray ci ha somministrato fino adesso, riuscendo a farci godere, quanto allo stesso tempo soffrire.
“Laniakea”, l’ultima traccia dell’album, è la firma dell’autore; il riassunto di un percorso emozionale, intenso e non banale, in grado anche di centellinare le scariche energetiche delle quali l’ascoltatore vive, senza rischiare così di affogarlo e violentarlo. “Hyper Opal Mantis” è un lavoro ricercato e ben strutturato, basato sull’abilità del produttore francese di costruire suoni dietro i quali, quasi sempre, si celano messaggi da criptare, e che conferma il consolidamento stilistico di Kangding Ray avvenuto nel corso degli anni.