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[tab title=”Italiano”]Qualche giorno fa stavo bevendo un paio di mojito. Un mio amico, guardando la locandina dello Swarm Festival, dove Kangding Ray porterà il suo live set ad alta energia mi chiede: “è musica di nicchia?” Il giorno dopo ho chiamato David Letellier, aka Kangding Ray, e abbiamo fatto due chiacchiere. David Letellier è uno studente di architettura che suona la chitarra. Nel 2001 si trasferisce a Berlino per terminare gli studi, lì succede qualcosa…
Parliamo del tuo ultimo album, “Solens Arc”. Aprendo il box possiamo leggere: “A stone thrown, just to watch it fly. A projectile launched for the sole puropse of drawing a ballistic trajectory in the sky. The Solens Arc is what remains after the subtraction of the gol. A simple parabolic curve defined by gravity impulse and starting angle. No target to hit, no catharsis to wait for, just the beauty of the flight.” È questa la chiave per capire l’idea dietro al lavoro? Possiamo considerarlo una sorta di viaggio?
Sì, è stata la maniera in cui ho costruito l’album, per avere non solo una collezione di tracce differenti, ma un vero e proprio movimento di quattro archi, rappresentati su ogni parte del vinile, perché si tratta di un doppio LP. Quattro parti, e sì, ogni lato è come un viaggio, come se fosse la traiettoria di un volo. Dallo studio al lancio, fino alla produzione di questa sorta di traiettoria parabolica.
Quindi c’è un progetto dietro il tuo album, possiamo collegarlo con i tuoi studi e con l’architettura?
Sì, credo che il mio modo di costruire è sempre in termini di progetti, sicuramente. La vedo come un’unica cosa, come un progetto che deve essere omogeneo e necessita di un’identità. Quando lavoro sul formato dell’album, provo a fare una sorta di danza, una cosa radicale che va in una direzione, dando tutti gli elementi che fanno un unico lavoro artistico, e quindi un progetto. Sicuramente questo mio modo di fare viene dal mio background di architetto.
Mi piace la copertina, è molto bella. L’hai fatta tu?
Sì l’ho fatta io. È una mia idea.
Confrontiamo “Solens Arc” e “OR”. Il primo ha un suono più sporco e ruvido.
Sì, lo stile con cui ho prodotto “Solens Arc” è più grezzo e analogico. Sono stato più sulle macchine e ho creato una sorta di registrazione grezza. Dopo ho mixato tutto su una scheda analogica, quindi c’è più spazio per un suono sporco. Ho portato molto dello “sporco” delle registrazioni sulle quattro facciate.
Ecco perché ti piace registrare usando alcuni tipi di materiali come ceramiche…
Sì è una cosa che fa parte del processo di registrazione. In principio, quando ho iniziato a produrre musica elettronica non avevo molte macchine, quindi questo modo di registrare era la via più economica per avere determinati suoni, non avevo alcun sintetizzatore, se volevo dei suoni interessanti, la cosa migliore era fare questo tipo di registrazione. Ho mantenuto questa abitudine successivamente, ma chiaro, ho aggiunto molti suoni, perché ora ho uno studio più grande e più macchine di quante non ne avessi all’inizio.
Parliamo dei tuoi primi inizi. Eri un chitarrista rock-noise. Poi cosa ti è successo? Cosa ti ha portato alla musica elettronica?
Principalmente l’interesse verso altre possibilità sonore, ma fondamentalmente anche l’idea di esplorare nuovi modi di produrre. Ho comprato un sampler e ho iniziato. La band si divise, quindi ho preso la macchina e ho iniziato a fare le mie “cose”. Questo è il modo in cui ho iniziato.
Poi è arrivato l’incontro con Carsten Nicolai.
Sì, ma un paio di anni dopo, voglio dire… quando ho iniziato a lavorare con Carsten non l’ho fatto per la musica, facevo delle sculture con lui, insomma stavamo collaborando più su progetti di installazioni artistiche. Non gli ho mai mostrato la mia musica per i primi anni, solo dopo qualche anno ha ascoltato quello che stavo facendo.
Sono sempre stato affascinato da Carsten Nicolai a dalla Raster-Noton, è come una famiglia per te? Possiamo dire che la Rastern Noton rappresenta l’avanguardia musicale?
Sì, sicuramente è come una famiglia. Per l’avanguardia forse… ma non ne sono del tutto sicuro, perché la nozione di avanguardia è un po’ confusa in questo periodo, perché non c’è più quella differenza tra mainstream e underground. Probabilmente prima era una cosa più chiara, tu facevi parte dell’avanguardia perché facevi quello che nessun’altro stava facendo, stavi ricercando, ma ora è un po’ più confuso. Penso ci sia meno ricerca, perché ognuno influenza l’altro più di quanto non si facesse prima, è puro ibridismo. Poi, il fatto che Raster-Noton rappresenti l’avanguardia è sicuramente vero in un certo modo. L’attitudine dell’etichetta è sempre stata chiara e definita dalla ricerca della “musica del futuro”, ma ormai penso che la Raster-Noton sia più integrata di prima. Questo tipo di musica è suonata nei club, nei grossi festival e non è più soltanto nicchia e ricerca, ora si confronta con un pubblico più grande ed è più integrata in questo grande movimento.
Quindi negli ultimi anni hai suonato molto nei club.
Sì! Negli ultimi tre – quattro anni.
Frequenti i club a Berlino?
Se ho tempo e non sono in giro sì!
Qual è la tua relazione con Berlino? La città influenza la tua musica?
Sì, sicuramente. C’è una grossa influenza, tutte le persone che ho incontrato, i club, tutto ha influenzato la mia musica.
Una curiosità, c’è un artista che ti ha influenzato più di tutti?
Solo uno? Due, tre, tutti quelli che vuoi (ride). No, davvero. Non riesco a sceglierne uno, troppe influenze. Non ho un mentore.[/tab]
[tab title=”English”]A few days ago I was drinking some mojitos. A friend of mine, looking a the Swarm Festival poster, where Kangding Ray will bring his high – energy live set, asked to me: “is this some niche music?” The day after I called David Letellier, aka Kangdin Ray, and we’ve been talking for a while. David Letellier is an architecture student who plays guitar. In 2001 goes to Berlin to finish his studies. There something happens…
Let’s talk about your last album: “Solens Arc”. Opening the record box we can read: “A stone thrown, just to watch it fly. A projectile launched for the sole purpose of drawing a ballistic trajectory in the sky. The Solens Arc is what remains after the subtraction of the gol. A simple parabolic curve defined by gravity impulse and starting angle. No target to hit, no catharsis to wait for, just the beauty of the flight.” Is this the key to understand the idea behind the work? Can we say that your album is like a trip?
Yes, it was the way that I used to construct the album, to have not just a collection of different tracks, but really a swing of four arcs represented on each side of the vinyl, cause it’s a double LP. Four sizes, and yes, each side it’s like a trip, like a trajectory of flight. From studyng to launching and then producing this kind of parabolic trajectory.
So, there’s a project behind your album, can we link this with your studies and architecture?
Well, I guess the way I’m constructing things is always in terms of project, for sure. I see it like a whole thing, as one project that needs to be homogeneous and needs to have one identity. When I work on the album format, I try to make a kind of dance, a radical thing that goes in one direction, giving all the elements that make one work of art, and so a project. For sure, this way of doing comes from my architecture background.
I like the cover art, is nice. Did you make it?
Yes, I made it, it’s my idea.
So, comparing “Solens Arc” to “OR”, the sound of the first is dirtier and rawer.
Yes, the way I produced “Solens Arc” it’s much more rough and analogue. I produced it much more directly on the machine and I made a sort of rough recording. Then I mixed down all together on an analogue board, so there’s much more room for dirt. I brought a lot of the dirt that is in the recording in the four front.
And that is why you love to record using some kind of material such as ceramics…
Yes, this is part of the process. At the beginning, I didn’t have too much machines when I started to make electronic music, so this kind of the recording was the cheapest way to get some sounds, I didn’t have any synth, if I wanted to have interestings sound, the best way was to do this kind of recording. I kept this way of doing awterwards, but of course I’ve incorporated a lot of sounds, because I have a bigger studio now and more machines that I used to have in the beginning.
So let’s talk about your early beginning, you were a rock-noise guitarist. Then, what happened? Why did you move to electronic music?
Mainly was the interest to other possibilities of sound, but also, basically, I wanted to explore new ways of doing tracks. I bought a sampler and I started to do this. The whole band broke up, so I just took the machine and I started to do my own things, that’s how I started.
And then you had your first meeting with Carsten Nicolai.
Yes, but a couple of years after… I mean… when I started to work with Carsten it was not for music, it was for installations, I was doing sculptures with him, we were collaborating more on art and installations projects. I didn’t show my music for the first couple of years, only a few years later he just heard what I was doing.
I’ve always been fascinated by Carsten Nicolai and Raster-Noton, it’s like a family for you? Can we say that Raster-Noton represents the avantgarde in music?
Yes, definitely it’s like a family. For the avantgarde maybe…but I don’t really know, because the notion of avantgarde is a little bit bleary these days, there’s no more difference between mainstream and underground. Probably before it was more clear, you were avantgarde because you were doing what nobody was doing, you were researching, but nowadays it’s a bit more bleary, I think there’s less pure research, because everyone influences each other more than before and that is pure hybridity. Then, the fact that Raster-Noton represent avantgarde is definitely true in a way. The attitude of the label has always been very clear and defined by the searching for the future music, but nowadays i think that Raster-Noton is more integrated than it was before. This kind of music is now played in clubs, in big festivals and it’s not anymore only niche and research, now it talks to a wider audience and it’s now more more integrated in this big movement.
So in last years you went playing more on clubs.
Yes! I mean three – four years.
Do you go clubbing in Berlin?
If I have time and I’m not on the way yes.
What is your relationship with Berlin, does it influence your music?
Yes, definitely. There’s a big influence in my music, all the people that I met here, all the clubs, everything has influenced it.
A curiosity: there’s an artist that influenced you the most?
Only one? Two or three, or whatever you want (laughs). Really, I can’t. I have too much influences, I can’t pick one. I don’t have any mentor.[/tab]
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