E’ davvero un fenomeno affascinante, quello di Kanye West. No, non quello che fa musicalmente (che resta, per lo più, interessante): ma tutta l’architettura di aspettative ed elucubrazioni che gli si è costruita attorno. Un’architettura gigantesca. Un’architettura insensata. O, a pensarci meglio, scusateci, perfettamente sensata, sì, perfettamente sensata: in un mondo in cui una fashion blogger che scrive due stronzate guadagna molto di più di un reporter di alto livello, è assolutamente coerente che Kanye West venga considerato un personaggio incredibilmente rilevante, e che ogni puttanata che dica o che faccia abbia un eco smisurata.
Se una fashion blogger o una ex valletta televisiva guadagna dai 2.000 ai 5.000 euro per scrivere due-righe-due (“Oggi mi sento bene con me stessa, è una bella giornata, sono carica!”, fotografata con una borsetta o una felpina: ok, staccato l’assegno. Sì, funziona così), è non per un complotto degli stupidi o degli empi o dei banchieri, ma perché il mercato sancisce che quei 2/5.000 euro sono un buon investimento, un investimento redditizio. E il mercato – pensa un po’ – siamo noi. Le nostre scelte. I nostri clic. Le nostre motivazioni d’acquisto (…se non avessimo visto la borsetta o la felpina addosso alla tipa su Instagram, evidentemente l’avremmo lasciata sugli scaffali).
Tutto regolare, insomma; non fosse che la tipa di Instragram – ma anche centinaia di migliaia di suoi follower – pensano che sia importante (e sufficiente) scrivere “Oggi mi sento bene con me stessa, è una bella giornata, sono carica!” per fare qualcosa di rilevante ed incisivo nel mondo contemporaneo. Non lo è. Resta una frase banale, stupida, inutile: da qualsiasi parte la giriate. Anche se detta da una che ha un seguito enorme sui social.
Ecco: con Kanye funziona in maniera simile. Posto che “Jesus Is King” è un disco gradevole (anzi: era da un po’ che non azzeccava un disco così musicalmente coeso e gradevole), veramente ci sarebbe da riflettere sul fatto che nessuno si alzi in piedi e dica “Ok, va bene, ma il rap qui fa cagare. E’ imbarazzante. Concetti da bambino delle medie, flow da Jovanotti costipato”.
(continua sotto)
Ma sono anni, che Kanye fa danni sul rap. Perché sono anni che in questo campo è in involuzione pesante (il suo egotrip patologico gli impedisce di studiare, allenarsi, esercitarsi seriamente: è palese), ma l’aura che si è costruita attorno a lui lo rende un esempio vincente, un esempio da imitare. Mi diceva l’amico e collega Mirko Carera, in una conversazione privata (poi travasata in un suo post su Facebook con tanto di discussione interessante sotto), che da “Life Of Pablo” in poi in moltissimi lo hanno imitato. Vero. In effetti, dovessimo scegliere un colpevole per cui è stato sdoganato il rap fatto male (ehi: di questo si tratta) la scelta cadrebbe secca su di lui. Il punto è che Kanye in maniera anche involontaria (o forse invece rabdomantica) è stato l’artista giusto al momento giusto: quello che ha saputo cogliere il momento in cui la cultura hip hop tornava ad abbracciare il fashion system pop, ma stavolta in una declinazione molto più complessa e sfaccettata che nel passato, che nei clash precedenti fra queste due realtà negli anni ’80 e ‘90 (che erano molto più basic e meno sofisticata). Da lì in poi, la sua popolarità e il suo fascino si è moltiplicato in maniera esponenziale, ma soprattutto si è moltiplicato in maniera automatica. Qualsiasi cosa lui facesse o dicesse, era “figa”: era stilosa, era geniale, era innovativa, era visionaria, era rivoluzionaria.
Beh: non lo era per un cazzo. Zero. Ma l’onda lunga della moda del momento, quando la prendi, la tieni per un bel po’. E la tieni nonostante tu prenda una china artisticamente debole e fratturata, nonostante il successo ti dia palesemente alla testa (basta leggere le varie interviste: non conta che ci faccia o che ci sia, conta che quello che appare è un uomo confuso e ridicolo – e se è uno scherzo montato ad arte, ecco, è uno scherzo che non fa ridere). Anzi, di più: quando sei sull’onda giusta, anche il fatto che tu sia diventato un weird, un freak, uno spostato, un disadattato diventa un moltiplicatore di carisma (prendere il caso della povera Amy Winehouse, che più sragionava ed era tossica più diventava popolare: è il cannibalismo emotivo dello star system più cinico e deteriore – a cui sarebbe anche ora di sottrarsi, no?).
TI viene giustificato tutto. Tu sei sempre più un fenomeno da baraccone e uno che sta sfarinando male le proprie qualità, ma finché l’aura e il carisma sono dalla tua ogni tua mossa stupida, inutile o proprio autodistruttiva viene salutata come momento di genio o comunque di fascino. La stessa mossa fatta da qualcuno altro sarebbe invece, molto semplicemente, un momento patetico. Triste. Ridicolo.
Ora. Io mi ricordo quando si prendeva pesantemente ed allegramente per il culo il christian rap e il christian rock, una versione da catechismo – semplificata, banalizzata, pure un po’ ridicola – delle culture giovanili egemoni degli anni ’80 e ’90. Me lo ricordo bene. “Jesus Is King”, nel rap, come qualità, come flow, come contenuti, non è nient’altro che il più deteriore e banale dei christian rap. Lo salva una veste sonora fresca e briosa, dove i tanto decantati e celebrati elementi gospel sono effettivamente usati con misura, gusto ed intelligenza, e dove il quadro complessiva parla di un paesaggio sonoro simpaticamente vario e pure lontano dai cliché del rap o della trap attuale, in una strana combinazione vecchissimo / abbastanza nuovo che assolutamente funziona e si intona bene. Occhio: non è un lavoro di genio la parte musicale, no, nemmeno lei. Pensando a come lavora Kanye (aka: ai soldi che dilapida per tenere truppe di producer di peso e pregio a libro paga), alla fine l’impressione è sempre quella della montagna che partorisce il topolino; ma se non ci pensi e prendi la musica per quello che è, gli va riconosciuta qui più che in altre occasioni precedenti occasioni (e al pari dei suoi sapidi esordi) la capacità di essere gradevole ed interessante, decisamente insomma sopra la media.
Ma non dovrebbe bastare questo a salvarlo dalla presa per il culo. Non dovrebbe essere questo ad impedire di dire che lui, come rapper, in questo disco è ridicolo sotto ogni punto di vista. La veste musicale non è così incredibile e fantascientifica da mettere in ombra le sue pesanti defaillance qualitative al microfono (e all’elaborazione di ragionamenti).
L’altro giorno, scusate se torno ad esempi legati a Facebook (ma d’altro canto, oggi gli artisti costruiscono lì la loro fama e il loro carisma), ho scritto questo status:
Comunque Kanye West fosse stato umbro avrebbe votato Salvini
Cosa volevo dire? Criticavo le visioni politiche ottuso-messianiche-conservatrici di Kanye? Lo usavo per spalare merda su Salvini? Soprattutto, facevo intuire che avendo Kanye delle posizioni politiche di un certo tipo, non era meritevole di sostegno? No. No, no e no. Il punto di questo status – e chissà in quanti l’hanno capito – era un altro: Kanye si è guadagnato il favore di un sacco di ascoltatori ed opinion maker molto smaliziati e molto sofisticati, gli stessi che perculano la grossolanità delle posizioni politiche salviniane, combattendola aspramente a colpi di sdegno ed irrisione. In realtà il linguaggio rap “basic” di Kanye non è per nulla distante dal linguaggio politico “basic” di Salvini; com’è possibile che al primo venga perdonato tutto e al secondo no? Qual è il meccanismo che scatta quando c’è West di mezzo?
Perché sì, un meccanismo palesemente scatta. Lo stesso che lo trasforma musicalmente in “genio” quando è semplicemente un buon assemblatore di intuizioni spesso altrui, spesso già elaborate in passato nell’underground, e comunque mai così radicali ed iconoclaste (Kanye West è solo la schiuma vacua e vaporosa dell’iconoclastia e della radicalità). E’ riuscito a cavalcare i meccanismi effimeri della moda: che hanno un loro valore, hanno un loro posto nella cultura e nella società, ma che francamente applicati alla musica ci fanno un po’ cagare, perché la musica ci piace continuare a pensarla come una esperienza (più) profonda, (più) intima, (più) viscerale, (più) pura e (più) slegata dalla componente narcisa e di ostentazione stagionale.
A molti invece Kanye, anzi, il fenomeno-Kanye va bene così com’è: interessa, appassiona, esalta, provano una soddisfazione quasi fisica nel seguirlo e nel commentare in maniera approfondita ed apologetica ogni sua scelta.
A tutti loro vorrei chiedere: ma perché lo fate? E ve lo chiede col tono di Marco Masini, uno preso per il culo da torme di intellettuali raffinati fan dell’eleganza e della genialità di Ye, quando invece il suo pensiero e le sue canzoni e i suoi testi sono molto più raffinati ed elaborati di quanto sta offrendo, già da un po’, il tizio di “Jesus Is King”.
Ma si sa: il mondo oggi è un posto dove Chiara Ferragni ha milioni di follower che scrutinano ogni suo passo (anche per parlarne male, eh), e non si è ancora capito esattamente perché. “Sign Of The Times”, direbbe Prince. Ma se state lì ad insufflare il carisma e la genialità di Kanye, insomma, sappiate che state alimentando questo gioco qui. Proprio questo gioco qui.