Il suo pezzo “Delirio Italiano” è stato uno dei tormentoni danzerecci dell’estate che va a concludersi. Dietro l’alias Kapote però c’è Munk, istrionico, guascone e mezzo italico fondatore di Gomma Rec prima e di Toy Tonics poi. L’abbiamo incontrato per una lunga chiacchierata a ruota libera ed in italiano un assalto di parole all’arma bianca al motto di “Make House Funky Again”
Innanzitutto complimenti per l’album, lo stanno suonando un po’ tutti, vedo spesso postare i tuoi brani tra Instagram e Facebook…
Grazie, questi feedback fanno sempre un sacco piacere, anche io spesso ricevo buoni consensi ma non sempre riesco a vedere tutto. Quando ricevo complimenti per ciò che faccio è sempre un enorme soddisfazione, sono contento sopratutto quando vedo che gli italiani apprezzano il mio lavoro, quello per me vale sempre doppio.
Sì perché tu sei italiano, no?
Mia madre è italiana, siciliana cresciuta a Genova, mio padre è tedesco berlinese e io da quando ho quattro anni sono cresciuto in Germania e poi in Francia.
Sono andato a risentirmi i tuoi primi lavori di dieci, quindici anni fa, volevo mi raccontassi quale è stata la tua personale evoluzione perché sì, è evidente ci sia stata una sorta di trasformazione…
Dobbiamo partire da prima, del mio approdo alla musica elettronica. Io ho studiato pianoforte, venivo dal jazz e dall’hip hop: negli anni 90, ero uno dei tanti rigorosi che ascoltavano solo quel genere di musica e, credimi, disprezzavo house e techno in maniera anche classista. A me ed ai miei amici poco interessava di techno e house, finché, sono onesto, e devo raccontarla bene questa storia, dicevo finché una ragazza con cui uscivo non mi ha dato una pillola. Da lì è cambiato tutto: lei mi ha portato a sentire i M.A.W. a Monaco credo nel ’99 e mi ha introdotto ad un certo tipo di mondo. Insomma, con una delle pochissime pillole che ho preso in vita mia è cambiato tutto (ride, Ndl), visto che il giorno dopo sono corso in un negozio a sentirmi i loro dischi per cercare di capire cosa stava succedendo. In quel periodo stavo già facendo un po’ di feste a Monaco, ho iniziato nei tardi ’90, considera che in Germania sono stato il primo a chiamare Squarepusher e allo stesso tempo a organizzare concerti hip hop.
Beh credo abbiamo percorso strade molto simili, io in quegli anni facevo con mediocri risultati rap, quelle cose tardo posse e centri sociali, e ricordo molto bene il mio considerare merda tutto ciò che era legato alla discoteca. La mia folgorazione c’è stata con “Homework”…
I Daft punk sono stati altrettanto importanti, perché si capiva che dietro c’era molto di più che una cassa dritta. Mi interessa il discorso del rap italiano di quegli anni, ho una bella collezione di quella roba lì, da Papa Ricky alle cose in dialetto sardo e calabrese. Per me quello è stato un periodo importantissimo per l’Italia, sopratutto guardando ad oggi in questo momento di apolitica e di “salvinismo”. Fino a vent’anni fa era praticamente cool essere politicizzati nella musica ed essere di sinistra. E’ una cosa molto strana per me vedere cosa sta succedendo invece oggi.
Mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di un ritorno delle posse e di canzoni come “Stop al panico” o “Cani sciolti” dei Sangue misto, quelle canzoni che alzavano un po’ la coscienza collettiva. Purtroppo però non vedo in Italia la possibilità di un ritorno a questa maniera di fare musica…
Secondo me ritornerà, basta guardare a certi fenomeni in fermento – anche se minori – che si trovano in Grecia o in Germania. In Germania avremo un governo Verde tra poco, i ragazzi vanno in corteo il venerdì saltando la scuola. Qualcosa si sta muovendo, insomma. Io credo e spero che presto anche in Italia avremo una nuova generazione con una coscienza politica di sinistra.
Come prosegue poi il tuo percorso?
A cavallo di fine secolo, ho cominciato quindi ad ascoltare questa house newyorkese che, venendo dal jazz, reputavo interessante; idem anche molta della house francese, quasi tutta basata su sample di collezionisti che compravano dischi rarissimi degli anni ’70 e costruivano qualcosa di nuovo. Questo mood è stato da sempre fonte di grandissima ispirazione per me; mi ha fatto capire che anche per un musicista come ero io, abbastanza colto (e lo dico senza voler essere arrogante), uno di quelli che in teoria considerava house e techno come troppo semplicistiche, c’erano invece delle possibilità, c’era qualcosa di intrigante.
Da lì nasce Gomma…
Con Gomma Records inizialmente ci siamo posti come unica regola quella di fare un tipo di musica che non faceva nessuno in quegli anni. Acid jazz e funky erano all’apice, di house eravamo invasi, l’idea era quella di buttarsi sul post punk disco. L’inizio con Gomma è stato nel cercare una “via di mezzo” a tutti questi generi, facendo pezzi dance con i musicisti che reinterpretavano una musica elettronica nuova e non convenzionale per i tempi. Allo stesso tempo, tutta l’ispirazione ci veniva dal post punk early 80’s e tutto quel suono lì che poi, come sai, è diventato molto popolare. In quel periodo non c’era ancora la DFA, mettici anche i viaggi a New York dove quel vibe iniziava a fermentare: l’idea di fare questa zuppa suonata da musicisti provenienti dal jazz con una forte attitudine punk che facevano pezzi per il dancefloor mi sembrava una buona idea, da li è nata Gomma.
Tra l’altro con l’intelligenza di andare solo a sfiorare il fenomeno “house lavatrice”, come le cose di Ed Banger o Bloody Beetroots o Boys Noize. Si sentiva che con voi c’era una ricerca maggiore, era evidente che non vi fosse quella ossessione di suonare unicamente con un laptop...
Era così! I nostri anni d’oro furono dal 2003 al 2008, anni in cui ogni weekend giravo il mondo. Poi ad un certo punto sono arrivati altri che sono diventati molto più grandi di noi perché la formula che noi avevamo iniziato è diventata più dura, più pesante. I nomi che hai citato sono tutti miei amici, amici che sono diventati grandi e importanti proprio perché hanno fatto diventare un certo tipo di suono più heavy. Io ho fatto spesso i conti con la mia coscienza, spesso mi sono chiesto se diventare più hard e associarmi a ciò che ormai era di moda era la cosa da fare, ma no, non potev,o ed era mia faccia a dirmi di no, perché volevo rimanesse invariato il mio spirito di musicista che crea qualcosa di originale. Io ho sempre avuto l’ossessione di creare qualcosa di originale, qualcosa che al limite altri potevano copiarmi ma assolutamente mai sarei stato io a copiare qualcosa fatto da altri. E’ vero, quel movimento di cui parli l’abbiamo sfiorato, ricordo i party a Parigi Ed Banger/Gomma, dove Ed Banger faceva la sala grande e noi la sala piccola.
Da li in poi si comincia sentire un percorso di cambiamento che poi gradualmente ti ha portato a Kapote…
Intanto intorno al 2010 mi sono rotto il cazzo di stare in Germana e me ne sono andato a vivere in Francia. Poi ho cominciato anche a stufarmi di suonare in giro, per tre o quattro anni non ho fatto il dj. E’ paradossale ma nel periodo in cui Toy Tonics ha cominciato ad avere successo, io ho smesso di fare il dj, mi diverte questa cosa… Nel 2010 il nostro spirito, il suono che avevamo inventato, è diventato anche più commerciale, penso agli Hot Chip o ai Metronomy, se ci pensi anche recentemente i The Parcels ricordano le cose di Gomma; non voglio sembrare presuntuoso, ma io quel suono l’ho fatto dieci anni prima. E’ vero, loro sono diventati più grandi, io no, ma non l’ho nemmeno cercata, non ho mai nemmeno voluto diventare prettamente famoso.
Hai sentito la necessità di reinventare qualcosa?
Ha iniziato a venirmi la voglia di fare house. L’house music è tornata di moda negli ultimi tre o quattro anni, ma se torniamo indietro a gli anni 2013/14/15 quella roba che veniva chiamata “house” per me non era house: era roba depressa, una musica molto ketaminosa.
Ne avevo parlato anche con il fondatore di Apparel Wax; forse a partire da tre anni a questa parte si è invece cominciato a sentire nuovamente il bisogno di stabilire un contatto anche fisico all’interno del dancefloor, un qualcosa che negli anni precedenti si era persa a favore di un ambiente quasi asettico. E’ tornata la voglia di stare insieme…
L’hai detto molto bene! Io avrò anche le mie teorie, ma secondo me tantissima di quella musica uscita in quegli anni e negli ultimi dieci anni è basata sulle droghe. E’ difficile parlare di questo argomento, perché la gente non ammetterà mai di far musica per drogarsi, ma se sei un dj funky e ti metti a suonare davanti a un pubblico in cui l’80% si è calato una pasticca, te ne accorgi subito che la roba funky non funziona, dà troppi stimoli. Quando prendi l’MDMA hai bisogno di una musica “destimolata”, piatta. Tantissima musica da club è cresciuta con la droga e non voglio metterla giù nemmeno in maniera troppo negativa, perché anche la mia musica è cresciuta con la droga, essendo stato per anni e anni un fumatore di canne. La musica funky è musica più adatta a chi si fa le canne, al massimo un po’ di cocaina con champagne e uno spritz; di certo non ha nulla a che vedere con pasticche, ketamina o anfetamine. Purtroppo il discorso della club music vuoi o non vuoi è legato a doppia traccia alle droghe. Negli ultimi dieci anni la musica, quel tipo di musica, ha seguito quel discorso. Io ad un certo punto non mi sono più sentito stimolato; allo stesso tempo tutti quelli che non prendono droghe, o le ragazze in considerazione che la musica funky stimola magari più il sesso femminile per un discorso emozionale, non erano più stimolati. Negli ultimi tre, quattro anni c’è stato invece un grandissimo revival della musica funky e disco con continui re-edit in una formula assurda: assurda perché è un flusso instoppabile. Considera che su Toy Tonics i dischi che vendono di più sono quelli un po’ funky, facciamo numeri assurdi con The Phenomenal Handclap Band: questo cosa vol dire? Io credo che nel senso circolare che seguono le mode legate alla musica, quella musica piatta, senza generalizzare tanto sappiamo bene di quale musica patetica e melanconica stiamo parlando, sta lasciando spazio a questa nuova musica che in realtà nuova non lo è. Forse c’è meno droga in giro, forse la gente ha smesso di drogarsi, o forse c’è una nuova generazione.
L’idea di una nuova generazione non sarebbe nemmeno male…
Probabilmente è così, per quello che vedo, io vedo molti giovani sotto i venticinque anni alle nostre feste, vedo anche ragazzi di diciotto.
Senti delle responsabilità quasi da professore o maestro nell’indirizzare i gusti di ragazzi così giovani?
Non mi sento maestro, né lo voglio essere. Ho la grande fortuna di poter fare quello che mi piace da vent’anni, per cui non la vedo come una questione di “scuola” o “maestro”. Detto questo, la maggior parte di questi ragazzi sono giovanissimi, ma vedo anche gente con i capelli bianchi. Più che in una forma scolastica mi piace pensarla in un forma “familiare”, che abbraccia tante persone di estrazioni sociali diversissime. Mi piace pensare vi sia quello spirito disco newyorkese di inizi anni ottanta…
Tu ti aspettavi un successo cosi clamoroso di Toy Tonics quando l’hai fondata? Posso chiederti anche se c’è un pezzo particolare che ti ha fatto pensare “…bene adesso prendiamo il volo“. Te lo chiedo perché ricordo bene di aver pensato una cosa simile quando ho sentito per la prima volta “My Donna” di COEO.
Ci sono sempre alcuni parametri che ti fanno capire queste cose. Sicuramente quell’ep di COEO è stata a suo modo una svolta. Un altro pezzo è sicuramente “Judge Not” nel remix di Ray Mang, che prima ha iniziato a suonare Dj Harvey ad Ibiza e da lui tutti quanti da The Black Madonna a Peggy Gou, e che ha fatto letteralmente impazzire gli inglesi. Lo sai anche tu che con gli inglesi se Harvey fa una cosa gli vanno dietro tutti. Diciamo che il secondo è servito ad entrare in UK, mentre l’ep di COEO è servito a livello globale sfondando nel circuito Beatport o giù di lì.
E te l’aspettavi questo successo? Oggi potete essere considerati quasi un’etichetta iconica dell’house.
Se prendi tutto il discorso degli ultimi trenta minuti, forse un po’ sì; ed è una sublime contraddizione. Io disprezzavo l’house, poi questa pillola maledetta mi ha fatto cambiare la percezione; allo stesso tempo due domande fa ho parlato se non con disprezzo, almeno con ironia di tutta la musica fatta con il solo scopo di drogarsi. Io non me l’aspettavo, sono sincero, però nella vita ho imparato che se faccio una cosa in cui credo poi la gente mi segue. I primi due o tre anni in Toy Tonics non ero proprio io a decidere le uscite di Toy Tonics; anzi, a volerlo raccontare giusta Toy Tonics non è nata proprio come una mia personale scelta. Ai tempi c’erano due ragazzi che volevano fare uscire dei pezzi house, ad un certo punto mi sono detto “Ok, facciamo un’ etichetta e vediamo se funziona”. Inizialmente ho pubblicato dischi in cui forse non credevo più di tanto, e infatti non sono andati così bene; è stato solo nel momento in cui ho iniziato a crederci veramente che Toy Tonics ha preso una piega importante.
Questo ti ha portato a pubblicare un album con un nuovo alias: Kapote…
Come Munk non me la sentivo, sempre per quell’obbligo che ho di fare cose originali e fuori da ogni categoria; per cui ho pensato che se avessi voluto fare qualcosa su Toy Tonics dovevo crearmi un altro nome, appunto Kapote. Inizialmente nessuno sapeva fossi io: questo mi dava anche una certa libertà. Poi ho pensato fosse un ragionamento stupido, questo perché dal momento in cui mi metto a produrre qualcosa di alta qualità per quel genere lì, in cui credo fermamente, posso tranquillamente uscire senza alcuna maschera o anonimato.
In questo album, ma correggimi se sbaglio, io sento tutta la tua passione di grande collezionista di vinili raccolti in venti trent’anni. Inizialmente ascoltando il tuo lavoro ho pensato “Ah caspita, è come se J Dilla si fosse messo a fare house”, si sente un certo tipo di cultura cresciuta con l’ascolto di migliaia e migliaia di vinili vecchi, non nuovi, vecchi.
Io sono contentissimo tu abbia colto questa cosa: è così. Il mio modo di fare dance music è basato sull’ascolto e sul comprare dischi. Io non sono hipster, io sono un nerd. Da quando ho dodici anni compro dischi e sento dischi e sento di tutto, anche le cose che non mi piacciono – solo per capire perché non mi piacciono. Ora ne ho venduti tanti, ma prima a casa avevo circa ventimila vinili.
Io ne ho circa 500 e faccio fatica a catalogarli, tu come li hai catalogati?
Ho sempre diviso tutto per sezioni. La cosa è che ti trovi a comprare dischi che poi magari manco ascolti, o che ascolti per un certo periodo e poi lasci lì nell’armadio. Non esiste la catalogazione perfetta: avevo i soliti Kallax Ikea sparsi un po’ ovunque.
Ed eccolo l’album di kapote…. (continua sotto)
Torniamo a J Dilla?
Guarda su quel discorso ci hai preso, per me J Dilla è una specie di Dio tanto quanto Miles Davis, di cui conosco a memoria il periodo anni 70. Il mio spirito di fare dance music è quello di J Dilla.
In più, e questa non è una cosa semplice perché tanti ci provano e molti non ci riescono, tu riesci a suonare “sporco”, con quella sporcizia che deve avere questo tipo di dance music. Come fai a suonare in questa maniera cosi sporca per cui questo disco sembra uscito quindici venti anni fa?
Spero non suonino esattamente come dischi usciti venti anni fa, e so che non è così perché se li metti accanto hanno sempre qualcosa di futuristico. Capisco quello che intendi, ma è giusto sia così: perché una cosa di domani deve essere basata su qualcosa di vecchio, non ci può essere domani senza ieri. Sicuramente uso dei campioni molto sporchi, ma non c’è solo quello. Io non uso mai solo il sample fine a se stesso: suono sempre qualcosa sotto, oppure spesso raddoppio i bassi usando la mia voce, non senti che c’è ma è lì, e non è mai quantizzata, non è mai perfetta sul basso per cui senti quindi qualcosa di “sporco”. C’è anche la profondità della stanza dove ho il microfono, e alcuni filtri vecchissimi magari un po’ rotti che utilizzo. I produttori di oggi utilizzano solo la quantizzazione nei loro programmi, avendo il beat matematicamente dritto. Se suoni in una band, questa cosa non l’avrai mai dritta perché avrai sempre quell'”human factor” che grazie a Dio lo impedisce. Molti dei dischi dance degli ultimi vent’anni non suonano così e sono frutto invece di una formula matematica. Non voglio suonare arrogante, sia chiaro, ma la maggior parte se non la quasi totalità della musica dance degli ultimi vent’anni non è stata fatta da musicisti ma da programmatori informatici, con un talento o da dj che necessitano di una visibilità da produttore, o da ragazzi bravissimi nel collezionare synth ma che non sanno come suonarli. Spesso e volentieri esce anche musica molto bella, sia chiaro. Anche io ho suonato spesso questa musica.
Toy Tonics viene definita come una label che fa house music, anche se è abbastanza riduttivo, sarebbe meglio forse dire dance music; però allo stesso tempo è una label house music anche Defected. Per un ascoltatore, per un appassionato di questa musica, che tipo di approccio è necessario per distinguere o anche solo per avvicinarsi a due realtà che fanno lo stesso genere ma che sono molto diverse? Una mira molto al back to the roots che guarda al futuro, mentre Defected è sostanzialmente – tolto forse Dimitri From Paris – un’altra cosa. Per carità, non voglio portarti a dire che Toy Tonics fa house music e Defected no… anche perché non è così.
Ci sono un po’ di cose da dire. Innanzitutto, c’è tantissima roba house che è molto ma molto peggio di Defected. Non suono cose di Defected, non ricordo di averle mai suonate, ma ho rispetto per loro. C’è roba uscita negli ultimi anni, e non da Defected, che viene bollata come deep house ma non ha nulla a che vedere con la deep house. Io ho una completa avversione per tutta quella roba che usciva su Beatport nella sezione “Deep House” o anche “Disco” che non c’entrava nulla in realtà con quei due generi: musica noiosissima senza alcuna idea, patetica nel non avere alcuna armonia o un po’ di spirito. E’ musica che non regge nel tempo, anzi, secondo me manco si può considerare musica. In realtà devo dirti che la maggior parte delle cose che escono come “house” non funzionano con me. In realtà, sai, nemmeno definirei Toy Tonics un’etichetta house: ha senso definirla “house” quando hai più di quarant’anni e conosci le radici dell’house, puoi farlo se sai che l’house arriva da qualcosa di nero con quello spirito “nero” nel groove. Lil Louis viene da una famiglia di musicisti salsa, suo zio era un cantante di musica salsa. Per dire. Quello che esce ora con l’etichetta house non ha invece niente a che fare con questo spirito. E’ un altro groove, è un groove asettico e informatico, tanto che mi sono inventato una parola per definirlo: “tool techno”. Sai come suona quella musica? Devono essere dischi che si possono mixare facilmente: long intro, long end, li metti uno dopo l’altro e sei diventato un dj, e per tre ore sembra che suoni lo stesso pezzo.
Il contrario di Toy Tonics…
Toy Tonics non c’entra nulla con questa roba. Infatti amiamo definirci come un’etichetta futuristic disco. La mia identità artistica dice chiaramente che devo sempre cambiare. Ora sono ad Ischia, è la quarta volta, ma non è detto che verrò ad Ischia per tutta la vita capisci? Mi piace l’idea di un’evoluzione sia per ciò che faccio io sia per ciò che fanno le etichette che io gestisco. Per finire, e spero di essermi spiegato bene e non troppo filosofico, se senti Toy Tonics suona molto diversa rispetto a due anni fa. Io in questo momento sono già proiettato a febbraio 2020 con cose molto diverse da quelle che hai ascoltato questa estate. Sono qui sulla spiaggia di Ischia con il laptop, la fidanzata annoiata e io che finisco dei pezzi guardando il mare. Anche Toy Tonics si evolve e vedrai che tra un anno mi dirai “Non l’avrei mai immaginato, ma in effetti è la logica conseguenza di quello che facevi un anno fa…“. Ho due o tre nuovi musicisti newyorkesi, un cantante e un pianista che suonava con i musicisti di D’Angelo, che vanno a mettere uno spirito molto jazz nella nostra dance music (abbiamo sentito le promo c’è da rimanere entusiasti, NdI).
Non posso finire l’intervista senza parlare di “Delirio Italiano”
Sono sincero, quello è uno dei rari pezzi in cui fa tutto il sample ma mi capirai, suona talmente bene così che non potevo non utilizzarlo! Quello è un sample che non posso rivelarti ma che ho trovato su un 7 inch tredici/quattordici anni fa. Ne avevo fatta una versione mia, che ho suonato per tantissimi anni, ed ogni volta in cui suonavo con dj italiani ho sempre chiesto se qualcuno conosceva questo pezzo. Ho avuto un grosso problema di coscienza con questo pezzo, perché davvero mi bloccava il fatto che fosse l’unico pezzo in cui praticamente avevo fatto poco o nulla di mio, anche se poi i miei amici Daft Punk hanno fatto un sacco di musica così. Ad un certo punto, facendo l’album non ho potuto evitare di metterlo: sono quattordici anni che lo suono, fa parte ormai della mia identità.
L’ultima domanda che ti faccio è ovviamente riferita al vostro logo, che credo abbia contribuito alla vostra fortuna: allora volevo chiederti da dove arrivava.
Ah, ma è semplicissimo: il ragazzo con cui faccio le grafiche è greco, io sono mezzo siciliano, mangiavamo olive e formaggio con vino rosso in cerca di un’idea. Da lì il tutto. In realtà lui fumava molte canne, per cui credo sia uscito da questa miscela di Grecia, Sicilia ed erba che ha creato un’idea che nessuno aveva già visto.