Tra i grandi festival open air che affollano la stagione estiva italiana, il KFF merita sicuramente di essere considerato come una delle realtà più interessanti. Lo merita per com’è stato in grado di crescere anno dopo anno sia nei numeri (anche se ad occhio sin dalla prima edizione si rivelò essere un successo enorme) sia nell’offerta musicale proposta (progressivamente più differenziata e curata), valorizzando e destinando alla musica elettronica una location pazzesca come il Parco Dora di Torino.
L’edizione 2015, la quarta, non solo ha confermato quanto di buono fatto sin qui ma, forte dell’esperienza accumulata dagli organizzatori (gli stessi dietro al più longevo Movement di Torino) è stata in grado di andare oltre, alzando ancora e di molto il valore assoluto del festival. A partire dai particolari, come l’organizzazione efficientissima di bar e servizi che ha permesso l’annullamento di qualsiasi tipo di coda (grazie anche all’introduzione di un sistema di pagamento cashless) e la sopravvivenza nel caldo tropicale che ha accompagnato senza sosta i due giorni di festival; proseguendo con gli allestimenti delle diverse aree (quattro quest’anno, una in più rispetto alla scorsa edizione) più curate nei visuals e dotate di un’ottima qualità audio; e concludendo con l’aspetto più importante, quello musicale, riflesso in una programmazione capace di bilanciare nomi importanti, abituati e abili nel movimentare folle oceaniche (Sven Väth , Jamie Jones, Solomun, Joseph Capriati solo per citarne alcuni) con artisti inseriti in un contesto “tematico”, più intimo, creato ad hoc: si è avuto così modo di assaporare a lungo i Tre Re dell’House targata New York (durante il sabato) e di esplorare il pianeta plasmato da DJ Harvey (la domenica all’interno dell’Harvey’s Discoteque) osservandone le radici italiane con I-Robots e Daniele Baldelli e il futuro più promettente con Young Marco e Prins Thomas. Più contenuti, più sostanza, più scelta. Connotati rintracciabili anche nella volontà di esplorare territori musicali diversi dai canonici quattro quarti (con i Siriusmodeselektor e Die Antwoord) e nell’estrema cura riservata all’area dedicata un giorno alla drum and bass e quello successivo alla techno più pura.
Scelte precise che han saputo ripagare, con grandi set degli artisti coinvolti e con una grande atmosfera percepibile in tutte le aree del festival. Si è ballato, e tanto, con David Morales, Louie Vega e Tony Humphries, impegnati nel Day 1 in una lezione di otto ore (iniziata verso le 16 e conclusasi a mezzanotte) durante la quale si è scavato a fondo tra le radici e l’essenza dell’house music. Un set antologico nel vero senso della parola. Nella stessa giornata, solidissima come d’abitudine l’accoppiata berlinese Dettmann & Klock, bravi e divertenti anche i Martinez Brothers, impegnati in un b2b a sorpresa con Seth Troxler.
Il giorno successivo, il boato appagato e felice delle oltre diecimila persone raccolte sin dal primo pomeriggio sotto la foresta d’acciaio sede del main stage, apriva il sipario sul lungo set/viaggio pilotato da Sven Väth (che rimane comunque uno dei più grandi di sempre)a cui sarebbe seguito un altrettanto ispirato Ilario Alicante con una chiusura degna di nota). Parallelamente, all’interno dell’Harvey’s Dicoteque, Young Marco occupava lo slot pomeridiano in teoria destinato a DJ Harvey (assente causa ritardo aereo, avrebbe recuperato alla grande più tardi) decidendo per un introduzione dal respiro balearico salvo poi virare in un set “multietnico”, trasformando a tratti quell’angolo di Parco Dora in una giungla. Dalla parte opposta, a qualche centinaio di metri di distanza, trovavamo infine rifugio tra la sabbia scossa dal techno stage, curato da Genau ed alimentato dall’energia di un impressionante Alex Bau seguito dal live di Jonas Kopp e dalle selezioni di un Reeko molto più concreto rispetto a qualche tempo fa.
Stanchi ma molto soddisfatti, trovavamo la via di casa ripercorrendo i bei momenti e le emozioni vissute durante i due giorni di #KFF15. Sono state tante ma la più bella e intensa è stata regalata senza dubbio dalla risposta del pubblico. Enorme. Vederci in così tanti, presi bene, è stata la cosa più bella. E’ stato contagioso. E’ la fotografia della salute e del successo di un festival da cui ora è logico (per come siamo stati abituati) aspettarsi un ulteriore passo in avanti. E’ una fotografia che vorremo vedere più spesso e che, siamo sicuri, rimarrà a lungo nei nostri ricordi.